Più che “la corsa della birra”, l’Amstel Gold Race sembra il nevrotico alter ego di Woody Allen in uno dei suoi film. Un Harry fatto a pezzi fra quelle stradine dove limare è complicato come andare in salita, che se non sei abile a guidare e rilanciare, quando arrivi nella fase decisiva le energie ti hanno già fatto ciao con la manina e sono montate su un treno o, visto che siamo in Olanda, su una bici da città destinazione casa/albergo e magari mentre tu le stai cercando loro sono già sotto la doccia.
Quando nacque la corsa, nel 1966, su intuizione di Herman Krott e Toni Vissers, furono problemi. Intanto il percorso appariva complesso nel suo disegno – la planimetria da videogioco Nokia anni 2000 ricca di trabocchetti è una delle caratteristiche predominanti – e ingombrante nella sua lunghezza effettiva e poi c’era preoccupazione in quanto si respiravano i primi fumi rivoluzionari dei Provos e dei movimenti delle biciclette bianche – rivelatisi poi anni dopo fondamentali per radicalizzare l’uso quotidiano della bicicletta in Olanda.
In qualche maniera la corsa quel 30 aprile (nel Koninginnedag – ovvero il Giorno della Regina, festa nazionale) si fece lo stesso nonostante i cambi di percorso, e vinse Jean Stablinski, francese, che oggi dà il nome al velodromo di Roubaix. “Sono l’unico uomo al mondo che è passato sotto le gallerie che tagliano la Foresta di Arenberg e che poi c’ha pedalato sopra” – raccontava Stablinski, minatore prima che ciclista, cresciuto a Wallers, da dove transita proprio la regina delle classiche. Dopo di lui solo un altro transalpino scrisse il suo nome nell’albo d’oro: Bernard Hinault. Fra poche ore ci prova Alaphilippe.
Gli italiani ci hanno messo decenni a vincere su in Olanda – Zanini, pioniere, nel 1996 – per poi trovarsi quasi a dominare nei primi anni 2000 con i successi di Bartoli, Rebellin, Di Luca, Cunego, il meglio – o quasi, manca almeno un successo di Bettini – del ciclismo italiano all’epoca per le corse di un giorno.
Gasparotto è stato l’ultimo italiano a vincere (2016), unico italiano a conquistarla due volte (2012, la prima) ed è anche l’ultimo italiano sul podio (terzo nel 2018). Gasparotto pochi mesi fa ha appeso la bici al chiodo e domani si fa fatica a trovare un successore: forse Trentin? Chissà, prima o poi una vittoria la meriterebbe. Diciamo che se elencassimo venti nomi favoriti metteremmo solo lui tra gli “azzurri”, allargassimo a venticinque, trenta appoggeremmo lì di striscio anche il nome di Colbrelli che da quelle parti ha fatto bene ma la corsa seguiva un altro disegno. Questo passa il convento attualmente: che siano pietre, corse a tappe oppure Ardenne, non è il miglior momento per noi.
Se si parla di successi: Jan Raas ha vinto cinque volte, irascibile sceriffo occhialuto a cui mancavano solo distintivo e pistole. Quando correva tra quelle strade si trasformava in un brutalizzatore.
Gilbert l’ha vinta quattro volte, con un’altra narrazione intorno a lui soprattutto in Italia: amatissimo a differenza di Jan Raas. I van der Poel, padre e figlio, una volta a testa – mica male.
Nel 2019, ultima volta dell’Amstel, il capolavoro firmata da Mathieu che fece innamorare pure gli insensibili dal cuore amaro. Prima l’attacco ai 43 dall’arrivo sul Gulpenberg, poi ripreso, poi autore di una furibonda rimonta su Alaphilippe e Fuglsang che si guardavano perdendosi fra dispetti e gambe ormai sgonfie. Quella specie di volata infinita, poi l’urlo e la mano sul casco: arrivo da vedere, rivedere e lasciare in ricordo ai nipotini – che chissà, capace saranno ancora più forti di lui.
Van der Poel però non ci sarà, van Aert sì e pare abbia chiesto a gran voce Roglič (ci sarà anche Vingegaard) perché gli dia una mano: la squadra in questa lunga campagna del nord si è rivelata troppo debole per sopportare il forte belga. Il gruppo dei favoriti attorno al van superstite dalla dura primavera è nutrito, gli scenari sono molti ma il percorso e la stagione vista sin qui fa pensare a gara selettiva.
PERCORSO
Tracciato nervoso e incazzoso, come da tradizione, per una corsa a lungo considerata “la sesta Monumento” e che dà il via al trittico delle Ardenne. Disegno inedito nel suo sviluppo “pandemic edition”. Un circuito, vietato al pubblico, di 16,9 chilometri da ripetere dodici volte con al suo interno da scalare Geulhemmerberg, Bemelemberg e Cauberg. Al tredicesimo e ultimo giro, invece, dopo il Bemeleberg deviazione per evitare il Cauberg e via verso il traguardo di Berg en Terblijt: 219,7 chilometri, ben 46 in meno rispetto l’ultima edizione. Un’ora in meno di corsa che farà tutta la differenza del mondo.
I FAVORITI DI ALVENTO
⭐⭐⭐⭐⭐ van Aert
⭐⭐⭐⭐Pidcock, Roglič, Alaphilippe
⭐⭐⭐Mollema, Trentin, Schachmann
⭐⭐ Aranburu, Hirschi, Gaudu, Matthews, Valverde, Higuita, Vingegaard, Teuns
⭐ Stannard, Kragh Andersen, Benoot, Barguil, Vansevenant, Madouas, Molard, van Baarle, Wellens, Mohorič, Colbrelli
Foto: Dion Kerckhoffs/CV/BettiniPhoto©2019