Quando, qualche settimana fa, Lennard Kämna e Ben Zwiehoff, atleti del team Bora-Hansgrohe, sono partiti per il Sud Africa, per la diciassettesima edizione della Cape Epic non l’hanno detto quasi a nessuno. A frenarli, forse, lo spirito competitivo, sviluppato nel loro percorso nel ciclismo professionistico su strada. Non si erano preparati per questa gara e qui pensare di competere ad alti livelli senza un’adeguata forma fisica è praticamente impossibile visti i 700 chilometri e i più di 16.000 metri di dislivello suddivisi in sette tappe, nell’arcigno Western Cape del Sud Africa. Due partecipanti per ogni squadra e l’obbligo per ciascuno dei due di completare la corsa.
«Chi vuole vincere – spiega Ben Zwiehoff – si prepara tutto l’anno per questa gara, è totalizzante, non puoi affidarti all’improvvisazione. Ho corso in mountain bike, so cosa significa. Sono venuto qui per provare e anche per ritrovare una mia vecchia passione». Il punto, probabilmente, è proprio trovare la capacità per raccontare questo divertimento spensierato da parte di chi abbina da sempre ciclismo e risultati. «È una sensazione strana – prosegue Kämna – perché noi viviamo la competizione e quindi la scorgiamo ovunque. Riuscivamo a vedere la competizione fra gli altri ma allo stesso tempo eravamo sereni, pensavamo solo a goderci il momento. È strano».
Nel mezzo catene montuose gigantesche, dirupi vertiginosi, foreste selvagge, vigneti intatti, coste da togliere il fiato e città sconosciute ai turisti. Ma anche, e soprattutto, per gli atleti la polvere riarsa dal sole delle strade, le rocce delle salite e le insidie delle discese, per non parlare degli attraversamenti dei corsi d’acqua.
Dopo il primo giorno, Kämna è stanchissimo, vorrebbe arrivare alla fine ma, per come si sente, non riesce nemmeno a immaginare altri giorni così. «Mi faceva male ovunque, non ero abituato a tutti questi su e giù. Il segreto è avere la pazienza di aspettare il giorno successivo e provare a ripartire». Al mattino va meglio, riparte e proprio perché non ha nulla da perdere si gode il momento, il paesaggio. Nonostante il mal tempo e quella polvere che diventa maschera, che ricopre il viso e, seccandosi, quasi pietrifica la pelle.
A vincere, per la cronaca, sono Jordan Sarrou e Matthew Beers, concludere la corsa, però, non ha a che vedere con il numero del tempo o del piazzamento, bensì con la possibilità di mostrare qualcosa di nuovo nel suo genere. Che cos’è il ciclismo? Kämna e Zwiehoff rispondono. «Di certo il ciclismo non è solo il ciclismo su strada. Ci sono molte forme di ciclismo e altrettanti modi di viverlo. È sempre ciclismo, ma declinato in una maniera diversa».
Per Kämna, in fondo, è qualcosa che ha a che vedere con l’apertura mentale, senza il bisogno di incasellare sempre tutto in specifiche categorie che finiscono poi per limitare. Divertirsi può bastare. Per Zwiehoff è qualcosa che riguarda il volto dolce e gentile dell’Africa, la sua accoglienza e le sue possibilità. Per entrambi è solo e semplicemente ciclismo.