Tom Dumoulin era già tornato. Lo aveva fatto in silenzio, a bordo strada, in primavera. Poi lo aveva fatto in sella al Tour de Suisse, “un ragazzo al primo giorno di scuola”, nonostante il Giro d’Italia vinto nel 2017, nonostante i podi al Giro e al Tour. Al Tour de Suisse dove quella bicicletta era così simile a quella su cui pedalava da ragazzo, con poche paure, con la voglia scoprire e riscoprire. Aveva continuato a tornare all’Olimpiade, in quella voglia di porsi un traguardo e raggiungerlo, mentre la bicicletta iniziava a cambiare forma, a diventare qualcosa in più di una scoperta, ovvero un obiettivo.
Qualche tempo fa, in un’intervista al Magazine olandese Helden, aveva raccontato del perché, da ragazzino, aveva scelto il mestiere del ciclista: per tirare fuori il meglio di se stesso. E il meglio, per lui, ha sempre avuto a che vedere con la vittoria. Solo quando ha momentaneamente abbandonato il suo mondo, Dumoulin ha avuto qualche dubbio. Per quegli anni in più che si sentiva sulle spalle, per quel peso che si sentiva addosso.
Bisognava tornare leggeri per tornare a parlare di futuro.
Che Dumoulin parli di grandi giri in questi giorni è importante sopratutto perché significa che quella leggerezza è davvero tornata insieme a lui. «Puntare alla classifica generale di un grande giro è il meglio che si possa chiedere per un ciclista e io voglio puntare a questo il prossimo anno» ha dichiarato a De Telegraaf.
Allora tutti hanno iniziato a pensare a quale corsa si riferisse. Ci sono indizi che portano verso il Giro d’Italia, altri verso il Tour de France e altri verso la Vuelta. Nelle prossime settimane le cose saranno più chiare, nei prossimi mesi evidenti. Quello che già si sa è che Dumoulin ha cambiato modo di vedere le cose e lo ha fatto proprio grazie a Roglič, colui che lo ha battuto all’Olimpiade, colui con cui condivide la squadra. A “L’Équipe” ha detto che Roglič è una delle poche persone realmente in grado di ascoltare i problemi senza giudicare. Se avesse dovuto scegliere una persona da cui essere sconfitto, avrebbe scelto proprio lui.
Ascoltando e permettendo allo sloveno di ascoltare, Dumoulin ha iniziato a vedere in maniera diversa la sua carriera. Un’avventura, una semplice avventura. Da scrivere, progettare, inventare. Di cui essere fieri perché non capita tutti i giorni. A cui volere bene perché lo si fa solo e unicamente per se stessi.
Non sappiamo se la “farfalla di Maastricht” sarà all’altezza dei voli di pochi anni fa, se tornare per vincere vorrà dire davvero vincere. Però sentirlo entusiasta per i giovani prodigi con cui andrà a sfidarsi è una bella promessa. Sentirgli dire che «sarà un’occasione speciale e sarà stupendo a prescindere da come andrà, da quanto sarà difficile» fa il resto. Perché, se Tom Dumoulin parla così, significa che è davvero tornato quello di una volta. Anzi, meglio di quello di una volta. Con una nuova visuale sul mondo.