Se ci pensate attentamente, ciò che distingue la normalità dal talento è la semplicità. La semplicità nel fare tutto così bene. La semplicità nel correre in gruppo, nel muoversi e nell’imparare a limare, nonostante queste siano le prime volte che ti trovi a correre al Nord.
Il far sembrare normale elementi chiave che ad altri non riescono così facili, appunto, così bene. E può essere anche che il nodo sia in quel suo modo di essere che poi è una delle prime parole che aveva imparato a dire in francese: “Tranquillo”, che presto è diventata una delle sue parole preferite, uno stato dell’anima che lo distingue.
E bisogna essere tranquilli che poi non è così diverso dall’essere semplici. Queste sono terre dove ci vogliono anni per imparare: i muri, le stradine, quei tranelli che in una corsa del Nord spuntano ovunque, sotto forma di strappi in pavé, di tratti accidentati, fuorigiri da gestire, e gli spartitraffico, e lo scegliere la ruota giusta, e le folate di vento che ti travolgono di lato o ti possono frenare quando ti arrivano in faccia, e il sapere ascoltare i consigli dei compagni e della propria ammiraglia.
Ciò che distingue Biniam Ghirmay è proprio la caratteristica di chi, se non è un campione, poco ci manca. Se per un attimo pensiamo non sia un fuoriclasse, beh, allora forse stiamo guardando un altro sport.
La semplicità (o la tranquillità, apparente almeno) nello scollinare il Kemmelberg sempre attento, davanti, senza sprecare un briciolo in più di energia, mentre magari Wout van Aert mette al servizio della gente lo spettacolo, sgasando a più non posso; mentre Pedersen invece le energie le dilapida. Oppure c’è Démare che fa paura a vederlo passare i muri nelle primissime posizione.
L’attenzione e il colpo d’occhio: come quando dopo l’ultimo passaggio sul Kemmelberg, dopo una serie di scatti e contro scatti, Biniam Girmay si infila dentro l’attacco decisivo in un gruppetto che comprende Stuyven, Laporte e Van Gestel: fortuna o talento, o del saper scegliere il momento giusto.
L’idea, quella dei campioni navigati, dei furbi dove per furbi si intende talento al servizio dello sport. L’idea di iniziare lo sprint in quarta ruota, partendo prima degli altri nonostante il vento che colpisce: «Perché ho anticipato? Non lo so, ero fiducioso… woah, ancora non ci credo!»
Anticipare, perché si sa che quello è un modo per sopravvivere e dove sopravvivere significa vincere la Gent-Wevelgem a 22 anni, e fare la storia, perché di questo oggi parliamo quando troviamo Biniam Girmay davanti a tutti sulla linea del traguardo.
La semplicità nel rispondere alle domande, la tranquillità dietro un sorriso che non riesce a trattenere, lui che vorrebbe vincere la Roubaix e il Tour, che pare un pensiero tanto banale detto da un corridore, quanto tutt’altro che fuori luogo.
Quella mezza risata a fine gara, alla domanda: «E ora cambio di programma? Tra una settimana c’è il Fiandre, ti vedremo anche lì?».
«Non penso. Sono in giro da tre mesi. Mi manca mia moglie e le mie figlie e ora voglio solamente tornare a casa». E poi ti aspettiamo al Giro, Bini, per continuare questo racconto.