La fuga, per Marco Frapporti, non è solo la fuga, non è solo l’andare in avanscoperta per chilometri e chilometri, spesso da soli e con la consapevolezza che si tratta di un gioco impari, perché il gruppo ti inghiotte. La fuga è un modo di essere: «Io sono così, vivo così. Molto all’estremo, in prima persona senza troppe paure di assumermi le mie responsabilità. Ero così anche da ragazzino: se dovevo dire una cosa la dicevo, anche se poteva farmi danno. Non so controllarmi ed è un bene ma anche un male: a molte persone non piace la schiettezza, molte persone preferiscono le vie di mezzo o le mezze verità. Se vedo un torto o un qualcosa che percepisco come ingiusto, devo intervenire. Devo dire la mia e difendere la persona che si sente accusata. Sarebbe meglio stare zitti? Può essere ma non mi interessa».
Marco e Simona, sua sorella, correvano sin da ragazzini. I genitori gestiscono un’azienda e di ciclismo non conoscono quasi nulla ma vedendoli così appassionati decidono di buttarsi in una nuova avventura: raccolgono qualche sponsor, investono loro risparmi e danno vita a una squadra di ciclismo che cresce una sessantina di ragazzi, da giovanissimi a juniores: «Mi mettevo in testa al gruppo e scattavo. Per me correre significava stare lì davanti. Ritorna quel concetto del metterci la faccia: non è detto che si debba vincere ma se non ci si prova non ha senso. Ho fatto così per tante gare e alla fine mi sono reso conto che quel modo di interpretare le corse mi riusciva bene. Potrei dire che mi apparteneva. Sai, nell’andare in fuga, c’è qualcosa che si impara e qualcosa che appartiene al tuo dna». Il discorso si infittisce e Frapporti snocciola ogni meccanismo delle fughe: «Non è che in fuga ci si trovi. Quelli che aspettano di trovarsi in fuga, sono quelli che poi, in fuga, non vedi mai. Devi correre davanti e volere fortemente la fuga. Non a caso si dice “portare via la fuga”. Vuol dire farsene carico. Puoi imparare, certo, ma una parte è istintuale. A tanti corridori si chiede di andare in fuga ogni mattina, per magari cinque o sei tappe. Non ci riescono, ci provano ma non entrano nelle fughe. Questa è una componente che o ti appartiene o non ti appartiene. C’è poco da fare. Poi subentrano altri meccanismi, quelli che in televisione non si vedono e si raccontano poco. Per esempio il barrage. Cos’è? Beh, quando parte la fuga puoi scegliere cosa fare e lo scegli in base a diversi fattori. Il primo è se nella fuga hai un uomo della tua squadra. Se non lo hai devi andare in testa al gruppo e tirare a tutta per riprenderla e, magari, provare a ripartire. Se lo hai devi “coprirgli le spalle”. Noi lo chiamiamo “barrage”. In sostanza ci sono tratti di strada più complessi, con strettoie, curve, dossi. Ecco, se hai un compagno in fuga, devi metterti in testa al gruppo e rallentarne l’andatura così da favorire il tuo compagno. Io lo ho fatto diverse volte per Giovanni Visconti, quest’anno».
Marco Frapporti racconta che il ciclismo per lui, Simona e Mattia, il fratello minore, è un forte collante: «Non esiste giorno in cui, sentendoci, non ci si dica qualcosa del nostro lavoro. Ci consigliamo o ci rimproveriamo, prendiamo spunto gli uni dagli altri e, magari, ci chiediamo, cosa avremmo fatto noi in quella situazione. Io e Simona ci somigliamo molto per indole caratteriale, Mattia no. Mattia è proprio tranquillo, uno dei classici ragazzi del tipo “se cade il mondo, mi sposto un poco più in là”. Devo dirti che lo invidio, perché è fortunato, vive molto meglio rispetto a me». Di sicuro, quello che non manca a Marco è l’intensità che si riverbera sia sul fare che sul raccontare: «Provo sempre a vincere, purtroppo sono anche abbastanza sfortunato. Però mi emoziona vivere la corsa in un certo modo. Ricordo un paio di anni fa, in Israele, venni ripreso a due chilometri dal traguardo. Sì, ti spiace aver perso, ti rode, però per come sono fatto io ero comunque contento. Anche solo per tutta quella gente che ti applaude e per quei luoghi nuovi che hai visto. Di sfuggita ma li hai visti e tante persone non hanno questa fortuna».
Per parlare in maniera approfondita di Bruno Reverberi, di Gianni Savio e di Luca Scinto, tre figure che hanno segnato e segnano la sua vita da atleta, servirebbe un libro ma Frapporti ne tratteggia bene qualche caratteristica: «Reverberi ha sempre creduto che la differenza la fanno i corridori e, forse per questo, dei materiali o di altre finezze, si è interessato poco. In parte ha ragione perché se non vai, la bicicletta non può farci nulla. I materiali ed il contorno, però, sono importanti e credo sia sbagliato non considerarli. Savio è un “uomo passione”. Ed è questa sua passione a fargli fare tutto ciò che fa, condivisibile o meno. Lui si butta molto nelle cose, magari anche senza conoscerle. Io, per esempio, non ho mai condiviso i suoi continui paragoni fra calcio e ciclismo: sono sport diversi, è inutile raffrontarli. In ogni caso, è un grande scopritore di talenti e allestisce squadre di ottimo valore. Scinto, fra i tre, è quello che sa meglio motivare. Ti tira fuori una grinta che nemmeno tu pensi di avere. Credo si noti anche dalla televisione». E Frapporti ha mai pensato a un futuro in ammiraglia? «Tanti mi dicono che mi vedrebbero direttore. Non lo so. I miei hanno un’azienda e, se dovessero aver bisogno, io non esiterò un attimo ad andare a lavorare da loro. Se mi arrivasse una proposta all’interno dell’ambiente del ciclismo la valuterei seriamente: questo è il mio mondo».
Lo sguardo su una realtà è tanto più interessante quanto più viene da chi quella realtà la vive. Ancor di più se chi fornisce questo sguardo non bada a ipocrisie e convenienze d’occasione: «Il ciclismo è un mondo solare, senza dubbio. Ma, con altrettanta franchezza, devo dirti che non è un mondo meritocratico. Non c’è meritocrazia. Molti interessi sono prettamente di natura economica e vengono gestiti da procuratori che hanno voce in capitolo e forza contrattuale. Questo va anche a discapito di corridori forti, che hanno competenze e professionalità. Non voglio peccare di presunzione ma credo che mi sarei meritato di più nella mia carriera. Questo detto con il massimo rispetto delle realtà per cui lavoro ed ho lavorato. Realtà a cui sono riconoscente».
Marco Frapporti non è solo questo. C’è tanto altro e prima o poi ve lo racconteremo ma, in primis, una novità: «Questi giorni a casa li sto vivendo molto bene. Mi sto dedicando alla mia compagna: è incinta, a maggio diventerò papà. I medici ci hanno detto che il termine è fissato per il 24 maggio. Speriamo tardi un poco e mi dia tempo di tornare dal Giro d’Italia».