Chissà come avranno vissuto l’arrivo della tappa del Mûr de Bretagne a Komenda, il piccolo quartiere della cittadina di Klanec, in Slovenia, dove è cresciuto Tadej Pogačar. Ieri, il suo secondo posto ed il terzo di Roglic sono stati dei segnali molto chiari: i due sloveni vogliono contendersi anche le briciole di questo Tour de France.

Ora sono uno davanti all’altro in classifica, un solo secondo a dividerli: Pogačar a tredici secondi, Roglič a quattordici.
Noi vi riportiamo a Komenda perché lì è cresciuto Tadej e ogni anno, a maggio, se non è in corsa, vi ritorna per trascorrere del tempo con la famiglia. Sua madre, Marjeta, ha un orto fuori da casa. Forse nelle fasi iniziali della tappa sarà stata lì e qualcuno l’avrà chiamata all’avvicinarsi del Mûr. Lì coltiva verdure sin da quando Pogačar era bambino.

Per questo Tadej conosce perfettamente ogni ortaggio e ogni legume. La sua è stata un’infanzia come quella di molti altri ragazzi cresciuti in paesi rurali, un’infanzia che è ancora vicina sebbene siano cambiate tante cose e Pogačar sia per tutti il vincitore del Tour de France, perché il talento sloveno ha solo ventidue anni e quei momenti se li ricorda bene.

Accanto a lui il fratello, Tilen, di tre anni maggiore: “Vedete? Là in fondo c’è la fattoria di mio zio” racconta Tadej a L’Equipe. “Da bambini, io e Tilen andavamo tutti giorni laggiù a prendere il latte e lo mettevamo in un barattolo di ferro per portarlo a casa. Sapete quante volte ci è capitato di rovesciarlo?”. Un villaggio e una famiglia poveri. I due fratelli per molti anni hanno un solo monociclo e lo condividono, per andare a scuola, dai familiari o dagli amici, perfino in chiesa. “Un giorno ci è stato rubato e non siamo più riusciti a ritrovarlo”.

Qualche segnale di ciò che sarebbe stato, tuttavia, c’era e Pogačar ci scherza su: “Non è che avessi molte altre possibilità, sono cresciuto circondato dal giallo. Questa casa ha sia i muri esterni che quelli interni dipinti di giallo”. In camera sua, poi, un disegno fatto a matita fuoriesce leggermente da un armadio ricolmo di trofei: si tratta di un ciclista che sta per iniziare a scalare una montagna.

La mente di Pogačar, in realtà, non è lì, ma già proiettata in avanti. Spiega che soffre solo a pensare a quando, un domani, non potrà più andare in bicicletta. Di più. Racconta proprio di non riuscire a immaginarsi quel giorno. Probabilmente perché, quando vieni dal niente, quel ricordo ti resta sempre dentro e sai meglio di chiunque altro che le cose possono, o forse devono, finire. Così ci pensi e provi paura anche se sei in Francia a giocarti il tuo secondo Tour de France a soli ventidue anni.

Foto: Bettini