“Lâcher les chevaux” dicono i francesi. Liberare i cavalli, dare tutto superando ogni limite. Oggi, al Tour de France, abbiamo visto tradotto in atto il significato di quel pensiero.
Lâcher les chevaux, in uno sprint durato duecentocinquanta metri, ma che diciamo, in centoventinove chilometri a blocco; una cosa impensabile per qualunque essere umano, ma quando vedi in bicicletta questa generazione di ciclisti ti chiedi cosa sia umano o cosa sia super.
Su una lunga, dritta, infinita lingua d’asfalto a doppia cifra che arrivava su a Peyragudes, Pirenei, credevamo di sentire tuonare i fuochi d’artificio, ma si è solo intravisto qualcosa; si è sentito come un sibilo, che si infiltrava in mezzo alle urla del pubblico, uscire da quegli attrezzi a due ruote che parevano potersi spaccare da un momento all’altro a causa dell’energia inferta da quei due lì davanti. Digrignavano i denti Pogačar e Vingegaard. Vingegaard e Pogačar. Sempre loro, solo loro.
No, non c’è alcuna delusione a fine tappa, nemmeno se si dovesse pensare che quello lì in maglia bianca non riusciva ad attaccare quello lì in maglia gialla. Entrambi al limite, oltre il limite, mentre gli altri (quasi dispersi) messi ognuno per un angolo, ognuno dentro la propria fatica e i propri demoni, a seguire il proprio ritmo, a liberare i propri cavalli.
Lâcher les chevaux: come hanno fatto Mikkel Bjerg prima e Brandon McNulty poi. Li aspettavamo da inizio Tour, li aspettava Pogačar forse proprio in queste giornate qui da tutto o niente, e oggi, come se avessero deciso fosse il momento, hanno liberato i cavalli e li hanno buttati in strada, hanno distrutto il gruppo, e alla fine, insieme a McNulty restavano solo in due. I più forti di questo Tour, i più forti interpreti di una corsa a tappe di tre settimane, di un Tour de France che ogni giorno ci piace da impazzire.
Lâcher les chevaux, come ha fatto Quinn Simmons che finalmente sbarbato dimostra l’età che ha, che è quell’età che hanno tutti quelli che con un po’ di talento vanno forte in questo ciclismo.
Ha provato a lasciare i cavalli anche Ciccone, ma quella maglia a pois resta salda sulle spalle di Geschke; lo ha fatto Madouas per Gaudu, oppure Pinot che sceglie, in perfetto stile Pinot, una giornata in cui per i fuggitivi non c’è storia, ma che lui sia davanti o dietro resta il più atteso. Il più amato.
Lâcher les chevaux, come ha detto Gaudu dal primo giorno. Ha paura di saltare e si gestisce fino a liberare quei cavalli nei finali di tappa e oggi in classifica attacca il primato che vale il posto del primo degli umani, dietro due scesi nel ciclismo per dare spettacolo, dietro Thomas che a 36 anni non molla mica, e dietro Nairoman, per definizione, capostipite di un universo supereroistico.
Ha liberato i cavalli nella sofferenza estrema Fabio Jakobsen, ultimo, dentro al tempo massimo per 17″ e quell’idea di arrivare a Parigi (e vincere) che si avvicina. Domani permettendo.
Domani, eccolo l’ultimo atto – in montagna – per liberare i cavalli, per continuare a tormentarci guardando lo schermo e dire: “quando attacca Pogačar?”, per ammirare lo spettacolo del Tour de France con il rammarico che poi tra pochi giorni sarà tutto finito.