Miriam e la paura si sono conosciute bene. Forse, proprio conoscendo la paura, Miriam ha capito che c’è sempre almeno una possibilità di salvarsi o di essere salvati. Spesso, poi, la salvezza dalla paura non viene nemmeno da un eroe coraggioso, da un cavaliere senza macchia e senza paura. Spesso dalla paura ti salva chi ha paura quanto te, chi riesce a sentire la tua paura e a starti sempre più vicino: «Ero alla Sei Giorni di Fiorenzuola, qualche anno fa. A portarmi su nel keirin c’era Davide Arzeni. Io tremavo per l’ansia e per la paura, è normale. Si tratta di una adrenalina molto forte. Anche Davide però tremava mentre mi spingeva. Forse il suo tremore era anche più forte del mio. Io posso raccontarti le mie sensazioni, posso spiegarti il perché, posso narrarti il più piccolo sussulto nel mio stomaco. Questo posso farlo. Non riuscirei mai a spiegarti il suo. Mi ha commosso. Sai perché? Per quanto riusciva a starmi vicino, per quanto riusciva a condividere il mio sentire. Davide era me in quel momento. Senza dire una parola, solo con la forza della vicinanza». Senza parole, certo, perché come tutte le sensazioni e la maggior parte delle condivisioni spiegare non serve a nulla. Quante volte vorremmo essere capiti in un nostro timore o in un nostro volere e per questo cerchiamo di spiegare o di chiedere? Spesso non serve. Sì, perché per capire certe cose devi farti parte dell’altro e provare ad ascoltarle. Ascoltare le sensazioni prima delle parole. Lì capirai come stare vicino a qualcuno, lì capirai cosa desidera veramente la persona a cui sei accanto.
Miriam Vece in pista è arrivata proprio grazie a chi ha saputo ascoltare un istinto, un talento non ancora pienamente palesato. Quel giorno, quel primo giorno, Miriam ha pianto e ha avuto paura. Qualcuno però stava ascoltando oltre. Per fortuna, perché poi il velodromo è diventato il mondo di Miriam: «Nel velodromo c’è una sorta di vita parallela che accomuna tutti coloro che sono all’interno della struttura. Si condivide tutto. Con le compagne, ma non solo. In gara non deve essercene per nessuna, ma finita la gara si esce assieme. A Berlino, l’ultima sera siamo uscite tutte assieme: russe, messicane, olandesi. Tutte assieme. Ti senti meglio quando puoi condividere». Chi ha più anni di te, chi è più grande di te, ha questo dovere: spronarti affinché tu possa seguire la strada in cui credi perché lì e solo lì avrai la felicità che chi ti vuole bene desidera per te: «Ai primi ostacoli mi ero sempre fermata. Come accadeva qualcosa che mi faceva male, che mi faceva soffrire o mi mortificava, cambiavo strada convinta che quella intrapresa non facesse per me. È successo anche con la pista, sai? Cosa si può pretendere, d’altra parte? Tanti allenamenti, sacrifici, notti insonni e pasti saltati perché le prime volte, da junior, divorata dalla tensione, non riuscivo neanche a mangiare i giorni prima della gara. E poi magari ti qualifichi, fai la prima batteria e ti eliminano. Me lo sono chiesta tante volte: siamo sicuri che questo sia il mio futuro?».
Oggi Miriam ha risposto a quella domanda e sa bene cos’è giusto. Anche quando ha paura: «Una volta, in una partenza del keirin, sono incappata in una brutta caduta. Quella abilità, quella di fiutare la partenza giusta, è rimasta nel mio DNA, ma la mente mi riporta sempre a quei momenti e ho paura. Razionalmente non riuscirei a fare ciò che faccio. Si va a sessanta chilometri orari e posso assicurarti che tra i manubri spesso non c’è più di un centimetro. Alcune atlete sono molto brave a buttarsi in tutti gli spazi. Io, ironizzando, le chiamo “assassine”. Sono incredibili. Bello da vedere, ma posso assicurare che quando si è lì si ha paura. E quel ricordo torna sempre». In camera sua ci sono tutte le medaglie che la pista le ha consegnato: «Sono tutte qui, sai? A volte le guardo e penso che ne vorrei di più. Poi guardo meglio, ci penso un attimo e mi dico che per ora possono bastare». Questo è molto bello ma non sono solo quelle ad averle dato la forza di affrontare le paure che le si sono presentate e continueranno a presentarsi alla sua mente. Le paure, Miriam, le ha sconfitte perché non é restata sola a viverle e perché ha capito che lasciare quel mondo per la paura non la avrebbe salvata dalla paura stessa, che si sarebbe ripresentata in altre forme ed in altri mondi, l’avrebbe solo resa infelice: «C’è un rapporto troppo stretto con la bicicletta. Me ne sento parte. Per quante volte nei periodi di crisi abbia pensato di gettarla in qualche angolo e lasciarla lì, non saprei mai vivere senza la bicicletta. È un futuro che non riesco nemmeno a pensare. O forse non voglio proprio pensarci».
Foto: Bettini