E che oro sia

La bocca era secca in partenza. L’acido lattico fischiava persino nelle orecchie mentre Jonathan Milan percorreva i quattromila metri dell’inseguimento individuale.
Quella fatica che si addensava nell’aria era lo sforzo di oggi, di questa mattina, di ieri, quando per restare appesi a quel tizio di nome Filippo Ganna bisogna sempre concedere qualcosa in più alla propria soglia dello sforzo. Era fatica residua di qualche giorno fa quando al Saudi Tour, su strada, sprigionava tutto quello che aveva dentro: potenza e talento.
La sfida di oggi, contro Daniel Bigham, non un nome a caso, ma uno che investe tempo e mezzi per migliorare questa disciplina, arrivava dopo un risultato in mattinata che pareva non il migliore possibile per il friulano, ma quanto bastava per decidere che alla fine sarebbe stato un testa a testa con il britannico.
Di nuovo Gran Bretagna contro Italia in una sfida che ormai è un dualismo e che sarà, soltanto a suon di quartetti, però, vista la scellerata idea di togliere l’inseguimento individuale dal programma olimpico, uno dei motivi più interessanti in ottica Parigi 2024 - ma a quello ci penseremo a tempo debito.
Oggi c’era in palio un titolo europeo, non poca roba. E per tre chilometri stavamo celebrando Bigham, provando a spingere Milan.
E quell’ultimo chilometro pareva arrivare troppo velocemente tanto da dire, bravo Daniel Bigham, ti meriti questo titolo. Bravo anche Jonathan Milan, tra strada e pista ti diverti e ci fai divertire, e se oggi non va, sarà per un’altra volta.
E che argento sia, inseguitore Jonny, sembrava così fino a quell’ultimo chilometro dove, una volta che la grafica riprendeva a funzionare, Milan macinava terreno, divorava quello spazio che lo divideva, sulla fotocellula, dal suo avversario. Una progressione, un finale forse ispirato a quel Filippo Ganna dal quale è diverso in tutto anche per caratteristiche eppure ci sono sin troppe cose che li accomunano.
E quell’ultimo chilometro è arrivato, esaltante (58’’117 il tempo, “mica male”), mentre quello totale si faceva migliore di quello dell’avversario con le gambe inasprite da uno sforzo disumano.
Bravo Milan, oro Milan, altro che argento. Anzi diciamolo meglio: bravissimo Milan. Ribadendo come questo per lui è soltanto l’inizio.
PS E ancora grazie a quell'uomo che si vede in foto di spalle, artefice di quello che stiamo vivendo in pista in questi anni.


Luci al velodromo

Sembrava avere gambe ovunque. Potrebbe iniziare in questo modo un racconto della corsa a punti di Simone Consonni, all'Europeo di Grenchen. E, sotto i baffi, i denti stretti per la fatica. Questa sarebbe, poi, la degna continuazione. Così iniziamo, così continuiamo perché Simone Consonni stasera sembrava davvero avere gambe ovunque, almeno da quando ha scatenato la sua rincorsa nello sparpaglio che turba, affascina, disorienta e confonde di questa specialità della pista. Un caos che meraviglia.

Scatta, insegue, conquista e riparte, già a poco meno di cento giri dal termine. I giri, sì, quelli che si guadagnano o si perdono, il paradosso è che anche chi li perde li ha lo stesso nelle gambe ed è una beffa, per l'acido lattico che brucia. Sotto quei baffi e quei denti stretti per la fatica, Simone Consonni, però, non perde nulla, anzi, guadagna in continuazione, sprint dopo sprint, giro dopo giro. La fatica brucia anche lui, ma sappiamo tutti di cos'è capace, di quanta tenacia, quasi una sfida a colpi di fioretto al dolore fisico. Alla fine restano in tre a giocarsi l'oro: con lui, lo spagnolo Torres Barcelo e il francese Grondin. Li mette letteralmente in fila: oro per Consonni, argento per Torres, bronzo per Grondin. Poi scherza, ride, finiscono appaiati, con le mani sulle spalle, dopo la sfida. Chissà cosa si dicono. Chissà se anche per loro, stasera, Consonni aveva gambe ovunque.

C'è l'amaro in bocca per Rachele Barbieri, sorpresa all'interno della pista nella prova dell'eliminazione. Uscita di scena troppo presto rispetto a ciò che ci si attendeva. C'è l'amaro in bocca dopo l'esultanza, dopo la gioia. Ma è ancora presto e si può aspettare altro. Quello che arriverà da lì ad un'ora.
Luci al velodromo e, poco dopo le venti e trenta, ci sono le finali dell'inseguimento a squadre. Sembra il loro destino quello dell'attesa lenta e inesorabile, è sempre così, è spesso così. E noi ci siamo anche questa volta. Puntuali, quasi un omaggio alla Svizzera, ai suoi orologi, quelli citati in un noto detto.
Italia-Gran Bretagna e ancora Italia-Gran Bretagna. Non è un errore, perché la finale femminile e quella maschile propongono esattamente la stessa sfida. Un diverso finale. Sarà argento per Vittoria Guazzini, Martina Fidanza, Elisa Balsamo e Martina Alzini: partono guadagnando, con addosso la maglia iridata, poi qualcosa accusano, la Gran Bretagna macina forte, anche quando si disunisce, anche quando, dal punto di vista tattico, qualcosa non va. Ci disuniamo anche noi verso la fine, non riusciamo a recuperare e siamo secondi. Ma va bene così, è un bel podio. Soprattutto c'è il percorso che, negli anni, ci riporta ancora lì ed è il percorso ad essere anche più bello.

Francesco Lamon, Jonathan Milan, Manlio Moro e Filippo Ganna: la formazione. Le biciclette dorate: il ricordo di un'estate olimpica. Via! La velocità è il loro talento, il loro sacrificio. Marco Villa indica i tempi, il gesto della mano è eloquente: va bene così, è perfetto. Ognuno con le proprie caratteristiche, le proprie sensazioni: il lancio di Lamon, il volto da bambino e la voglia smisurata di qualcosa di speciale di Milan, la commozione di Moro e la potenza di Ganna. Sì, lui che questo velodromo lo conosce alla perfezione, per averci girato un'ora, per aver stabilito qui il record dell'ora. Vorremmo indagarne i pensieri, invece ci fermiamo alla medaglia d'oro nella specialità. All'inno e ai pensieri che porta.
Luci al velodromo e buio fuori. Gli orologi dei velodromi di qualunque parte del mondo custodiscono il tempo ed il tempo questa sera ha lasciato qualcosa per cui essere contenti.


Grenchen 2023, giorno 1: un recap

Prima giornata dell’Europeo su pista in poche (?) parole. Manifestazione in cui maglie e medaglie hanno il giusto valore: si lavora principalmente per crescere (e in alcuni casi qualificarsi) in vista di Parigi 2024. Si è tornati nel luogo in cui Ganna, ma anche Bigham poco prima di lui... sapete già cosa. E in mattinata hanno guidato le proprie nazionali nelle qualificazioni dell’inseguimento a squadre.

Disciplina olimpica e dunque di una certa importanza. Italia al completo, segna il miglior tempo e per il resto poche sorprese. Chi scrive sperava in un ulteriore salto di qualità del giovane Belgio, ma per il momento una solida Germania non si fa da parte. Questione Giochi Olimpici abbastanza circoscritta alle squadre note: Italia, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Francia alle quali si aggiungeranno Australia e Nuova Zelanda e probabilmente una tra USA e Canada), ma se ne parlerà più avanti, intanto stasera si lotta per andare a caccia di una medaglia, sia tra i ragazzi che tra le ragazze.
Balsamo, Fidanza, Guazzini e Paternoster, seconde, sono un po’ lontane dalla Gran Bretagna, ma stasera sfideranno la Francia per l’accesso alla finale valevole per l’oro. Bisognava rompere il ghiaccio e perlopiù è un’altra tappa di un lavoro che porterà verso Parigi.

La gara che apre e chiude la giornata è quella della velocità a squadre: specialità olimpica. Gli omaccioni olandesi fanno paura e senza paura stracciano la concorrenza con quella solita superiorità imbarazzante per gli altri che riescono a mettere in pista. Muscoli che sembrano brillare riflessi sui 730 metri cubi del legno lamellare della pista svizzera. I ragazzi italiani invece crescono, crescono, crescono, sono meno in carne rispetto a gran parte della concorrenza, ma una bellezza da vedere. Due volte migliorano il record italiano, Tognoli, Bianchi e Predomo, con un’età media da quinta liceo o poco più (19 anni) chiudono sesti mostrando evidenti miglioramenti nella velocità su pista: per loro Parigi rischia di essere (per usare un eufemismo) un divieto sacrale, ma non si vive di solo Parigi e la loro contagiosa giovinezza li porterà in alto, a patto chiaramente di continuare a investire e puntare sul movimento della velocità.
Diverso il discorso tra le ragazze dove invece si fatica maggiormente, mentre la gara vede la solita solida Germania - Friedrich, Grabosch, Hinze - superare in finale la Gran Bretagna.

2023 UEC Track Elite European Championships - Grenchen (Suisse) - Day 1 - Men’s Elimination Qualifying - 08/02/2023 - - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Non c’è pausa per il ciclismo, per noi che lo amiamo che passiamo da un evento all’altro, che sia strada, cross o pista, per loro che pedalano e così ti ritrovi ancora e ancora gare una dopo l’altra. Prima di concludere le due prove di velocità, infatti, ieri sono andate in scena anche gare molto attese per l’Italia perché vedevano al via Fidanza e Viviani, nello scratch e nell’eliminazione, entrambi accomunati dalla maglia iridata che li rendeva con tratti quasi sfarzosi in mezzo al gruppo, ma meno riconoscibili del solito con una mise diversa da quella azzurra. Ebbene: la condizione, evidentemente, in due specialità non olimpiche ma nelle quali i due sono di casa, deve ancora arrivare e non c’è nulla di male. Fidanza chiude quinta in una gara in cui, a differenza di qualche mese fa, Mondiale a Saint-Quentin-en-Yvelines, si attacca dalla media, breve distanza, e da uno di questi attacchi se ne esce fuori Maria Martins che dopo aver inseguito una vita la medaglia d’oro su pista, dopo tanti piazzamenti vince, esultando alla fine come Ronaldo. E i portoghesi stanno bene bene in questo periodo a due ruote: l’eliminazione - che vede Viviani eliminato, appunto, precocemente, chiuderà quinto, la vince un giovane di grande talento (da seguire anche su strada) e figlio d’arte, il tedesco Tim Torn Teutenberg, per tutti, o quasi TTT, con quella che fino al momento è l'azione più interessante e da ricordare della manifestazione. Vince davanti a uno dei gemelli Oliveira, ancora Portogallo. E fra qualche ora si ricomincia.


La crescita e l'orgoglio

La giornata era iniziata con una mezza delusione perché, diciamocelo, ci aspettavamo Filippo Ganna in finale per l'inseguimento individuale. Magari in una finale tutta italiana con Jonathan Milan, ve la immaginate? Ma, alla fine cosa puoi dire a Ganna? Qualcosa si può dire: non toccategli l'orgoglio per quella finale mancata, perché si inventerà qualcosa di assurdo. E assurdo, parlando di Ganna, significa incredibile, bello. Basta guardare la prestazione che ha tirato fuori nella finale per il bronzo. Ha raggiunto Claudio Imhof, ha vinto e avrebbe tirato dritto per ribadire che stamattina è stato un errore ma lui, su quei tempi, non si batte. È stato fermato dalla giuria, mentre i compagni al centro della pista invitavano il pubblico alla standing ovation, altrimenti chissà che tempo avrebbe realizzato. Non ufficiale certo, ma è una gran bella risposta. Della classe nemmeno parliamo perché sarebbe scontato.
Erano in attesa Ashton Lambie e Jonathan Milan. Trenta anni contro ventuno, Usa contro Italia, Nebraska contro Friuli Venezia Giulia. I baffoni americani contro i 194 centimetri del ragazzo di Buja. Quei baffi che sembrano uno scherzo all'aerodinamica, quei centimetri che sembrano inconciliabili con l'armonia che Milan mostra su quella sella mentre spinge sul parquet.
I tempi parlavano chiaro: Lambie era favorito. Ex meccanico di biciclette, l'americano, che a forza di averle fra le mani si è deciso a provarle. Era partito con la gravel, poi ha provato la pista. Dalla polvere al velluto del velodromo, lisciato dopo ogni impatto che potrebbe rovinarne la superficie. Si prende la scala per lisciare il legno, perché l'inclinazione è tanta, perché a piedi non sali.
Milan è lì. Ieri ha lanciato il quartetto, oggi si è lanciato, forse anche troppo veloce nelle fasi iniziali. Villa glielo ha detto subito. È rimasto lì, perdeva qualche centesimo ma non naufragava, denti stretti, saldo in sella. Si è scomposto solo nel finale, quando ormai Lambie era lanciato verso l'oro. Si potrebbe dire che ha perso l'oro, vogliamo dire che ha vinto l'argento. Non era facile. Non era facile perché c'era Lambie, non era facile nemmeno a livello psicologico essersi guadagnati quel posto, sostenere la tensione di quella finale in cui tutti aspettavano Ganna. Alla fine, però, è così che si cresce: affrontando ciò che sembra più grande di te e che momentaneamente, magari, lo è anche. Lanciandosi nel velodromo e portando a casa l'argento mondiale.
Ashton Lambie sorride sotto i baffi, si avvolge nella bandiera americana. Ad agosto, in altura, aveva frantumato il record sui quattro chilometri, scendendo sotto il muro dei quattro minuti. C'è qualcosa in sospeso con Ganna, una sfida lanciata. Come, dopo oggi, c'è qualcosa in sospeso con Milan e chissà che nei prossimi anni la sfida non si ripeta e sia Milan a spuntarla. C'è la fantasia di una finale italiana e che bello sarebbe. Ci sono un argento e un bronzo in più nel medagliere ma non finisce qui. Nei velodromi, ogni sfida è un preambolo di altro che verrà, una motivazione, un pungolo di quelli per costruire qualcosa di migliore. E se le premesse sono queste...


Troppo bello per non essere vero

E adesso diteci chi non ci ha pensato sin dalla qualificazione per la finale per l'oro? Chi non aspettava da questa mattina le 19:30 per vedere il quartetto scendere in pista al velodromo Jean Stablinski contro la Francia? Perché sì, eravamo più forti, lo sapevamo, ma fino a quando non sei su quel parquet può succedere di tutto.
E il momento non arrivava più, nemmeno quando li abbiamo visti posizionarsi. Tre caschi d'oro, per ricordarci ancora una volta ciò che è successo a Tokyo, quella medaglia olimpica che ci ha fatto gridare di gioia in un'estate italiana che più di così non si poteva. Jonathan Milan, Filippo Ganna, Simone Consonni e Liam Bertazzo che a Tokyo era riserva, qui invece è parte di quella scia di suono che passa e se ne va, che puoi solo immaginare fino a quando non entri in un velodromo e la senti. Insieme all'aria che si sposta, all'attrito rovente delle ruote lanciate a tutta velocità sul legno. La pista è perfezione, in ogni dettaglio. E fuori da qui c'è il velodromo di Roubaix, c'è ancora sospeso l'urlo di Colbrelli.

Ci abbiamo pensato tutti e abbiamo osservato quei centesimi scorrere, girare vorticosamente, numeri su numeri. Qui è tutto fatto di numeri. Italia in testa, poi Francia, di nuovo Italia e di nuovo Francia. Si sono superati i francesi, perché correvano in casa, perché Roubaix è un tempio a cui non puoi resistere. C'è devozione, rispetto, timore.

E poi diteci chi, guardando, non ha scandito a voce alta i nomi degli azzurri che si alternavano in testa al quartetto. A tutta, quasi senza fiato. Come Consonni a ruota di Filippo Ganna, lui che strapazza il tempo. Potenza dirompente quella di Ganna, spettacolo di cinetica e aerodinamica. Come il quartetto che si riporta sul tempo della Francia e lo sopravanza. Un gruppo, il quartetto.
Ultimi cinquecento metri, siamo in testa. Ultimi duecentocinquanta metri, la Francia si sfalda, resta con tre uomini, basta gettare un occhio dall'altro lato della pista per vederli in difficoltà. Hanno fatto il possibile ma certi tempi, certe velocità, devi averli nelle gambe e i muscoli dei nostri azzurri li conoscono, li praticano, hanno con loro un'affinità rara. Anche a costo di sentire male, di rischiare di svenire, ma devi resistere. La linea bianca del traguardo è lì.

Abbiamo gridato anche noi, un'altra volta, come quel giorno d'estate, come ieri sera, perché ora è vero: siamo Campioni del mondo dell'inseguimento a squadre. Non succedeva dal 1997, ben ventiquattro anni fa. Perché siamo veloci, lo dice il tempo: 3'47"192. Perché siamo un gruppo che va oltre i quattro atleti in corsa. Lo dicono i ragazzi che, prima di festeggiare, hanno chiamato Lamon, l'hanno voluto lì con loro, l'hanno preso in braccio e fatto saltare. O semplicemente perché era troppo bello per non essere vero. Ora è vero. Ora è oro.


Dirompente come Jonathan Milan

Vista l'età anche Jonathan Milan ha pieno diritto di entrare nel club dei giovani, forti, vincenti. Mica ce li avranno solo gli altri i talenti dai tratti poliedrici?
Classe 2000 e infatti non ha solo la faccia da ragazzino: lo è. Potente che sembra fare scintille quando punta l'uomo in pista, alto e così performante su strada che la Bahrain domenica scorsa se lo portava alla Roubaix con il compito di aiutare i compagni a stare davanti e non prendere aria nella prima parte di corsa, ieri Jonathan Milan con una prestazione (esageriamo?) esagerata è diventato Campione Europeo dell'inseguimento individuale durante la rassegna continentale in corso a Grenchen, Svizzera. Ha preso e doppiato il suo avversario, il russo Gonov, dopo 3,5 chilometri di gara.
In semifinale stampava un 4'05'' tempo che ha una certa dignità: tre secondi meglio di quello fatto a Berlino (Mondiale 2020) quando a soli 19 anni andò a giocarsi la finale per il bronzo (che poi perse correndo in 4'13'' contro il francese Ermenault). Ipoteticamente quel 4'05'' gli sarebbe persino valso l'argento in una sfida immaginaria con Filippo Ganna. Che prima del via ieri lo ha sostenuto e incitato.
Milan: un titolo europeo e uno olimpico e anche qualche altra medaglia "meno preziosa" al collo tra cui un bronzo mondiale nell'inseguimento a squadre (nel 2020) e un futuro da seguire; friulano di Buja (sì, proprio come De Marchi) ha compiuto 21 anni una settimana fa, e quest'estate, in quel quartetto dove Ganna ha trascinato, ha fatto la sua porca figura.
E la sua figura è alta, da macinatore di chilometri, ha un motore che potrebbe tenere acceso un velodromo per giorni interi, e oggi come oggi potrebbe ricordare più un passista veloce che un cronoman, ma con questo tipo di corridori mai porre limiti.
Sogna la Roubaix, quella che ha già assaggiato, quella che ha vinto Colbrelli e che pare la corsa - su strada - più adatta alle sue caratteristiche; tra qualche settimana sempre a Roubaix, Mondiale su pista, via le pietre terreno molto più morbido, Milan darà fastidio sia a Ganna che a Lambie.
Stavolta nessuna sfida immaginaria o ipotetica, anzi: chissà che non li spazzi via con tutto quel talento, con quella forza dirompente, con quella faccia da ragazzino sempre sorridente e la genuinità dei suoi splendidi 20 anni o poco più. «Ora con Ganna puntiamo assieme ai Mondiali - racconterà a fine gara Milan - vogliamo far bene sia nell’inseguimento a squadre che individuale e abbassare i nostri tempi». Beh, non resta che goderceli entrambi.