È il primo giorno di riposo al Giro d’Italia. Vale dunque la pena tornare un po’ indietro alla quarta tappa, quella da Acqui Terme ad Andora vinta da Merlier, per parlare di una facezia. Una piccolezza da giorno di riposo, appunto. Nella parte centrale si attraversavano gli Appennini tra Piemonte e Liguria, con un ricciolo non richiesto ma apprezzabile sul colle del Melogno. Tra Cairo Montenotte, Carcare e Millesimo il percorso di tappa passava vicino a un posto leggendario del ciclismo.
Vicino, non davanti: è un grande peccato perché Cosseria (località Bosi) è una zona remota della val Bormida, ma la tappa passava davvero lì sotto. E comunque non hanno pensato di fare una deviazione per il museo, che non è uno dei tanti. Si trova nei locali della vecchia scuola elementare del paese e contiene la collezione privata di Luciano Berruti, morto sette anni fa. Il suo nome è ora scritto sull’asfalto davanti all’ingresso del museo, portato avanti dai figli Leszek e Jacek. Il primo ci accoglie dopo aver salutato in polacco (lingua che conosce per via della nazionalità della madre) un paio di meccanici della Visma | Lease a bike. Anche all’estero è dunque nota la fama di Luciano Berruti, il più famoso corridore dell’Eroica, la baffuta leggenda che pedalava su bici antichissime, tanto che il suo soprannome era “l’Eroico”.
«Io posso dire che era mio papà» sorride Leszek quando gli chiediamo chi era Luciano. Pian piano, Berruti divenne il volto dell’Eroica, il signore coi baffi che pedalava su bici vecchissime. Entrando, sono appese magliette d’epoca su ogni parete, «lui le voleva così, disordinate come sono i ciclisti in gruppo». La stanza è enorme e contiene anche documenti cartacei come fascicoli dello Sport Illustrato degli anni Cinquanta o il primissimo Garibaldi, datato 1909. Mentre mi guardo in giro come se fossi entrato nel paese delle meraviglie, Laszek parla di un manifesto raffigurante Lucien Petit-Breton e Napoleone.
C’è la famosa Peugeot del 1907 di Luciano, con cui ha corso due Parigi-Roubaix, «una allungando pure il percorso. Poi ci ha fatto anche Mortirolo, Mont Ventoux, Colle delle Finestre e altre salite mitiche» dice sempre Laszek. E una bici Bianchi del celeste primigenio, quella di Bottecchia al Tour de France, una coi chiodi nascosti nel manubrio: queste e altre mille storie, tutte in un unico posticino sulla collina valbormidese. Un posto che non può non interessare a chiunque segua il ciclismo, e – pur consapevole dell’evidente sproporzione – se non interessa alle corse professionistiche beh, allora scrivo io, qui in poche righe, di passarci da Cosseria e passare ore là dentro.