Vecchio a 26 anni, andateglielo a dire a Logan Owen che salvo modifiche al suo destino nel 2022 resterà senza squadra. Anzi tecnicamente è come lo fosse già. A settembre gli è stato comunicato che nel giro di qualche mese avrebbe dovuto restituire tutta l’attrezzatura: bici, divise, eccetera.

Sperava nel salvataggio della Qhubeka una volta compreso come nella EF non ci fosse più spazio per lui. Ha provato a bussare alla porta di altre squadre, trovandola chiusa.

E se qualcuno avesse seguito in maniera distratta la sua carriera, lo riportiamo noi sulla retta via: Logan Owen “non è Merckx” (cit.), ma nemmeno l’ultimo che passa. Lui si racconta come un corridore capace di muoversi in gruppo come fosse uno dei migliori; capace di leggere la corsa, capace di dare una mano al capitano entrandogli nella testa oppure come se lo potesse prendere per mano aiutandolo a entrare nei pertugi che si creano in quella matassa che è il plotone.

Giovane, altro che vecchio. Solido, altro che molle. Nel 2015 vinse la Liegi-Bastogne Liegi-Under 23 – oppure Espoirs, come preferite – battendo Sivakov e Guerreiro, due che si fanno o si stanno facendo bene e si faranno, anche tra i professionisti.

Ha mollato il ciclocross per la strada eppure nelle brughiere di tutto il mondo ha sempre detto la sua in maniera costante, pesante. 10 volte campione nazionale americano, nel 2013 arrivò 4° nel mondiale junior che si correva proprio negli Stati Uniti. C’era un unico favorito (indovinate chi? Il suo nome inizia per van, e batte bandiera olandese) che vinse. Dopo un problema in partenza, Owen rimontò dal 19° posto mostrando quando valesse nel muoversi tra le canalette in sella a una bici da cross. Alla vigilia pareva proprio l’unico contendente al titolo che spettava, quasi per assonanza con il suo talento, a Mathieu van der Poel.

Pare abbia deciso che, qualora le cose per lui dovessero andare male per la strada, si butterebbe nel gravel e si riconcilierebbe con il ciclocross. Ci ha pensato qualche settimana fa, facendo anche un pensierino al mondiale che nuovamente si correrà negli Stati Uniti, ma i problemi logistici lo hanno frenato: «Il problema – raccontava a Cyclingnews – è spostare me, la mia compagna, i miei cani e i miei due gatti» Un incubo, afferma.

Mentalmente, poi, trova difficile Owen allenarsi come se fosse sotto contratto. Un po’ spingi, sì, ma poi dentro ti resta quella paura di non poter correre più l’anno prossimo.

E se non dovesse trovare un contratto? Il destino di Owen ha due facce. «Forse troverò un lavoro normale o tornerò a scuola. C’è un buon programma infermieristico da dove vengo, o potrei fare un po’ di coaching per il ciclocross dalle parti di Seattle. Però se devo essere onesto ancora non so nulla di quale sarà il mio futuro». Che suona un po’ come quella celebre farse di Salinger: “Avevo sedici anni, allora, e adesso ne ho diciassette, e certe volte mi comporto come se ne avessi tredici. È proprio da ridere, perché sono alto un metro e ottantanove e ho i capelli grigi”. Vada come vada, il futuro tuttavia resta dalla parte del giovane Owen.