Quando Mario Conti, guida alpina, Ragno di Lecco, ha chiamato Stefania Valsecchi, ha detto solo poche parole: «C’è un viaggio che fa per te». Di fatto, Stefania ed Eleonora Delnevo si sono conosciute in questo modo e, da quel momento, sono diventate Steppo (Stefania) e Lola (Eleonora). Il viaggio di cui parlava Conti era, per l’appunto, il viaggio pensato da Lola Delnevo, anche lei alpinista, anche lei Ragno di Lecco, fino ad un brutto incidente nel 2015, proprio mentre scalava, che le ha fatto perdere l’uso delle gambe. «Il contatto con la natura è la cosa che più mi è mancata in questi anni. Le mie amiche, sapendo del mio legame con la montagna, hanno provato a spingere la mia sedia a rotelle anche nei sentieri fra i monti, ma io ho sempre voluto riprendermi la mia libertà. Volevo vivere quei posti in autonomia. All’handbike sono arrivata così». Sì, proprio lei che ammette di aver usato ben poco la bicicletta nella sua vita, più che altro per andare a scuola, è arrivata al ciclismo nel momento in cui di una bicicletta aveva più bisogno.
Il punto è che, avendo viaggiato molto per il mondo, con quell’handbike non ha pensato a un viaggio semplice, ma ad uno dei più complessi, come quello sulle strade della Patagonia. «Non sapevo come sarebbe andata, però, troppo spesso, ci si ferma ai dubbi, a quel che si ha il timore di non riuscire a fare, non volevo finisse così quest’idea. Ora lo so per certo: meglio partire, in ogni caso». Stefania, in quel viaggio, l’ha accompagnata, con un’idea ben precisa: affiancarla mentre quella fantasia diventava realtà. «Ho viaggiato tanto in bicicletta e mai ho iniziato a pedalare solo per pedalare- spiega Stefania- ho sempre voluto che il viaggio avesse un senso, qualcosa in grado di restare anche al ritorno a casa». Negli anni, Stefania ha attraversato l’arco alpino in omaggio al periodo in cui Lecco era città alpina dell’anno, con tante cartine, sola all’inizio, in compagnia alla fine «perché, quando sei in bicicletta, qualcuno incontri sempre, qualcosa condividi sempre», ha unito Monte Bianco, Gran Sasso ed Etna tra bicicletta e camminate, per una promessa fatta al medico che la operò dopo un incidente, proprio mentre era in sala operatoria, è andata sull’Olimpo nel 2020, l’anno in cui si sarebbero dovute tenere i Giochi Olimpici di Tokyo, poi rimandate a causa della pandemia ed il primo gennaio 2023 è partita con Eleonora per la Patagonia: in programma 1500 chilometri per attraversarla, 1200 in bicicletta.
Patagonia vuol dire steppa, arbustelli spinosi, paesaggio inospitale, a tratti monotono, e, soprattutto, un vento forte che sposta anche le macchine che, all’interno, talvolta hanno incudini per fare peso, per ancorarle a terra. C’è il colore caffè e latte e il profumo dell’asado, la carne tipica argentina: «Quando arrivavamo in un villaggio, magari dopo giorni senza nemmeno la possibilità di comunicare per la mancanza di rete, respiravamo quel profumo e quasi ci sentivamo in famiglia. Basta poco quando si è lontani». Eleonora scopre dal basso quella natura che era abituata a vedere dalle rocce, una prospettiva invertita: «Non è stato facile tornare a prendere contatto con le montagne dopo l’incidente, ma il viaggio è la mia dimensione. Il mio modo di stare bene e ritrovare la portata umana che stiamo perdendo, sciolta nella velocità, nella liquidità di ogni cosa». A questo valore da ricercare, Delnevo aggiunge una precisazione: «Spesso, quando c’è una disabilità, si pone attenzione alla persona e a ciò che fa in quanto disabile, non in quanto persona. Il viaggio è anche un modo per ricordare di interessarsi e di parlare sempre e solo delle persone. Poi ci sono vari modi di fare le cose, ma il modo si trova, si cambia. La persona è il punto fermo».
Si segue la rotta della “Ruta 40”, da El Chaltén, El Calafate, le Torri del Paine, il parco Nazionale connesso, la Bahía Inútil, il Lago Fagnano e via. Talvolta si devono usare mezzi pubblici, pullman, perché non è proprio possibile pedalare ma anche in quelle occasioni il fatto di essere in bicicletta è un modo di riconoscersi. Stefania racconta: «Quando due ciclisti si incontrano, si fanno la festa, si spostano dall’altro lato della strada a salutare, si abbracciano, si commuovono talvolta. Fare lo stesso viaggio, vuol quasi dire conoscersi: è significativo». Forse per questo motivo due ragazzi portoghesi che stavano percorrendo la “Ruta” con delle motorette, non hanno esitato a dare delle bottigliette d’acqua a Steppo e Lola che, quel giorno, erano quasi rimaste a secco. Forse per questo Monica, una automobilista, il secondo giorno di viaggio, ha trasportato le borse di Stefania, danneggiate da un incidente, al villaggio più vicino, per ripararle con fil di ferro, nastro adesivo e fascette, permettendo a Stefania ed Eleonora di pedalare più agevolmente in un vento particolarmente insistente. Certamente per questo, ancora oggi, Delnevo e Valsecchi sono in contatto con i viaggiatori incontrati in quei giorni: «Non importa che lingua parli, in un modo o nell’altro ti capisci, ti fai capire». Viaggiatori che vengono da tutto il mondo, che, ancora oggi, stanno continuando i loro viaggi e chissà dove arriveranno. Nel ricordo, anche il sorriso con cui gli abitanti di quelle terre accolgono, la costante voglia di rendersi utili, di ascoltare ogni domanda e di rispondere con gentilezza anche alle più scontate.
Quando in Patagonia era l’alba, in Italia era mezzogiorno e i bambini della scuola elementare in cui Stefania insegna erano in aula: un collegamento via internet, uno schermo e quei bambini ascoltavano quelle due viaggiatrici raccontare la loro giornata, spiegare la geografia e la storia. Chiedevano, guardavano, si interrogavano ed esercitavano la curiosità, via maestra per imparare. In questo modo, la Patagonia è restata nelle loro menti e, anche oggi, ne parlano.
Venticinque giorni di viaggio, diciotto effettivi di pedalate, una conoscenza che continua e si intensifica col passare dei chilometri, con l’adattarsi alle reciproche esigenze che sono, poi, la cifra di un viaggio condiviso: Stefania che in bicicletta non si ferma mai, nei tratti più difficili aspetta Eleonora, torna indietro, “a prenderla”, quando la sua handbike rende più difficoltosa la percorrenza, Eleonora che non dubita nemmeno per un momento del fatto che ce la faranno, che arriveranno, che spinge con in quelle braccia una forza assurda e che, per ogni problema, vede solo la soluzione. Eleonora e Stefania, due donne in viaggio, che, alle Torri del Paine, si sentono immerse in un quadro: il verde acceso della vegetazione, il blu cobalto del cielo e il ghiaccio così bianco da sembrare una meringa.
Anche il ritorno a casa è una scoperta, anzi, una riscoperta: delle proprie comodità, delle proprie piccole abitudini, che ora hanno ancor più valore, proprio perché si è vissuto altro, si è appreso altro.
Eleonora sorride, ride di gusto e riprende a parlare: «Partite, senza paura. Solo provandoci, scoprirete quanto è bello sapere di esserci riusciti». Quella bellezza che prende il nome di stupore, di meraviglia.
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