E l’ottavo giorno un incidente meccanico. Wout van Aert, smette di pedalare. Scende dalla bici e poi è costretto a inseguire. E l’ottavo giorno Thomas Pidcock pigia sull’acceleratore (in particolare tra 4° e 5° giro, come una furia, chiusi sotto il tempo di sette minuti), piccolo sì, ma forte, guidatore sublime, tecnicamente impeccabile sul circuito olandese. Impeccabile o quasi, con un errorino che nel finale rischia di pregiudicargli il successo: d’altronde il ciclocross non ricerca la perfezione nonostante i tentativi connessi a cui aspira van Aert. Il ciclocross è arte e come l’arte che piace a noi è imperfezione, tecnica, ricerca e istinto. È forza nelle gambe e nella testa.
Parlavamo di piccoli, ma tenaci, ed ecco spuntare Eli Iserbyt, prima a comandare, poi a tiro quanto non bastava per superare il rivale (di sempre), ma per creargli apprensione, quello sì, salvo dare tregua a quelle gambe che da mesi macinano chilometri e sembrano non fermarsi mai.
Hulst è Olanda, non è Belgio. Davvero poco cambia, ciclocrossisticamente intendendo. Il Vestingcross di Hulst è tecnico, ma velocissimo, il terreno varia e c’è un enorme mulino, lo Stadsmolen, tra le attrazioni da visitare. Non fossimo in piena pandemia, nella giornata di ieri sarebbe stato bello andare lì e farsi un giro. Se non è altro perché era in piena vacanza natalizia. Poi in quel mulino i ciclisti ci passano dentro in gara, si gira attorno e tra le mura. Si sale, si salta e si scende, si corre a piedi, insomma ad Hulst, che non è Belgio ma è Olanda, ci si diverte e si potrebbero fare anche un sacco di foto da ricordare. Non manca nulla (a parte van der Poel). È il ciclismo questo, e per fortuna il meglio deve sempre arrivare.
E l’ottavo giorno Wout van Aert rimonta fino al 4° posto dopo essere rimasto fermo per quasi un minuto ed essersi messo a lottare spalla a spalla con gente che incrocia solo – a malapena – sulla linea di partenza o in ricognizione.
Poche ore prima, a Baal, a casa Nys, un altro problema, ma lì un percorso più lento gli permise la rimonta, qui si interrompe senza togliere il fascino a una gara che regala un degno vincitore. Perché se non vince van Aert, ma lo fa Pidcock è comunque qualcosa di notevole. Non tutti sono d’accordo nel parlare di “big three” o “tre tenori” o vedete voi, ma a oggi, da quando è tornato van Aert, hanno vinto solo loro due.
Ha guidato magnificamente Pidcock, mentre da dietro van Aert rimontava e rimontava nella sua livrea nero-giallo-rossa. Dopo pochi minuti piombava su Venturini, il campione di Francia, 20° al traguardo, uno che non correva in coppa del mondo di ciclocross da diversi anni e l’ultima volta che lo fece arrivò 4°. Lo dribblava, sguardo da segugio in ferma, sempre rivolto in avanti a caccia.
Si ferma a sette di fila van Aert, uno che vince in media tra cross e strada una gara su tre, circa, e che nei giorni scorsi ha pubblicato una serie di dati relativi al suo 2021 tra cui 205 giorni in cui ha dormito fuori casa. Si dice che forse non ci sarà al Mondiale e sarebbe lo spot peggiore per il ciclocross, soprattutto oggi che c’è preoccupazione sulle condizioni di Van der Poel.
E allora Pidcock sogna concretamente di conquistare il titolo mondiale in tre specialità (cx, strada e mtb) e intanto approfitta e inizia a vincere qua e là, mentre Eli Iserbyt si porta a casa la coppa del mondo che proprio male male non è, succedendo nell’albo d’oro proprio a Wout van Aert.
E così l’ottavo giorno qualcosa cambia nella sfera del ciclocross, mentre restano intatti il divertimento e qualche accento con sbavatura.