Quando, a ottanta chilometri da Landerneau, col gruppo a poco più di due minuti, Ide Schelling, BORA-Hansgrohe, ha staccato i suoi compagni di fuga, in molti gli avranno dato del folle. Se già c’erano poche possibilità di arrivare al traguardo in sei, figuriamoci da soli. Infatti Schelling al traguardo non è arrivato, non davanti almeno, ma di lui bisogna parlare per un altro motivo.
Sbarbato, soli ventitré anni, ma ne dimostra anche meno, il ragazzo de L’Aia ha un cognome da filosofo, l’eco di Friedrich Schelling si fa sentire, e una parlata veloce. Dice di essere il classico ragazzo della porta accanto, uno di quelli a cui piace ridere e scherzare e non prendersi troppo sul serio. In bicicletta lo dimostra facendo una volata solitaria al traguardo volante di Brasparts solo per vedere il pubblico esaltarsi e battere le mani contro le transenne. Forse ha pensato che al traguardo finale non sarebbe mai arrivato, così ha voluto sentire la sensazione che si prova quando tutti sono lì per te. Oppure, semplicemente, gli è passato quello per la testa e lo ha fatto, come i ragazzi semplici, un poco “matti”.
Quando gli chiedono cosa vorrebbe in bicicletta risponde la cosa più scontata, banale, ma forse anche la più vera, perché, alla fine, senza ipocrisie, tutti corrono per vincere e lui lo dice senza tentennare: «Vorrei provare a vincere una corsa. Credo sia una sensazione unica che non si può spiegare». Ma non si ferma lì. «Mi piace andare in bicicletta perché mi piace soffrire. So di essere sulla buona strada, sto lavorando molto per crescere e per essere una versione migliore di me stesso. Sto lavorando per essere più preciso, più attento e ci riuscirò».
Ed è questo che ci piace raccontare di Schelling: un ragazzo che lavora sodo per essere la versione migliore di se stesso, che non parla di campioni a cui assomigliare o di idoli, ma dei piccoli passi che lo porteranno a essere più attento o più preciso. Che va ad allenarsi sulle pietre o sul pavé anche se «sono la cosa più simile al dolore». Che in fuga si sente a casa propria e che, fra dieci anni, non vorrebbe altro che essere dov’è adesso perché è felice.
Soprattutto Schelling ci piace perché ha fatto qualcosa di apparentemente senza senso che in realtà il senso l’aveva eccome. Perché, se pesassimo sempre tutta la vita sulla bilancia della razionalità, avremmo una mera serie di calcoli matematici, così invece possiamo crederci, sognare e illuderci perché anche l’illusione serve, ogni tanto. Non solo. Ci piace perché la storia di Schelling è la storia di chi ha tenuto fede a quello che era il suo dovere fin dal mattino presto: andare in fuga. E lo ha fatto senza esitare, anche quando sembrava un pazzo. Appassionatamente, dignitosamente, senza prendersi troppo sul serio, ma prendendo con estrema serietà ogni metro di strada.
Foto: Ralph Scherzer