Basterebbe dire che, professionista dal 2003, il 2021 è stato il suo secondo anno senza vittorie, la prima volta nel 2020. Forse ci si potrebbe anche fermare alle quattro classiche monumento, manca solo la Milano-Sanremo, o al Campionato del mondo 2012. Magari alla considerazione che ha vinto su ogni terreno, dalle pietre, alla pianura, agli strappi, alla salita, che conta 77 vittorie all’attivo, tante per non essere un velocista.
Il legame tra Philippe Gilbert e la vittoria parla di tutto questo e di una considerazione che il fuoriclasse belga ha fatto in un’intervista a Procycling. A quasi quarant’anni, dopo aver vinto praticamente tutto, all’ultimo anno da professionista Gilbert si chiede che effetto gli farà tornare a vincere. C’era abituato e ricorda bene di essere sempre stato in perfetto controllo, lucido, freddo. Ora non sa come reagirebbe. Ha, però, la certezza che quest’ultimo anno non sarà pura malinconia, che tornerà a cercare la vittoria e non si accontenterà di una gara minore pur di riassaporarla, non abbasserà il livello pur di riuscirci.
Forse una nuova vittoria avrà il sapore delle vittorie degli altri, dei compagni di squadra per cui Gilbert si è messo a disposizione. Sempre, a partire da Cadel Evans, sino a Caleb Ewan. «Quando sei tu a vincere- ha raccontato- sai esattamente cosa sta succedendo, gestisci la situazione. Quando fai di tutto per aiutare qualcuno a vincere, appena te lo dicono la felicità esplode». Perché non eri pronto a provarla, perché non sei nelle gambe dell’atleta per cui hai lavorato, non sai cosa ha provato ad ogni metro. C’è una fragilità particolare anche dietro quell’atteggiamento così sicuro, quello che il belga ha maturato negli anni.
La prima vittoria, come racconta, è certamente questione di merito, ma tornare a vincere è più difficile perché tutti sanno che hai vinto, che puoi farlo e quindi te lo chiedono. Tornare a vincere per Gilbert è prima di tutto volerlo e fare qualunque cosa sia necessaria. Lì dentro c’è il fatto che per molti mesi potresti non vedere la tua famiglia, che potresti dover non pensare ad altro che a quello, limitare tutto il resto.
Philippe Gilbert ha calcolato che, nella sua carriera, ha dormito nello stesso letto al massimo per due, forse tre settimane consecutive, forse per un mese nello stesso posto. In certi periodi è stato difficile, ma, oggi, è convinto del fatto che se ti limiti «a stare a casa» non va bene perché non ti fa bene.
Per il 2022 proverà a mettere un ulteriore tassello, come detto non cederà alla tentazione di accontentarsi: se finirà fra i primi cinque, fra i migliori, alla prossima Omloop Het Nieuwsblad sarà contento perché con loro vuole lottare. E se, un domani, un ragazzino, con fra le mani la prima bici, gli chiederà qualcosa del ciclismo, lui saprà rispondere a tutto, ma proprio a tutto.