Il rumore dell'Inferno
Che rumore fa Tadej Pogačar che accelera sull'Oude Kwaremont e riprende tutti? Un suono simile a quello delle ruote che dapprima sfruttano la superficie centrale delle pietre, quella più consumata dal passaggio delle auto, per poi scorrere sulla linea laterale e, persino, sulla terra. Che rumore fa Mathieu van der Poel ancora nel gruppo, mentre alza la testa e si riporta sotto? Pensiamo al cambio che ingrana, a qualcosa che riporti a una variazione della situazione.
Un fruscio e qualcosa di più pesante. Suoni ricercati dall'orecchio e anche dalla vista, una sinestesia, una contaminazione dei sensi, perché quanto abbiamo sperato che quei due se ne andassero da soli? Quanto abbiamo controllato la posizione di Pogačar quando, poco dopo, a scattare sul Paterberg era van der Poel? Quanto abbiamo stretto i denti, quasi fossimo alla ruota dello sloveno, mentre van der Poel riusciva a stargli incollato per un sospiro al termine dell'ultimo Paterberg?
E non lontano da qui ci sono i Beffroi, le torri campanarie delle Fiandre, i loro carillon a scandire i momenti importanti per la città, i loro suonatori. Qui, invece, restano tutti i sognatori. Chi ha trasformato in un "cafè" un tronco di mulino e chi sognava di essere da solo sul Paterberg e non c'è riuscito. Poi quel numero sulla schiena di Laporte, il tredici, che dicono porti sfortuna. Alcuni lo mettono al rovescio, lui l'ha messo dritto e, nonostante la caduta in un fosso, era lì.
Ma Pogačar e van der Poel sfiniscono sia fisicamente che mentalmente, perché basta una leggera accelerata e gli altri sembrano fermi. Non possono fare altro, solo andare avanti, pietra dopo pietra. Meglio non guardare. Le ruote delle bici di Pogačar e van der Poel se ne infischiano delle pietre, scorrono veloci tra la gente che grida e non smette un secondo. Anche se tutto è passato. Il talento gasa, agita, come le nuvole nere sullo sfondo, nel finale, sbattute dal vento leggermente trasversale. E va via mentre inizia a piovere.
Il suono delle friggitorie, come l'olio bollente in cui tutto cuoce, sembra quasi portato via dall'aria che spostano i ciclisti. Un silenziatore, quel vento. Quasi fosse una foto, una delle tante nell'album di qualcuno. A fissare l'esatto momento in cui van der Poel, sul traguardo, capisce che è il momento di partire altrimenti è la beffa, un'altra beffa. A fissare quello in cui Pogacar resta intrappolato, dietro a van Baarle e Madouas, e finisce quarto, alzando le mani che ora pesano più di tutto e tornano a scendere come cade un peso.
Quel talento che può essere leggero o pesante. Leggero per van der Poel come per Kopecky, che hanno vinto, pesante per Pogačar come per van Vleuten che viene superata sulla linea d'arrivo, e non le capita spesso, intrappolata fra le tattiche di due compagne di squadra. La sicurezza in se stessi, certe volte, non serve a nulla. Certe volte, semplicemente non puoi. Forse avresti potuto muovendoti prima, partendo prima (ci ripenserà spesso Pogačar), forse nemmeno così. A noi viene in mente Marlen Reusser che, sotto la pioggia ghiacciata, stava quasi per andarsene, invece no. Anche la compagnia di Chapman non l'ha aiutata.
Che rumore fa tutto questo? Ora, all'Inferno, quello del Nord, sanno già la risposta, mentre i raggi di sole che spuntano dalle nuvole allungano le ombre degli atleti davanti a loro.
Siete pronti?
Buon Giro delle Fiandre a tutti, intanto. Oggi è quella giornata, la giornata. Quella che fa venire un po' di pizzicore nella pancia, quella che fa dire ai corridori che anche se sarà dura, sarà comunque uno spettacolo. Volerla fare, dire di averla fatta, sentire la folla che urla il tuo nome a pochi centimetri dalla faccia. Basta già questo.
I fiamminghi sono pronti da giorni, anzi da mesi, un rito sadico, che per loro è religione, organizzati per vedere in faccia i corridori faticare sui muri. Ci saranno fan club ovunque, tifosi da ogni parte del mondo, previste circa un milione di persone lungo il percorso, e si impazzirà per ogni essere vivente che passerà in bicicletta. Pazienza se mancherà van Aert, toglierà qualcosa alla contesa, è vero, ma quando arriverà il momento saranno grida di gioia e applausi dal primo all'ultimo. Senza distinzione.
Il tempo sarà quello di sempre, fiammingo: potrà cambiare repentinamente. Da un momento all'altro il cielo azzurra lascerà il campo a nuvole appesantite dal grigio. Le gambe saranno quelle di sempre: oliate in partenza per resistere al freddo, pronte a soffrire non appena la gara si accenderà.
Dove si accenderà? Non lo sappiamo, si faranno trasportare dal momento. Kruisberg/Hotond, Koppenberg, Taaienberg, oppure il circuito finale Oude Kwaremont-Paterberg prima di arrivare a Oudenaarde. Sarà la situazione a decidere, sarà un lampo che ispirerà i più forti.
I più forti chi sono? Tra gli uomini: Van der Poel, i Jumbo Visma (Benoot e Laporte) che senza van Aert forse saranno più liberi oppure chissà, più appesantiti dalla pressione. Pogačar, Asgreen, Mohorič, Turgis, Pidcock, Küng, Campenaerts eccetera. E tra le donne: van Vleuten, Kopecky, Longo Borghini, Vos e magari ci faremo ancora una volta sorprendere da Balsamo che da quando veste la maglia iridata sembra ancora più forte.
Bisognerà avere occhi dappertutto perché qui la strada fa paura e non ci sarà un momento in cui si potrà alleggerire la tensione. Saranno sollecitazioni ai muscoli, alle braccia, alla schiena. Sarà bellissimo, saranno le Fiandre nella loro massima espressione.
Siete pronti? Buon giro delle Fiandre a tutti. Anzi buona Ronde van Vlaanderen e che il casino abbia inizio.
L'altra Ronde nella più grande festa fiamminga
L'altra Ronde è quella di quattro ragazzi che si sono fatti 1.700 km in auto dall'Abruzzo. Li incontriamo ieri mattina nel bar del Museo delle Fiandre a Oudenaarde, stanno brindando, sono arrivati da poco e parlano del viaggio («Siamo partiti con il sole e arrivati con la neve, e sì che noi di neve in Abruzzo ne abbiamo quanta ne vogliamo») e della corsa che faranno il giorno dopo, ovvero oggi - per la verità a quest'ora saranno già partiti - la Ronde van Vlaanderen Cyclo. La competizione dedicata agli amatori.
Uno di loro ci racconta di averla già disputata nove anni fa, emozione indescrivibile ci dice, e afferma di essere così malato di ciclismo (ce lo dice in quanto cosciente di essere in buona compagnia) da aver organizzato il viaggio di nozze in Spagna in modo da farlo combaciare con il Mondiale di ciclismo a Ponferrada. Era il 2013.
Mentre una birra gli scioglie decisamente la lingua, ci racconta anche di essere tifoso sfegatato di Sagan e di non amare particolarmente - alleggeriamo così il racconto - Wout van Aert.
L'altra Ronde è quella di due tifosi danesi che amano l'Italia e girano con una borsa della spesa del Famila «We love Italy!» ci urlano. L'altra Ronde sono la quantità a dismisura di gente dalla Spagna - rigorosamente con bici Kuota - e dall'Italia. A volte quando li sentiamo parlare li confondiamo scambiando spagnoli per veneti e viceversa. Ci sono francesi in camper e tedeschi in golf. L'altra Ronde è un signore irlandese, Ash, che ci dà consigli su dove parcheggiare: «Vengo qui da nove anni e ormai questo posto lo conosco come fosse casa mia».
L'altra Ronde è un gruppo di ragazzi che arriva da Trento, uno di loro è orgogliosissimo della sua maglia Mapei «E venendo qui, l'abbiamo riportata a casa!» L'altra Ronde è un signore tedesco che ci chiede indicazioni su dove trovare il punto delle iscrizioni e dopo mezz'ora lo ritroviamo ancora a girare perché si è perso.
L'altra Ronde è quella di due coppie olandesi, decisamente in là con gli anni che ci raccontano fieri di aver scelto il percorso più lungo: partiranno all'alba da Anversa e percorreranno 257 km. L'altra Ronde è quella di un altro ragazzo, del Lago d'Iseo, che è arrivato qui con pullman organizzato, ma oggi sarà l'unico della sua compagnia al via della traccia più lunga: «Infatti tra un po' prendo, vado su da solo a dormire ad Anversa e gli altri li rincontrerò di nuovo qui ad Oudenaarde».
L'altra Ronde sono due che discutono su quanto l'organizzazione dell'evento può aver tirato su attraverso la quota delle iscrizioni, oppure gli australiani che stamattina han fatto razzia di banane a colazione in hotel. Sarà una giornata lunga, come lungo è stato il viaggio dall'altra parte del mondo.
L'altra Ronde è ognuno dei 16.000 iscritti alla Cyclo che, nonostante la neve caduta, il ghiaccio formato nella notte che renderà ancora più infame la forma da testa ossuta delle pietre dei muri fiamminghi, non vede l'ora di salire in bicicletta. Sanno che, comunque andrà, quello che hanno fatto non lo dimenticheranno mai. Sarà una meravigliosa fatica, sarà sentirsi parte anche loro di tutto questo.
L'altra Ronde è quella che si mescola alla Ronde dei professionisti. Di nuovo, ognuno dei 16.000 in gara oggi, domani sarà su queste strade ad assistere allo spettacolo che daranno i corridori. Dopo aver rappresentato loro lo spirito delle corse dei muri e aver acceso questi giorni di vigilia della più grande festa fiamminga.
Fiandre Bianche
Su e giù per i muri con in testa Wout van Aert
Sarà come sarà. Sarà comunque una festa, anzi la Festa, ma ugualmente per molti belgi l'antivigilia della Ronde assume per alcuni momenti i tratti dello psicodramma.
Salivo - rigorosamente a piedi - l'Oude Kwaremont, immaginandomi il bordello che ci sarà domenica dietro la transenne e il fracasso che faranno sulle pietre i corridori, quando arriva la notizia: "Wout van Aert ammalato, forse non correrà domenica".
C'è un ragazzo che mi sta facendo compagnia lungo uno dei muri decisivi della corsa e resta senza parole quando glielo dico. Una volta montato in auto per percorrere quello che sarà esattamente il finale di gara dall'Oude Kwaremont fino a Oudenaarde - con un passaggio obbligato anche sul Taaienberg - la radio parla di van Aert.
Entro in un bar e sento dire (o meglio: capisco solamente) "Wout van Aert, Wout van Aert, Wout van Aert".
A quel punto chiedo delucidazioni: ma di cosa staranno mai parlando! Fossi io ad avere le allucinazioni e capendo da quei discorsi solo qualcosa tipo "Wout van Aert". E invece è proprio così: non si fa che discutere di van Aert e della sua possibile assenza.
Decido così di chiudere il giro e tornare a godermi le strade che faranno i corridori domenica, nonostante il freddo - e mentre scrivo in questo momento, mattina di venerdì 1 aprile, nevica e c'è un forte vento.
Qui il clima cambia repentinamente, e in dieci minuti c'è la possibilità di apprezzare a pieno tutte le sfumature: ghiaccio, freddo, cielo grigio e poi di nuovo blu quando un forte vento decide di spazzare vie le nuvole.
Su internet si susseguono le "ultime notizie" con i commenti di esperti, direttori sportivi che seminano il panico sulla corsa e sulla tattica, giornalisti che parlano del dramma di una possibile assenza di van Aert.
C'è anche chi spera possa essere solo una sorta di pretattica, magari giusto un leggero raffreddore, e oggi proprio perché nevica, Wout, te ne puoi stare al caldo a ricaricare e ci vediamo domenica perché ci aspetta qualcosa di magico, una sfida che aspettiamo da almeno un anno, come qui aspettano ogni anno questa corsa.
Inutile sottolineare come anche io, anche noi apparteniamo alla categoria degli speranzosi. O sognatori oppure ingenui, fate voi.
Lo spirito del Nord
Il nome poteva quasi far paura: attraverso le Fiandre. Il suono rendeva l'idea di questo attraversamento, Dwars door Vlaanderen. Non è facile attraversare un luogo, pensate le Fiandre. Quasi un bosco di notte. Dove gli alberi e l'oscurità sono i settori in pavé e le vie che diventano evocative, come Mariaborestraat che è onomatopea e bici in piegamento. E tra quelle vie, quei tratti e quelle pietre si scompone il ciclismo, quasi un disegno futurista, una proiezione di colori e modi di viverlo: dai tifosi che corrono da una parte all'altra, alle bandiere che sventolano anche arricciate e ripiegate dal vento, alle birre e alle voci che parlano una lingua straniera di cui, nel tempo, hai imparato i termini chiave per seguire la corsa, per sapere cosa accade. Possiamo dirlo in molti modi, noi parliamo di uno spirito: lo spirito del Nord.
Uno spirito che è nel modo di attraversare le pietre, perché si potrebbe scrivere un libro sul dinamismo di un ciclista sulle pietre. O in un'idea: quella di Pidcock che attacca e prova a far la corsa dalla testa. Di Campenaerts che è lo spirito dell'attacco, dell'invenzione anche bizzarra, quasi dell'impossibile o del buffo. È lo spirito che serve per attraversare questi posti, che passano dalla dolcezza all'aspro in pochissimo. Questione di cielo grigio, di vento, di qualcosa di cupo che non sai spiegare ma attrae. Chiara Consonni conosce la lingua delle Fiandre, non quella che si parla, quella che serve per decifrarla e magari per vincere.
Guardate la sua volata, guardate chi ha battuto e l'apparente leggerezza che ci ha messo. Qualcosa che contrasta con la forza sui pedali in volata. Era lì, era sempre lì in questo inizio stagione, ma mancava sempre qualcosa. Quello spirito delle Fiandre di cui parlavamo si capisce così: tenendo duro e buttandosi nella mischia, sprigionando velocità che è fatica, certamente, ma anche capacità di darle un senso, di non appesantirla. Bastano le mani a gesticolare o l'espressione del volto e Consonni parla senza parlare.
Lo spirito è anche quello di Mathieu Van der Poel che fremeva già ai novanta chilometri dall'arrivo e, diciamocelo, non aspettavamo altro. Vederlo in azione è sempre bello, se poi quell'azione sa di ritorno anche di più. Si è detto più volte che, quando fa le cose lui, hanno un gusto particolare, hanno dentro un che di differente. Sarà questo spirito del Nord che nasce qui ma come vento non ha casa e lo porti ovunque. Puoi scoprirlo o averlo già dentro e ritrovarlo: manifestazione, apparizione. Avrebbe potuto risparmiarsi, fare attenzione, vincerla sì, ma vincerla diversamente. Lo ha fatto con tutto quello che ha, con tutto quello che è. Attaccando e rispondendo. Sollecitando anche la risposta degli altri, facendo esplodere la corsa perché basta uno scatto per movimentare una gara di ciclismo. Se poi a scattare è uno come lui, gli altri devono mettersi sull'attenti.
Lo spirito del Nord è quello che ti fa tirare fuori la parte più umana di te, quella delle sensazioni lasciate libere. Lo stesso accade in Pogačar e in Benoot. Lo spirito del nord è quello che ti fa vedere la bellezza ovunque sia, in ogni momento. Anche in una volata persa. Le mani di Benoot che battono mentre guarda van der Poel sono di questo spirito, di questo vento freddo che fa sudare.
Siamo rimasti a vedere e avremmo voluto non finisse perché la realtà fa per forza torto all'immaginazione. Ed è finita ma prosegue lo stesso. Domenica c'è il Fiandre. L’attraversamento continua.
Bellezze locali (o cose di poco conto)
Bellezze locali oppure cose di poco conto, dal titolo. Bellezze locali: viene da pensare alle bici ed è così. A Waregem, Fiandre Occidentali, appena suona la campanella, ragazzi e ragazze escono da scuola e sono già tutti in bici. Bici, il centro del nostro mondo che qui in Belgio diventa uno degli elementi portanti della quotidianità. Cose di poco conto: sempre loro, mezzi a pedali con le ruote (per non ripetere "bici, bici, bici", anche se, facendoci caso è così musicale) come quel bolide che veniva lavato con cura dietro al pullman della UAE. Con l'attenzione che di solito si riserva ad un neonato.
Bellezze locali: le patatine fritte. Guarda un po'. Belle unte che restano sul tavolo a quantità industriali anche quando il cliente se n'è andato. Qui friggerebbero anche la birra se non fosse qualcosa di più di una bellezza locale. Cose di poco conto: i muri, in pavé oppure senza. Comunque ti spaccano le gambe e ti mandano in acido i pensieri. Chilometri di ciclabili che accompagnano la strada statale che gira tra Waregem, Gent, Kortrijk e Oudenaarde, attraversando quei paesini che, per chi è cresciuto con le classiche del nord, hanno nomi usciti da una fiaba.
Viuzze che si infilano tra una principale e l'altra sporche del fango dei campi trasportato dai trattori. Mucche e pecore. Due corridori della Lotto e della Topsport Vlaanderen che si lanciano a tutta velocità - nei dintorni di Nokere - perché ha iniziato a piovere. Da come filano più che sembrare due in fuga, o in allenamento, sono due ragazzi che stanno tornando a casa al caldo.
Bellezze locali: la cortesia belga. Sempre un sorriso, un saluto, un modo per aiutarti tra inglese e olandese - sarà forse il cappellino da ciclista. Perché qui tutto è bici, tutto è ciclismo. E quella loro lingua dura ma dal suono avvolgente. Cose di poco conto: l'asfalto insidioso, la pioggerellina, il cielo grigio che pare immenso verso un orizzonte che da Kapelmuur - bellezza mondiale - spinge verso l'infinito. Il pavé a tratti dissestato a tratti no. Il bar aperto in cima con i tavolini che guardano verso il punto più alto e il barista che parla in spagnolo sostenendo di conoscere bene l'italiano. Il parcheggio riservato a "Miss Belgio".
Bellezze locali: quelle che oggi andranno in escandescenza sulle strade della Dwars door Vlaanderen. Arrivano da posti più lontani - Pogačar e Bastianelli per fare due nomi - o sono praticamente di casa: van der Poel e van Vleuten. Tanti altri, e tante altre a darsi battaglia nell'ultimo pasto prima della sacra domenica del Giro delle Fiandre. Motori a pieni giri. Quel giorno sarà letteralmente pieno di bellezze che si andranno ad aggiungere, ma non ci sarà più nulla di poco conto.