Dopo qualche mese dall’ultima intervista, Gaia Realini, nella nostra chiacchierata, riparte, ridendo, dal sei maggio, quando, durante la sesta tappa de “La Vuelta Femenina”, si trovò, a pochi chilometri dal traguardo, in testa alla corsa, assieme ad Annemiek van Vleuten. Siamo, però, noi a mettere sul tavolo una sorta di provocazione: «Dai, adesso puoi dirci la verità: sentivi di poterla vincere?». Non c’è quasi tempo fra la domanda e la risposta e la voce di Gaia riprende, allegra: «Ma nemmeno per sogno. Il mio pensiero era: “Perfetto, siamo in due, faccio seconda e porto a casa un’altra giornata positiva». Dall’ammiraglia, però, non la pensavano così. L’avrei scoperto a breve”. Infatti, di lì a poco, sarebbe stata la voce di Paolo Slongo a dirle che quella volata avrebbe dovuto giocarsela. Il dialogo ve lo riportiamo: è più o meno così
«È l’occasione della vita, Gaia. Giocatela»
«Ma come faccio?»
«Stai tranquilla. Devi solo stare tranquilla e fare la tua volata»
«Sì, posso fare anche la mia volata, ma è impossibile. Vince lei, non ci sono dubbi»
«Tu inizia a fare la volata, poi vediamo».
Gaia Realini non era convinta, eppure quella volata l’ha fatta e l’ha vinta: «Non ci credevo in quel momento e non ci credo ancora. Eppure ho rivisto più volte quel finale e la ciclista in maglia Trek-Segafredo sono proprio io. Prima o poi me ne convincerò». Bastano queste poche parole per capire che i successi di inizio stagione e un’indubbia crescita non hanno per nulla cambiato Realini che, per usare le sue parole, resta la ragazza di sempre. «Non sono cambiata e da questo punto di vista credo non cambierò mai. Ti dico di più: se dovessi cambiare, vorrei che qualcuno me lo facesse notare, perché starei sbagliando. Ho ben presente come sono arrivata qui, i sacrifici che ho fatto, so che siamo solo esseri umani, che possiamo saltare molto in alto ma anche cadere giù. Non avrebbe senso». Ci sono stati dei cambiamenti, questo sì, ma di altro genere.
«I risultati portano fiducia, capisci le tue reali potenzialità. In questo senso cambiano. Però i risultati vanno guardati con i piedi per terra, ma proprio con i piedi ben saldi a terra, altrimenti rischiano di portarti fuori strada». Ed in questa acquisizione di fiducia, ha fatto moltissimo una nuova presa di coscienza rispetto all’errore, soprattutto per una persona come Realini che si descrive come estremamente autocritica: «L’errore è parte del processo di crescita, occorre saperlo individuare ed analizzare con un approccio positivo. Ci sta solo indicando dove correggere per migliorare. Il fatto è che chi è molto autocritico, di solito, fatica ad avere questa visione e per gli errori si colpevolizza eccessivamente. In parte lo faccio ancora, ma meno». Ecco dove è cambiata Realini.
Un processo iniziato da tempo ed in continua evoluzione che, però, trova le sue radici nella prima gara di stagione con Trek-Segafredo, l’UAE Tour: in quei giorni, c’erano molti pensieri nella mente dell’abruzzese di Pescara, la maggior parte dei quali avevano a che fare con quello che tutti si sarebbero aspettati da lei, dopo il cambiamento di squadra: «La cosa incredibile è che, per lungo tempo ho vissuto divertendomi gli allenamenti e con una forte ansia le gare. In quei giorni ho capito che nessuno si aspettava qualcosa di particolare da me e nemmeno io avrei dovuto aspettarmi chissà cosa. Solo continuare a fare ciò che già facevo, pedalare al meglio delle mie possibilità. In fondo, perché dovrei essere in ansia per questo? So farlo, l’ho sempre fatto».
Gaia Realini guarda con attenzione ciò che fanno le compagne di squadra, ascolta ogni consiglio, diretto o indiretto, dice che per lei «è pane ogni suggerimento», così ogni gara la riporta a un passo avanti: l’azione con Longo Borghini all’UAE Tour, la vittoria a Montignoso con Spratt, in una corsa in cui non partivano favorite, sino a quel giorno a “La Vuelta”, da cui è iniziato il racconto.
Ora il pensiero è al Campionato Italiano a Comano Terme che, il 25 giugno, assegnerà una nuova maglia tricolore: «È un traguardo a cui si lavora da inizio stagione, certamente molto importante. Vedremo come si metterà la corsa, ma io ed Elisa Longo Borghini faremo di tutto per mettere in difficoltà le avversarie. Nel circuito finale, quello da percorrere per quattro volte, c’è una salita di cinque chilometri. Secondo me, un buon punto, in cui chi avrà la gamba potrà dire la propria, sarà il secondo dei quattro giri: la corsa potrebbe esplodere lì».
Quando le chiediamo del significato di quella maglia, Realini inizia parlando di felicità: «Sarebbe un orgoglio, una grande gioia…ma c’è di più. Per me il ciclismo non è mai stato un sacrificio: tutte le volte in cui qualcuno mi chiedeva come facessi a fare la mia vita, rispondevo con la stessa domanda: “Tu come fai a fare la tua?. E, se non lo dicevo, pensavo: “Per fortuna che ho questa vita”. La mia maglia tricolore avrebbe anche questo significato». Forse per questo, quando Realini parla del Giro d’Italia, prossimo appuntamento in ordine temporale, accenna alla tappa di Canelli, a quelle in Sardegna, in cui segnala l’incognita vento, sottolinea l’importanza di vivere questo appuntamento al massimo e poi torna a parlare del lavoro: «Sono contenta quando devo fare la gara, ma per me c’è qualcosa di enorme anche nel lavorare per la squadra. Sai, quando tagli il traguardo e sai che hai fatto molto per le tue compagne, ti senti a posto con te stessa, serena. Una sensazione bellissima. Il giorno del Binda, ad esempio, l’ho provata». E, se sarà difficile, come è sempre difficile una gara a tappe, Gaia Realini saprà come farsi coraggio.
«Quando tutto va bene e vinci, arrivano molte persone che vogliono esserti amiche, che dicono di esserti amiche. Presto scopri che basta un periodo no perché tutti si allontanino. Avere tante persone a fianco può attirare. Io ho capito che me ne bastano poche, davvero poche. La mia famiglia, gli amici e lo staff della squadra. Loro mi fanno sentire coraggiosa».
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