Cosa hanno fatto Simone Consonni e Michele Scartezzini nella Madison? È una domanda, ma anche un’affermazione. Ce lo chiediamo e lo ripetiamo da diversi minuti. Una prova entusiasmante coronata dalla medaglia d’argento, dietro la Danimarca di due colossi dell’americana, Michael Morkov e Lasse Normann Hansen, e davanti al Belgio di Kenny De Ketele e Robbie Ghys. I nostri due azzurri l’hanno fatta a nazioni altrettanto quotate come Francia e Gran Bretagna. L’hanno fatta anche alla sfortuna, perché la domenica pomeriggio non era iniziata al meglio.
Michele Scartezzini era caduto a terra a pochi giri dalla partenza e ci aveva messo del tempo per tornare in sella. Solo Consonni a girare in pista, a tutta, con gli occhi ovunque e la mente a cosa avrebbe potuto essersi fatto Scartezzini. Il primo respiro di sollievo è stato al suo ritorno in pista, il secondo quando l’abbiamo visto buttarsi negli sprint e lanciare Consonni nei cambi.
Il terzo respiro è felicità. Perché se dopo un inizio di questo tipo si ha la grinta di andare a fare lo sprint e vincerlo vuol dire che, alla fine, non è davvero accaduto nulla. C’è di più: perché la Madison di solito era terreno per la coppia Viviani-Consonni, una coppia rodata, dalla pista e anche dalla squadra che i due hanno condiviso negli ultimi anni. Non era scontato che con Scartezzini il meccanismo funzionasse. È accaduto, a riprova del fatto che c’è una formula vincente in questa nazionale che va oltre i successi: è il gruppo. Scartezzini lo disse in tempi non sospetti: “L’importante è che a Tokyo vadano i migliori. Il resto non conta”.
Tenacia, resistenza e astuzia in una miscellanea esplosiva. Come esplosivo è il gesto del cambio, quella mano che prende e rilancia. Gesto di assenso e di equilibrismo, perché le sbandate sono all’ordine di ogni secondo, di ogni vibrazione d’aria. Scartezzini e Consonni che vanno in caccia per guadagnare il giro e prendere venti punti, Scartezzini e Consonni che non vogliono lasciare nulla a Roubaix, così rallentano prima di rientrare, vincono lo sprint e poi chiudono sul gruppo. Primi in classifica, sempre nel vivo della corsa, di una corsa più che mai viva, che sembra addormentarsi qualche istante e poi si risveglia con la suspence che la pista impone, soprattutto quando è sfida di eccellenze.
Il secondo posto è tutto da guadagnare perché si lotta su ogni centimetro. Scartezzini e Consonni sudati, stanchi, con l’acido lattico fin sopra i capelli, che digrignano talmente forte i denti da arrossire di dolore. Scartezzini e Consonni che sulla scia della Danimarca si prendono un altro giro e vanno a sprintare sul finale. Un finale sospeso, come sospesa è la pista, luogo in cui rette e angoli lasciano spazio a linee e curve. La curva, il momento della paura, della perdita di equilibrio, del cambio, talvolta del sorpasso per questi funamboli dei pedali.
Scartezzini e Consonni che salvaguardano il secondo posto. Consonni che a Tokyo aveva avuto problemi prima di questa gara, si era parlato di ansia, di panico. Non stava bene, ma volle scendere in pista. Come andò, lo ricordano tutti. Da oggi, ricorderemo meglio com’è andata questo pomeriggio. Nonostante la caduta, nonostante i ricordi, nonostante la coppia non fosse la solita. Forse proprio per questo. Perché gli esseri umani inseguono la perfezione nei velodromi, ma sanno bene che è utopia. Si migliora, si insiste e poi si vince. Si vince così, nonostante tutto.