Wiebes-Balsamo: la forza delle idee
Monaco, da qualche giorno, pensava alla forza delle idee. Le idee che sono forse l'unico modo per cavarsela quando ci si trova davanti a qualcosa di così spropositato da sembrare ovvio, inevitabile, ineluttabile. Qualcosa che contrasta con l'essenza stessa della bicicletta perché pensare a una bicicletta è, in fondo, pensare a qualcosa per nulla scontato, semplice o intuitivo. Perché la bicicletta sceglie l'equilibrio precario, la fatica, sceglie di non avere alcuna protezione, di esporsi al vento, all'acqua o al sole, al caldo o al freddo, porta ovunque, certo, a patto che sia tu a portarla ovunque: in questo senso è il contrario dell'ovvio, di ciò che è facile, che è comodo. Somiglia più a ciò che è bello e quindi, spesso, difficile.
A Monaco, alla prova su strada degli Europei femminili, l'inevitabile, l'ovvio, poteva essere la volata finale, poteva essere Olanda e quindi Lorena Wiebes. Talmente veloce, reattiva, da vincere in volata, che è gruppo, vicinanza per definizione, quasi sempre staccando le avversarie. Wiebes, oggi, era uno spettro, da qualche notte era un incubo: quelli che arrivano quando non te lo aspetti e se ne vanno lasciandoti senza altro che domande. Quelli privi di comprensione.
Allora sono arrivate le idee e, in fondo, non sembra neanche difficile, quasi una conseguenza, a parole, perché nei fatti è difficilissimo. Prima bisogna mettere in difficoltà le olandesi, sfaldare quel treno, stancarle. Perché non si sa mai che si riesca ad andare via da sole, senza di lei oppure con lei, quasi un'imboscata per sorprenderla e poi batterla, per una volta sola, magari in difficoltà. Poi perché se volata deve essere, le olandesi devono guadagnarsela, sudarla, devono fare più fatica delle altre visto che, almeno sulla carta, sono più forti delle altre.
Difficilissimo e non solo per questo. Difficilissimo perché chiunque ha provato a scattare oggi, tante francesi, tedesche, italiane, sapeva bene che avrebbe potuto essere tutto inutile, che le olandesi avrebbero potuto essere così forti da non patire quegli scatti che anzi avrebbero potuto essere un'arma a doppio taglio contro chi li aveva pensati. La volata arriva per tutti e se il treno che paga dazio non è quello olandese ma quello italiano, ad esempio? Che si fa? Che si dice dopo aver fatto tanto, dopo aver dato tanto? Un rischio ma, se ricordate, l'ovvio con una bicicletta ha poco a che vedere.
E dopo tutti questi "se", questi "chissà", si arriva davvero in volata e le azzurre sono lì, una striscia di colore, quasi uno stralcio in una tela. Sembra un assolo di chitarra il modo in cui lanciano la volata: dapprima Fidanza, Sanguineti, Cecchini, Guarischi e Confalonieri poi Barbieri, lì dietro non solo la maglia iridata di Elisa Balsamo ma anche quella di Lorena Wiebes. Già, perché quel treno olandese ha effettivamente pagato la fatica, quasi sfibrato da tutti gli agguati e Wiebes nel finale deve arrangiarsi da sola.
È un tempo sospeso quello della volata, come lo sguardo e le mani di Ilaria Sanguineti, che sperano, quasi esprimono un desiderio a una stella cadente solo immaginata. È un tempo sospeso anche quell'attesa perché Wiebes e Balsamo arrivano talmente vicine che non si capisce chi abbia vinto. Prima Wiebes, seconda Balsamo: serve rivedere la volata per saperlo. terza Rachele Barbieri.
E allora? Allora le idee non sono servite? Allora è stato tutto inutile? No, è il contrario. Quello che è successo oggi è la dimostrazione che proprio le idee sono più forti. Di tutto, anche di Wiebes. Perché l'ovvio ha dovuto faticare a materializzarsi, grazie al difficile, al faticoso. Grazie alla squadra. Di quella fatica che fa piangere Marta Bastianelli che oggi avrebbe voluto fare di più. Sono state le idee a costruire quel tempo sospeso e quella speranza.
Attraverso la fatica, la decisione, l'abnegazione, la volontà anche quando sembra inutile. Wiebes è campionessa europea e chi ha visto la prova di oggi ha imparato qualcosa in più. Se le idee sono così potenti, allora si può essere felici anche secondi, terzi. Persino fuori tempo massimo a patto di aver creduto a quelle idee e di averle costruite.
Testa a testa: ancora Elisa Balsamo
È il giorno dopo. Il giorno dopo la tappa in cui il Giro Donne è cambiato quando nessuno se lo aspettava o, almeno, mentre nessuno se lo aspettava così. Potrebbe non succedere niente o quasi: per il caldo, per la pianura, perché manca ancora metà Giro, invece non ci sono alibi nella fatica.
Testa a testa, due parole che sono poi la stessa. Fra la fuga e il gruppo ma ancora di più fra chi, fuggito dal gruppo, fugge anche dalla fuga quando si accorge che la distanza si riduce, che il respiro del plotone si fa sentire come presagio. Giorgia Bariani ci ha provato così: prendendo la rincorsa dalla coda del gruppetto di testa e lanciandosi in avanti quasi fosse un elastico. Bisogna dirlo, perché non è già facile provarci al mattino in martedì come questi, figuriamoci nel caldo del primo pomeriggio, nei viali della pianura dritta come un fuso. Nemmeno le curve per spezzare la noia, per cambiare posizione, per nascondersi da chi, da dietro, prende la scia, un punto di riferimento e si avvicina. Non è facile ripartire, non è facile, soprattutto, trovare le forze per prendere la rincorsa. Va detto, anche se poi, dopo quattordici chilometri il gruppo è rientrato. Ai quattro dall'arrivo: un soffio o un'infinità.
Da qui inizia un altro testa a testa, quello dei treni delle velociste che su binari immaginari, ma ben presenti, si fronteggiano in testa al gruppo. Le velociste sono alle loro spalle, talvolta si sfiorano, le une accanto alle altre, però non si guardano, si ignorano, può accadere che controllino l'ombra, di nascosto, quasi fosse un caso: così vicine e così distanti. Sembra non temano nulla, sembra siano sempre così sicure, non sempre lo sono ma guardare una velocista è vedere questo. Nella loro testa c'è solo la volata: come fosse lì davanti, nella ruota che la precede.
Nella testa di Elisa Balsamo c'era quella curva, l'ultima, prima di vedere il traguardo. Quella che, a Reggio Emilia, dicono tutti che va presa davanti perché "chi la prende davanti vince". Allora tutte vogliono prenderla davanti, perché tutte vogliono vincere. Ci riesce solo una che è il bello ed il difficile. Ci riesce Elisa Balsamo.
Testa a testa, mentre curva e dopo la curva. Per gestire la bicicletta, per piegarsi leggermente, per tornare a raddrizzarla e rilanciare l'azione. I testa a testa sono così: elastici lanciati. Dietro di lei, Charlotte Kool e Marianne Vos. Provano a superarla, non ci riescono. L'avevamo detto: davanti, la curva andava presa davanti e Balsamo ci è riuscita. Non ha dubbi, nemmeno quando Kool sembra affiancarla: grida, guarda in alto e grida. Ha vinto. A una velocista non serve guardare, una velocista sa. Nella testa, di testa, testa a testa e poi anche solo un millimetro davanti alle altre.
La Maglia Rosa e il duello Vos-Balsamo
Dicono che il primo giorno in cui indossi la maglia rosa è il giorno in cui te ne rendi conto. Anche se la sera prima l'hai tenuta distesa sul tuo letto. Sì, perché te la vedi addosso e gli altri ti vedono con quella maglia. Del giorno in cui la conquisti non hai una foto di gara con quella maglia e per sentirla vera devi poterti vedere in gruppo con quel colore, devi essere cercata fra le altre e individuata perché tu, proprio tu, sei la maglia rosa. Per Elisa Balsamo quel giorno è stato oggi. Aveva anche il casco e gli occhiali rosa, un richiamo. Si richiama ciò che vuoi ricordare, che vuoi far ricordare: l'orgoglio.
Dicono che, quando sei all'attacco e ti avvisano di essere maglia rosa virtuale, ovvero la maglia rosa del futuro, senza foto e senza colore, almeno per ora, trovi forze che non avresti mai trovato. Alessia Vigilia è stata quel futuro sospeso per diversi chilometri. Dicono che i genitori, a casa, provino ansia sin dal mattino quando sanno che sei in fuga perché in quella fuga rivedono ciò che solo loro sanno, ciò che solo loro hanno visto. E sono tutte cose vere, più che mai vere: gli sfoghi, le delusioni, i timori. E poi anche la felicità: loro, la tua felicità, la conoscono bene. La chiamano in tanti modi. A sera, a fine tappa, al telefono, la chiamano orgoglio. Quando ti hanno visto scattare e tornare a scattare col gruppo dietro, fiera.
Dicono che i fuoriclasse abbiano un'idea in più per ogni volta in cui non funziona. Anzi, dicono proprio che le idee arrivino più decise quando le cose non sono andate come avresti voluto. L'idea di tornare a fare esattamente la stessa cosa perché vuoi vincere e vuoi vincere così. Come gli ultimi ragazzini che lasciano il campo dopo aver provato a fare e rifare lo stesso tiro, fino a che non è riuscito. I fuoriclasse sono come quei ragazzini. Marianne Vos è come loro quando parte e cerca di anticipare Elisa Balsamo, come ieri. Elisa Balsamo è come quei ragazzini quando la vede con la coda dell'occhio e cerca di prenderle la ruota. Anche i genitori a casa assomigliano a quei ragazzini: la mamma di Charlotte Kool, oggi seconda, ad esempio, che l’ha messa in bicicletta per permetterle di andare a pattinare.
Marianne Vos tiene, Marianne Vos vince a Olbia. A Leuven aveva detto a Balsamo che era quasi arrabbiata, dalla tanta delusione e non avrebbe avuto voglia di parlare con nessuno, eppure era andata a dirle che era stata brava perché i campioni fanno così. Elisa Balsamo, sul traguardo, aveva lo sguardo fisso, pensieroso, quasi a chiedersi dove fosse il problema, perché quelle gambe oggi non siano state come ieri. È un piccolo dolore.
Eppure le idee arrivano così. In quel pensiero si intravedono tante idee. Domani al Giro Donne ci sarà riposo, quella stessa maglia rosa sarà distesa sul letto di Balsamo come ieri sera, mentre Vos in testa avrà la maglia rosa futura, quella che non c'è ancora da nessuna parte, se non in una fuga immaginata, in un abbuono, in un varco spazio temporale. Le idee, plasmate dall'orgoglio, verranno da lì. Lunedì, a Cesena, vedremo il resto.
Storia di Elisa
La storia, in fondo, è nell'attimo in cui Elisa Balsamo vede con la coda dell'occhio Marianne Vos partita lungo le transenne. La storia è così, ci sei dentro ma per accorgertene davvero devi guardarla di sbieco, quasi da fuori e poi pensare a cosa fare. Partire, andare, sviluppare velocità, pura velocità, dimenticarti che i tuoi polmoni più di tanta aria non tengono. Davanti hai Marianne Vos, sai che l'hai già superata, giusto qualche mese fa, e ti sei messa addosso la maglia di Campionessa del Mondo, sai che superare Marianne Vos è sempre difficile e, anche se è già successo, in fondo, potresti non farcela. Serve coraggio per quella fatica, per quel vento, per quella storia, per partire e per partire serve sempre coraggio perché in volata non puoi tornare ed è sapere di poter tornare ciò che rassicura quando parti. Serve anche paura perché, se non avessi anche quella, non partiresti proprio.
Elisa Balsamo, di paura e di coraggio, è partita con la maglia verde addosso, per la prima volta in una volata al Giro d'Italia Donne. La prima volta eppure quante volate le abbiamo già visto fare? Ma in bicicletta si riparte e sono le prime volte a tenerti a terra. Elisa Balsamo di prime volte parla molto perché da lì passa la sua umiltà, quel sentirsi sempre uguale anche se le cose attorno cambiano. Quel sedersi davanti a un bar, da sola, ad aspettare di sapere chi ha vinto. Dopo quella rincorsa, dopo quel colpo di reni, quei secondi veloci che non finiscono più: per chi corre e per chi guarda. Perché le volate che sono tanto veloci, se ci pensate, sono molto più lunghe nella sensazione di chi osserva, di chi aspetta.
Lì, sul gradino, dopo aver fatto un altro testa a testa con Vos. Lì, su quel gradino soli, come si è soli quando ci si volta e ci si accorge che, per cambiare la tua storia, piccola o grande, devi partire. Anche se puoi avere tante persone accanto. Poi vinci, ti alzi gridando e abbracci chi arriva. Il ritorno, in una volata, è questa cosa qui. La prima volta è questa cosa qui.
La prima volta di una ciclista italiana che vince una tappa del Giro in maglia iridata e conquista la maglia rosa. Che è poi anche la storia. Tortolì, in fondo, sembra una parola da bambini, quelle parole dal suono quasi profetico, magico. Quelle parole che fanno accadere tutto in un attimo, solo perché lo vuoi.
A ventiquattro anni, sai che non funziona così e per la tua storia devi avere tutta la paura e il coraggio che servono. Lo sai, ti volti, guardi, parti e torni. Comunque sia andata; oggi è andata bene, oggi è storia.
Speciale, la storia di chi si vede meno
Ci viene da pensare che le vittorie di Francesca Pellegrini, al Piccolo Trofeo Binda, e di Elisa Balsamo, al Trofeo Binda, siano collegate da una storia. Una storia semplice, dal titolo delicato: Speciale. Ovvero la storia di chi si vede meno.
Ce lo hanno detto a pochi metri dal traguardo parlando di Francesca Pellegrini e del gioco di squadra. Chi l'ha vista crescere ci ha spiegato che di solito si impara a fare gioco di squadra e che nelle categorie giovanili, forse, si fa meno gioco di squadra, perché chi è forte prova a vincere e gli altri, coloro che restano staccati, magari si arrendono. Lei no, lei l'ha sempre fatto, senza che nessuno glielo chiedesse: aiutava il gruppo a rientrare sulle attaccanti e poi arrivava sfinita. Si parlava delle altre, le stesse che lei aveva riportato sotto. Pellegrini si notava poco, eseguiva le tattiche di squadra ed era contenta così. Il pensiero è che certe cose, Francesca, le avesse viste seguendo il ciclismo in televisione e le applicasse di spontanea volontà. «E oggi ha vinto così: è speciale, come chi si vede meno».
Pochi minuti dopo sul traguardo di Cittiglio, avrebbe vinto Elisa Balsamo che, in fondo, somiglia a Francesca Pellegrini. Per il modo di guardare le cose. Tutti l'aspettavano stamattina alla partenza e lei non ha deluso, con il suo senso del dovere e con quell'incredulità che abbiamo imparato a conoscere. Perché Elisa Balsamo non è abituata ad essere Elisa Balsamo come tutti la immaginano. Lei è e resta una ragazza che «talvolta ha nostalgia del Monviso quando guarda fuori dalla finestra della sua nuova casa». Ci ha detto così. E allora non sorprende che sia Longo Borghini a invitare il pubblico ad applaudire ancora più forte. Mentre lei guarda un punto indefinito e pensa. Sul podio con Sofia Bertizzolo e Soraya Paladin.
Ma “Speciale, ovvero la storia di chi si vede meno”, ha, in realtà, più storie. Tutte che convergono lì, davanti, come un auspicio. Per esempio quella di chi ha spalmato una crema riscaldante sulle gambe delle ragazze del Piccolo Trofeo Binda questa mattina e l'ha spalmata fino all'ultimo, fino all'assorbimento completo, fino a che non si vedeva più. Ha persino detto alle ragazze di non metterla sulle mani «perché altrimenti fate fatica a toccare il freno».
Oppure quella di Martina Sanfilippo che oggi ha attaccato sin dalle prime battute di gara, forse sbagliando, forse risparmiandosi avrebbe fatto meglio, ma è inutile ripensarci. Sta di fatto che nel finale presa dai crampi ha dovuto fermarsi, ritirarsi. «Sali in auto» ha detto il direttore sportivo. «Posso andare lo stesso all'arrivo in bici?» ha risposto lei. Poi non ce l'ha fatta, ha dovuto fermarsi e salire davvero in ammiraglia. L'ha fatto con dispiacere, reale. Sarebbe voluta arrivare con le proprie gambe, per lei e solo per lei. Anche fuori gara, anche senza essere vista da nessuno. Come, senza che nessuno lo abbia saputo, la prima domanda che ha fatto riguardava Chiara Sacchi, la sua compagna, con un problema meccanico a inizio gara.
E ancora parliamo di quel direttore sportivo che ha urlato «Ce la fai, rientri» a un'atleta di un'altra squadra e, quando gli abbiamo chiesto quanto spesso si faccia, ha risposto: «Spesso. Si è staccata da diversi chilometri ed è sempre qui. Se lo merita. Non so se rientrerà ma era giusto dirglielo». Oppure ai genitori che sfregavano le mani sulle spalle delle figlie per scaldarle.
Tanto altro e, poi, quasi a sera, ancora Elisa Balsamo e Francesca Pellegrini. La prima è un modello della seconda, ma sorpresa, perché «ho bisogno io stessa di modelli e mi fa strano pensare di poter essere un modello per qualcuno». Speciali, come chi si vede meno.
Grazie, Elisa!
Un capolavoro. È un capolavoro quello realizzato dalle azzurre a Leuven, al Campionato del Mondo delle Fiandre. Certe volte nello sport si esagera, oggi no, oggi si può dirlo forte e chiaro. L'Italia non ha sbagliato un colpo e la spietata meritocrazia dello sport, in questo sabato di inizio autunno, ha omaggiato il talento genuino di Elisa Balsamo, una ragazza di soli ventitrè anni, di Cuneo. Una ragazza che crede nel potere delle storie, che ha scelto una penna per sconfiggere la timidezza e una bicicletta per raccontare che è possibile. Anche per i più timidi, anche per chi, caratterialmente, stenta a crederci e si sente sempre un gradino inferiore, è possibile.
Una corsa allo sfinimento. Il concetto di marcatura a uomo non è un concetto ciclistico, ma questa è stata la tattica delle ragazze di Dino Salvoldi. A controllare le olandesi e ripartire, perché oggi le favorite erano loro. Era Marianne Vos, un cannibale delle due ruote, che sembrava quasi non fare fatica. E non è facile continuare a rispondere quando le tue avversarie non mostrano un minimo segno di cedimento. Non ce n'è.
Non ce n'è perché, ad ogni attacco, le ragazze azzurre erano lì. Quanto ha fatto Maria Giulia Confalonieri? Fino all'ultimo sulle ruote di Vollering, Blaak, Brand. A voltarsi e a controllare che dietro stessero rientrando, perché non c'è spazio per follie personali, si lavora per Elisa Balsamo. Quanto hanno fatto Elena Cecchini, Vittoria Guazzini e Marta Cavalli? In testa, a chiudere il gruppo, prima all'inizio e poi alla fine.
Marta Bastianelli sa cosa vuol dire vincere un mondiale in giovane età e stasera dirà tante cose a Elisa Balsamo. Tante gliene ha dette in questi giorni. Lei che è in questo gruppo con l'orgoglio di essere la maggiore di età e per questo la più ricca di consigli. Lei che dopo le sfuriate olandesi ha fatto un solo cenno alle compagne: «Avanti, andiamo avanti a tirare».
Quanto bene ha fatto a questo gruppo Elisa Longo Borghini? La sua tenacia, la sua forza, la sua umiltà. Il suo essere ovunque, quasi incollata alla ruota di Annemiek van Vleuten, come a dirle «oggi non scappi, oggi non molliamo un metro». Si meritava questo mondiale Elisa, meritava che a vincerlo fosse l'Italia per il suo rispetto dei ruoli, per quel «faccio quello che mi chiedono e fino all'ultimo non mi tiro indietro».
E poi Elisa Balsamo, la Campionessa del Mondo. Fa quasi effetto scriverlo, dirlo, pensarlo, immaginarlo. Ragazza semplice, che studia Lettere e legge fumetti. Ragazza determinata, fragile come il suo pianto al traguardo, e forte come la capacità di rialzarsi dopo quella brutta caduta alle Olimpiadi, staccare qualche giorno, ripartire ed essere qui, sul gradino più alto del podio. Lucida come chi, a pochi metri dall'arrivo, fa cenno di no a Elisa Longo Borghini: «Non è ancora il momento di spostarsi. Aspetta». Così anche Marianne Vos ha dovuto arrendersi.
Non aveva più parole Elisa, dopo il traguardo. Piangeva con singhiozzi profondi, quelli che si ritrovano nei pianti più veri, quelli dei bambini. Piangeva, sospirava e non parlava. Però, le sue compagne, le ha ringraziate tutte. Si voltava, cercandole con gli occhi pieni di lacrime, e le ringraziava. Noi ne siamo certi, in giornate come queste non serve poi molto per raccontare una storia. Basta poco. Anche solo un grazie