Non lo faccio apposta, giuro. Vorrei davvero dormire. Lo stress di un mese di Giro d’Italia è enorme, quindi recuperare col sonno è fondamentale: semplicemente non mi sta riuscendo. Anche stamattina le tapparelle chiuse hanno funzionato all’opposto di quello per cui sarebbero preposte: sembrava che il sole sorgesse nel palazzo a fianco. Non mi resta – realizzo in cinque millesimi di secondo nonostante l’andatura cadaverica da sette del mattino – che mettermi in bici.

Non ho preparato alcun tour, perché appunto l’idea era dormire. Ricordavo però la strada percorsa il giorno prima. Per la prima volta, infatti, avrei percorso il tracciato di gara non il giorno stesso né il giorno prima, ma il giorno dopo la corsa. Meno palloncini rosa, meno entusiasmo e gente per le strade. Ci si riabitua a una vita senza Giro d’Italia: così pure a Barile e Rionero in Vulture, comuni tra i quali abbiamo fatto finta di dormire.

La strada del giorno prima, dicevo. Splendida: dai laghi di Monticchio al valico La Croce molta natura, tutto verde attorno, senza traffico. Salendo così presto al mattino, però, il freddo e la nebbia erano ben più presenti: si potevano quasi toccare. Si sono resi materia in piccole goccioline di condensa che trovavo sui freni, sul manubrio, sugli occhiali. Freddo a parte, non ci sono molte cose migliori di una salita, un bosco e la nebbia tutte assieme: sull’asfalto svariate scritte rosa “I <3 Vulture” spezzano l’armocromia di colori cupi, scuri, che il sole non ha ancora riscaldato.

Non mi aspetto di trovare nessuno, ai laghi di Monticchio, ma di nuovo le previsioni vengono disattese. Prima incontro diversi mezzi dello staff della Jumbo-Visma, che evidentemente ha passato qui la notte. È una nutrizionista della squadra olandese quella che vedo correre a bordo strada: si chiama, mi dirà poi alla partenza, Monique, e non ce la fa proprio a non tenersi in allenamento anche durante il Giro.

Poi a bordo strada trovo tante persone con casacchina catarifrangente arancione. Sono raggruppati a piccole squadre, attorno a macchine dalle quali estraggono scope e badili. Così tante mi fermo a chiedere chi fossero e cosa stessero facendo. Mi risponde una signora mentre accende sotto un fuoco da campeggio, sul quale un’altra anziana donna sta issando una moka gigante da caffè. Sono qui per pulire il bosco e la strada, in poche parole. Lo fanno ogni anno: ci tengono a tenere puliti questi luoghi che in estate si affollano di turisti. Ci mettono alcuni giorni, ma tutte (la stragrande maggioranza di chi lavora qui è donna) sembrano divertirsi e sfruttare l’occasione per passare tempo assieme.

Tra le mille cose, il Giro è anche sveglie controvoglia e incontri inaspettati. Le persone incontrate oggi sono comparse nella nebbia, quando pensavo di essere solo. E sono comparse, alla fine della fiera, grazie o per colpa di una bicicletta.