«Continuiamo semplicemente a fare ciò che abbiamo sempre fatto, solo anticipando i tempi» esordisce così Roberto Reverberi, direttore sportivo della Bardiani CSF-Faizanè quando gli chiediamo degli otto ragazzi, tra cui due juniores, che la squadra ha aggiunto all’organico nell’ambito del progetto giovani. «Parliamo di atleti da proiettare tra i professionisti passo dopo passo. Anche sulla spinta dei procuratori, se non si agisce prima, questi ragazzi giungono subito in squadre World Tour o in Continental satellite. Da lì, il rischio temo sia quello di bruciarli».
In quarant’anni di questo lavoro, Reverberi ha visto le cose cambiare: «Una volta, passavano in pochi, probabilmente con un talento più pronunciato sin dall’inizio. Oggi il professionismo ha alzato di molto l’asticella. Questi otto ragazzi non devono dimostrare nulla, non chiediamo vittorie o risultati. Li sgraviamo da ogni pressione. Vogliamo solo professionalità massima, soprattutto per loro. Perchè questi treni passano una volta sola e non si possono lasciare scappare. È importante che lo capiscano».

Per i grandi risultati, invece, bisogna attendere e l’attesa, per Reverberi, è opportunità e consapevolezza. «Sanno che hanno la squadra a loro disposizione in ogni momento, se dimostrano di stare bene. Sanno anche che alla loro età il risultato principale è la continuità, non il picco. Purtroppo questo è un momento difficile. Senza gare fuori dall’Europa, a causa della pandemia, non c’è quasi più la possibilità di confrontarsi con un livello più tranquillo, ma ci si va subito a scontrare con squadroni e performance di altissimo livello. È necessario affrontare quelli più bravi, perchè quella è la realtà del ciclismo, ma servono anche le gare in Cina o in Malaysia perché ti danno morale. Ti consentono di continuare a lavorare mentre aspetti di essere all’altezza».
Nella scelta dei ragazzi, Reverberi ha osservato coloro che se la cavavano da soli e che erano sempre fra i primi pur, magari, non essendo in squadre molto blasonate. «Nelle squadre molto forti, vincono anche atleti che magari non vincerebbero in team minori. Li aiuta la tattica, li aiuta il controllo della gara. Se un ragazzo, da solo o quasi, riesce a farsi valere merita questa possibilità. Sono minimo tre anni di contratto, per provarci. Potremmo fare anche meno, perché per vedere il talento puro bastano tre mesi. Noi aspettiamo, non abbiamo fretta. Non serve diventare campioni o fare cose straordinarie. Per qualcuno ci vuole più tempo e glielo diamo».

La considerazione si sposta sui ragazzi più giovani, gli juniores, che hanno ancora un percorso scolastico in essere. «Faranno una quarantina di gare, non di più. La priorità è lo studio. Tutelarli significa anche questo». Qui si apre una parentesi importante e Reverberi vuole fare chiarezza, soprattutto in merito alla discussione sull’opportunità del passaggio nel professionismo di ragazzi così giovani: «C’è un buco normativo, solo in Italia tra l’altro. Il regolamento in essere risale a quando le squadre si dividevano tra dilettantistiche e professionistiche, per questo non prende in considerazione le Continental. Questi ragazzi, correndo con le Continental, potrebbero tranquillamente correre con i professionisti senza problemi. Si ritiene, invece, che non possano passare professionisti in quanto, in Italia sono richiesti due anni da Under23 per il passaggio. Non dico sia sbagliato, dico che le norme dovrebbero essere uniformi». Non finisce qui, perché l’accento Roberto Reverberi lo sposta proprio sulla tutela dei giovani: «Offriamo un salario minimo dei team Professional che altrimenti non avrebbero. Cerchiamo di preservarli. Credo sia necessario un adeguamento della norma. Le cose cambiano e le norme devono riconoscerlo».

Di consigli se ne potrebbero dare tanti. L’ambiente aiuterà perché, oltre ai direttori sportivi, in squadra ci saranno uomini di esperienza a supporto. Reverberi non fa nomi. Dice che non ha senso, soprattutto per non creare quelle pressioni di cui tanto si parla. «Tranquillità e lavoro sodo devono andare di pari passo. Voglio che questi ragazzi imparino a considerare ogni gara a cui parteciperanno come quella giusta da vincere. Spesso guardano troppo in là, selezionano i traguardi. Non si fa. A questa età ogni volta in cui sei in corsa devi provare a vincere. È un punto di partenza, si lascia da parte ciò che si è già fatto nelle categorie minori e si riparte. Nella vita bisogna saperlo fare. Impararlo a vent’anni è importante».