Words: Paco Gentilucci
Voice: Luca Mich
Sound design: Brand&Soda

Nel 2012 dopo aver passato più di un mese girando in autostop e dormendo sui divani di sconosciuti, la mia ex ragazza decide di raggiungermi negli USA e le chiedo di accompagnarmi a Leadville.
Stando alle regole delle macchine a noleggio USA io avevo la patente da troppo poco tempo, pur essendo maggiorenne, il che è sensato, per loro, considerato il fatto che a16 anni già possono guidare la macchina.

Leadville è fondamentalmente un paese costruito su una strada. Una strada con dei fast food e un piccolo centro commerciale con un motel (in cui dormiremo) prima di arrivare in quella che viene definita downtown: un barbiere, un coffeee shop e un negozio di vestiti dell’usato, il tutto al lato della solita strada.
La mia ex ragazza mi fissa con quello sguardo che significa siamo sul serio venuti qui? mentre io svuoto la sacca delle attrezzature per correre – un paio di pantaloncini una tshirt, un paio di scarpe e un cappello bianco con la visiera acquistato al negozio dell’usato in downtown dieci minuti dopo essere arrivato. Un cappello di Oil the Machine, un brand produttore di olio per condire l’insalata utilizzato da molti ultrarunner oltreoceano: un vero pezzo da collezione, per intenditori. A dir la verità il cappello era già molto usato e sporco, non fu un grande affare, non contrattai e lo pagai effettivamente più di quanto valeva in sé, ma il prezzo mi sembrò appropriato, chissà chi lo avesse indossato prima di me, magari AK, Anton Krupicka; chi poteva saperlo. Lo pagai volentieri, lasciando anche due dollari di mancia.
Secondo la mia ex ragazza non era stato un grande acquisto. Me lo disse apertamente mentre eravamo seduti a bere il classico caffè lunghissimo e acquoso che qualsiasi italiano definirebbe acqua sporca: io lo adoravo.
Ce lo servì un signore in camicia di flanella pieno di rughe con la barba che indossa una tshirt scolorita con scritto Leadville 100.
Com’è stato? gli chiesi, indicandola col dito
Horrible mi rispose, aprendosi in un sorriso sdentato.
In quel momento pensai di trovarmi nel posto giusto, proprio quello in cui avrei dovuto essere.
Tornati in Italia la mia ex prese a portare con frequenza il cane a spasso con un tizio, con cui dopo qualche giorno iniziò ad andare a letto, prima di decidersi a scaricarmi, dopo qualche mese. Quando mi parlava del recinto per far giocare i cani assumevo la stessa espressione con cui lei mi guardava mentre dicevo che buono bevendo quel caffè: felice, come un bambino al luna park.  

Leadville, 3094 metri di quota, città più alta degli Stati Uniti. Chiamarla città è eufemistico in quanto è più un villaggio, attorniato da questi collinoni enormi che arrivano senza difficoltà ai 4000 metri.
Cosa rende un posto degno di essere visitato?
Di sicuro Leadville non è tra le mete che strappano un “wow” o un “che fortunato” alle persone quando gli racconti dove sei stato, tipo le Hawaii o New York o il mar Rosso, ma tant’è.
Immagino che i luoghi assumano significato per le persone che ci abitano e ciò che vi succede, e ogni estate Leadville è una meta ambita per un certo tipo di persone.

Leadville nasce nel periodo storico della corsa all’oro, nel 1860. Intere generazioni di persone scommettono in un immediato futuro migliore andando a caccia della ricchezza facile, il dio denaro, che come sempre nella storia dell’uomo, offusca la razionalità. Una volta terminato il periodo dell’estrazione in California le famiglie emigrano dalla pianura alle montagne rocciose del Colorado, vestiti di stracci con in mano la speranza di un futuro migliore. Era l’isteria generale il motore della caccia all’oro, la prospettiva dei soldi, tanti e immediati, che smuoveva queste persone. Attraevano come gratta e vinci, i videopoker o un investimento spirituale in cambio del paradiso eterno. Non si trattava di cercare pagliuzze d’oro nel fiume con un retino, ma di un’estrazione sistematica, invasiva e senza tregua. La gente era disposta a tutto, lasciando la propria vita a caccia di questo materiale luccicante. Entro il 1860, Denver City, Golden City e Boulder City erano di fatto delle città che servivano le miniere. La rapida crescita della popolazione portò alla creazione del Territorio del Colorado nel 1861.

Le cose assumono il valore che le persone decidono di attribuirgli. Pensate che dei sassi sono molto più importanti della vita delle persone, possono migliorargli o rovinargli la vita per sempre.
Sassi per cui i Pellerossa o gli Indios sono stati sterminati, e per cui ancora adesso succedono guerre e che vengono mostrati come status sociale addosso alle persone in luccicanti anelli e crocifissi al collo.
Dei sassi luccicanti che influenzarono la vita delle persone, arricchendone molte, e conducendone molte di più al baratro. Nella metà del 1860 i flussi auriferi terminarono e molte persone si ritrovarono con un pugno di mosche in mano, i minatori senza lavoro e molte malattie per le condizioni di lavoro estreme e città che sarebbero diventate fantasma nel giro di pochi anni, come Uptop, intera città messa all’asta nel 2015 per un milione di dollari.
Oro City stessa, la cittadina che nasceva a un miglio dall’attuale Leadville, raggiungeva nel 1860 ben 5000 abitanti censiti, ma scomparse velocemente assieme all’oro dei giacimenti. 

E Leadville?
Leadville fu fondata nel 1877 dai proprietari di miniera Horace Tabor e August Meyer durante la Silver Rush. Si, perché terminato l’oro, i minatori riuscirono a estrarre da quelle montagne martoriate dell’argento. Non fu mai un vero boom come quello per l’oro, ma Leadville, in precedenza chiamata Slabtown (in quanto giaceva nella desolata pianura sotto le montagne) venne ribattezzata Leadville e ben presto si sviluppò con illuminazione e gas, strade, scuole, banche e ospedali. Personaggi di spicco vissero lì, prima che Leadville tornò ad essere una cittadina quasi disabitata (circa 2000 persone ci abitano oggi) e tra tutti vogliamo ricordare la nostra connazionale Giuseppina Morlacchi, ballerina milanese emigrata negli stati uniti e stabilitasi lì per il resto della sua esistenza.
Chissà cosa avrebbe pensato di quegli individui che si sarebbero trovati nella sua cittadina per correre 160 km in bici, o a piedi, da lì a qualche secolo.

Il tasso di disoccupazione a Leadville è altissimo, più di 3000 persone si ritrovano senza lavoro a causa della crisi mineraria. Serve qualcosa di nuovo, ma la terra è già stata spremuta e non può più offrire niente alle persone del Colorado. Serve una prospettiva nuova e a trovarla sono Ken Chlouber e Merilee Maupin a guardare ciò che vedono ogni giorno dalla loro casa in modo diverso. Montagne, a perdita d’occhio, e strade sterrate percorse normalmente in jeep. Ken nato in Oklahoma giocava a football, come chiunque, da quelle parti e si laureò in biologia, dopo essersi arruolato nell’esercito. Un giorno, andando a caccia con gli amici per noia, si beccò un proiettile da un amico, proiettile che ancora adesso è nel suo ginocchio. Dopo essersi sposato e avuto un figlio si trasferì a Leadville, trovando lavoro in un’azienda di estrazione mineraria, negli anni 70 prima di approdare nella politica come Repubblicano ed essere eletto alla Colorado House of Representatives dove lavorò per 10 anni. Ken è però anche un appassionato corridore, trascorre molte ore sui sentieri e le grandi strade sterrate attorno Leadville.
Un giorno si trova a leggere il racconto di questa gara che è già sulla bocca di tutti – o per meglio dire, di tutti i fuori di testa pionieri dell’ultrarunning– chiamata Western States 100 Endurance Run. Una gara in california di 100 miglia (160 chilometri) che un ragazzo di Auburn ha inventato, iscrivendosi alla gara, allora corsa per cavalli (la Tevi’s Cup) correndo senza cavallo e coprendo la distanza a piedi, in meno di 24 ore. Una cosa così folle e avveniristica da smuovergli qualcosa dentro. Perché le persone non potrebbero correre 100 miglia qui?
“L’altitudine forse li ucciderebbe” provò a spiegargli il dottore del posto.
Ken alzando le spalle lo mandò a quel paese.
L’anno dopo, nel 1983, 45 corridori erano al via, nessuno di essi morì.
La Leadville 100 era ormai nata, ed è una tradizione che prosegue fino ai giorni nostri. 

Leadville 100 è in assoluto una delle gare più importanti per qualsiasi ultrarunner al mondo. Nel percorso che parte da downtow, arriva a Hope Pass e torna indietro sulla stessa strada dopo aver girato attorno a un birillo, tutti i nomi più importanti della storia della corsa si sono dati battaglia. Dai record imbattuti dei leggendari Matt Carpenter in 15 ore e 42 minuti e Ann Trason in 18 ore e 6 minuti, arrivata seconda assoluta nel 1994 e vincitrice di Western States per 14 volte i sentieri della cittadina del Colorado trasudano storie e leggende. Dalla resurrezione di Rob Krar che è stato capace di tornare a vincere nel 2018 dopo la sua vittoria nel 2014 e una lunga assenza a causa di infortuni; alla consacrazione di Clare Gallagher che corse per la prima volta nella sua vita 100 miglia, bevendo litri di Coca Cola e mangiando cibo spazzatura stampando il secondo tempo più veloce della storia, senza aver praticamente mai gareggiato prima. Vogliamo parlare delle due vittorie di Anton Krupicka?
La prima volta questo capellone simile a Gesù corse a torso nudo, scarpe minimali a cui aveva tagliato via la suola e una borraccia infilata nel retro dei pantaloncini, staccando qualsiasi altro corridore, dopo una notte trascorsa dormendo nei bagni pubblici.
Una notte burrascosa trascorsa con i suoi pacer Julian Boggs e Alex Nichos durante la quale un ubriacone continuò a urlare fino all’alba, momento in cui Anton partì, per vincere la gara. 

Tutti i grandi nomi dell’ultrarunning sono passati, almeno una volta, da Leadville: Jurek, Sherman, Sandes e in questo posto sperduto del Colorado il seme della distanza ha portato anche alla creazione della gara in mountain bike, corsa per la prima volta nel 1994.
Il percorso? Lo stesso della gara di corsa a piedi: vai avanti 80 chilometri, ti giri e torni
indietro fino all’arrivo. Out and back.
Follia?
No, una cosa sensata per tutti quelli che la capiscono.

La Leadville 100 trail MTB nasce appunto nel 1994 grazie a un’idea di Tony Post, uno dei pionieri dell’ultrarunning, nonché ex-vicepresidente di Rockport Company, sponsor dell’evento. Lo stesso Tony Post che diventò CEO di Vibram USA e poi diede vita al suo brand di scarpe da corsa, innovativo e da poco presente anche sul mercato italiano: Topo Running.
Con il benestare del solito Ken Chlouber la pioneristica gara in bici passò dall’essere una faccenda per pochi scoppiati al diventare una gara must dell’ambiente. Le 150 iscrizioni del primo anno finirono ad essere le1700 richieste di partecipazione dell’anno scorso. Richieste, si, perché per accedere alla gara non basta pagare e partire, ma bisogna guadagnarsi l’iscrizione per merito (vincendo una delle gare qualificanti, solitamente sulla distanza di 100km) o tramite un bacio della dea bendata, vincendo la lotteria a estrazione che si tiene prima della gara, lotteria ovviamente esistente anche per la gara di corsa.

La quota, la lunghezza e le condizioni climatiche che possono variare dal caldo asfissiante alla neve e al fango rendono questa gara un’esperienza memorabile per molti, che si tratti di lottare per il podio o per vincere la fibbia da finisher, che nella gara in mountainbike prevede il cutoff dopo 9 ore (per ricevere la big buckle) e di 12 come cutoff massimo per essere nella classifica.
E i primi? I tempi dei primi classificati rispecchiano l’evoluzione di questo sport, di bici sempre più performanti e preparazioni atletiche sempre più mirate per questo evento. Il primo vincitore e la prima vincitrice di Leadville Trail 100 MTB furono John Stamsad e Laurie Brandt coi rispettivi tempi di 7 ore e 52 minuti per la gara maschile e poco più di 9 ore per quella femminile.  Per vincere la gara adesso bisogna essere in grado di percorrere i 160 km in poco più di 6 ore tra gli uomini e di 7 tra le donne. Il livello si è alzato di anno in anno, ma la svolta avvenne quando in griglia di partenza si presentò David Wiens, un ragazzo di Denver, nel 2003. 

Già mountainbiker di buon livello, Wiens vinse la gara nel 2003 inanellando una serie di vittorie consecutive in questa gara, fino al 2007. Nel 2007 però in griglia di partenza c’era anche un ciclista non proprio qualsiasi: Floyd Landis. Era chiaro ed evidente a tutti che David avrebbe perso la sua imbattibilità, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul ragazzo del posto, campione di mountainbike si, ma già ritirato dalla carriera, e che comunque, al prospetto di un grande mostro del ciclismo su strada, era un signor nessuno. Landis, al tempo ancora professionista su strada, nonché vincitore del Tour de France 2006 (prima che questo successo gli venne revocato per la orribile vicenda di doping in cui era coinvolto e che sconvolse il ciclismo di quegli anni e che venne sospeso l’anno seguente dalle competizioni) venne tuttavia battuto da Wiens, che compì il miracolo di vincere la gara abbattendo il muro delle 6 ore, per due minuti.
cosa successe l’anno dopo?
In linea di partenza c’era un texano che in bici aveva spadroneggiato, battendo qualsiasi altro corridore della terra, un corridore amato o odiato, che nell’armadio a casa collezionava varie maglie gialle. Anzi, più che varie dovremo dire, più di chiunque altro. Erano 7.
Si, proprio un certo Armstrong. Lance Armstrong. 

Alla domanda ricevuta pochi mesi prima, un giornalista chiese a Lance come sarebbe voluto essere ricordato dopo la sua settima vittoria al Tour, Lance dichiarò:
«Come il campione che ha radicalmente cambiato il modo di avvicinarsi e vincere il Tour. Il lavoro invernale, la costruzione della squadra, gli stage su Alpi e Pirenei, l’approccio studiato nei dettagli. Per sette anni io ho vissuto per il Tour». E alla domanda
Addio definitivo? Nessun ripensamento?
Lance tuonò: «Nessuna possibilità di tornare alle gare col numero sulla schiena. Non farò come Michael Jordan. Andrò ancora in bici per restare in forma e potrei anche partecipare a qualche corsa di mountain bike o cross, giusto per divertirmi”

A differenza di quanto dichiarato, Lance sarebbe tornato l’anno dopo al Giro d’Italia. Lance si preparava quindi, non aveva mai smesso, e si allenava per il suo ritorno al ciclismo professionistico, e una cosa era certa: non si era iscritto a Leadville 100 per perdere. Lance non era il tipo di persona che si iscriveva alle gare per divertirsi e basta.

Ad ogni modo, in quell’estate del 2008 Lance non si stava divertendo molto.
Wiens gli era attaccato alla schiena, nonostante il ritmo forsennato da record di gara, a meno di 10 miglia dall’arrivo, e i due procedevano appaiati in salita.
A 20 minuti dagli inseguitori Lance non riusciva a scrollarsi David di dosso, e provò ad accelerare, ma Wiens non mollava. Successe l’impensabile, Lance si girò e dichiarò:
Sono distruttoI’m done. Ordinando a Wiens di andare da solo all’arrivo.
Wiens, che veniva dai trails e non era abituato alla concorrenza assoluta della strada si trovò a rincuorare Lance, a tenere duro, gli disse di continuare, disse a Lance di non mollare e di proseguire.
Immaginate la scena: un signor nessuno che dice a Lance Armstrong, il corridore più tiranno e assetato della storia, che spadroneggiava su tutto il gruppo al Tour de France e che piazzava i suoi uomini della US Postal a tirare ai 60 all’ora solo per distruggere i sogni di gloria dei corridori fuori classifica colpevoli di non essergli simpatici, di tenere duro e arrivare assieme all’arrivo, semmai giocarsela in volata.
Fu la prima volta nella storia che Lance Armstrong disse ciò e ribadì il concetto con poche semplici parole: I’m done.
Wiens non si guardò più indietro e sollevò le braccia all’arrivo per la sesta volta consecutiva, battendo ancora una volta il record di gara, di due minuti.
Lo stesso Armstrong confidò che mai nella sua carriera aveva detto quelle parole a un avversario.
Non passò molto tempo che Lance affermò il suo ritorno al ciclismo professionistico e la sua volontà di rivincita su Wiens, a Leadville 100.

Grazie a questa vicenda Leadville Trail 100 diventò una gara sotto i riflettori della ribalta e il numero di professionisti del ciclismo aumentò di anno in anno. Lo stesso Armstrong tornò per vincere la gara, nel 2009, e il suo compagno di squadra alla Radio Shack Levi Leipheimer vinse l’anno dopo con il tempo record di 6 ore e 16 minuti, correndo per la prima volta su una mountain bike.

Leadville era polvere, sudore, una gara che portava al limite i corridori: anche i più forti atleti del pianeta dovevano soffrire almeno 6 ore per arrivare in fondo. Leadville era, ed è, la mecca per certe persone, non più a caccia di oro, ma di emozioni forti. Leadville è storia, leggenda ed è molto più di una semplice gara in mountain bike.
Il mio consiglio?
Al coffee shop del paese fanno un caffè squisito.