Meteorologicamente parlando, certo, quella di domenica è stata una giornata del cavolo. Dal punto di vista degli orari, certo, è stata una giornata del cavolo, perché le cronometro iniziano tardi e finiscono tardissimo. Logisticamente parlando, certo, è stata una giornata del cavolo: dopo la tappa ci siamo sorbiti più di un’ora di viaggio verso la sede del giorno di riposo, San Giovanni in Persiceto. Eppure, ho potuto ascoltare – e tanto è bastato per ribaltare completamente la giornata – due persone che amano e studiano le questioni di cui si occupano. Non c’è niente di meglio di chi ha passione per il proprio lavoro e decide, per grazia, di offrire al pubblico spicchi della propria mente.

Paolo Zanfini, da un anno direttore scientifico, ha cominciato a lavorare nella Biblioteca malatestiana di Cesena molti anni fa, come apprendista. Ogni libro che ci mostra, e solo nell’Aula del Nuti ce ne sono 343, sembra un suo figlio. Con lo stesso spirito entusiasta e propositivo ci parla di una rarissima copia miniata del De Civitate Dei di Sant’Agostino conservato nella Biblioteca e di una mostra temporanea che affronta una pagina più moderna della storia dei libri, quella dei pop-up.

La seconda persona in questione è Remco Evenepoel. Poche ore prima dell’annuncio del suo abbandono al Giro d’Italia, il campione del mondo è arrivato sorridente nel truck della conferenza stampa dove lo aspettavamo io e uno scarno contingente di giornalisti. Rotto il ghiaccio con una domanda sui watt che ha spinto nella prima parte di cronometro, Remco è stato un fiume in piena: ha parlato della crono che aveva appena percorso in lungo e in largo, dilungandosi oltremodo, soddisfacendo curiosità e suscitando ulteriori domande. Soprattutto, dando la netta impressione che fosse una persona perfettamente consapevole, in controllo. Uno sportivo che ha craccato la disciplina che pratica. La sua primissima risposta ha compreso discorsi su planimetria, fondo stradale, vento, scelta di traiettorie, riflessioni circa sé stesso e il ciclismo moderno e altre cose che non ho neanche avuto il tempo di appuntarmi.

Questa incredibile lectio magistralis di Remco mi ha ricordato una cosa che si dice di Michael Jordan e del suo Flu Game, Gara 5 delle NBA Finals 1997. La serie tra Chicago e Utah è sul 2-2 e a Salt Lake City si gioca una partita dal peso enorme. Jordan è fortemente debilitato (forse causa pizza avvelenata, forse altro), ma gestisce le proprie energie talmente bene, esercitando un controllo sulla partita mentale prima che fisico, che riesce comunque a segnare 38 punti. Alla sirena finale si lascia andare sfinito tra le braccia di Scottie Pippen.

Secondo Federico Buffa, addirittura, mentre cercava di riprendersi dall’intossicazione alimentare prima della partita, Jordan immaginò ogni possesso della partita stessa, prevedendo i movimenti suoi, dei compagni e degli avversari. Avete mai visto gli occhi di Remco – a proposito di menti che visualizzano qualcosa di diverso – quando si prepara per una cronometro, basso sulle appendici e con la testa vicinissima alle mani? Non sono occhi che si dimenticano.

Nonostante il loro corpo non fosse al massimo, insomma, la loro mente ha sopperito, e anzi la prestazione è bastata per mettere il muso davanti al fotofinish: Remco di un secondo, Jordan di due miseri punti. Non sono contesti paragonabili, l’importanza del palcoscenico è del tutto diversa e mille altri fattori differiscono. Ma la forza mentale di Remco a Cesena ha avuto, scoperta a posteriori la malattia, un che di jordaniano. Mi si perdoni il riferimento divino, giuro non l’ho letto nel De Civitate Dei di cui sopra.