Fino a dove potrà arrivare Tom Pidcock?

C'è qualcosa che, osservando Tom Pidcock, balza subito agli occhi. Non è la statura, né quella potenza di pedalata che, proprio perché espressa da quello che pare un corpicino, Viktor Šklovskij avrebbe definito "ostranenie" straniante, ovvero quel processo narrativo capace di "fare uscire il lettore (o l'osservatore) dall'automatismo della percezione". No quello che colpisce subito di Tom Pidcock è, molto più semplicemente, il talento.
Già, il talento, quella particolare caratteristica che pare quasi possa aiutarci a leggere il futuro di una persona. Quel "dono" che, se non viene coltivato, non può dare buoni frutti. Quel tratto peculiare che siamo soliti - anche al di fuori del mondo dello sport - ad associare a grandi artisti, a menti illuminate e geniali.
Il talento in Pidcock più che una forma d'arte appare legato ai parametri della consistenza. Più che una pennellata d'artista si infila nella categoria dello sforzo disumano. Da quando è giovane, Pidcock spinge oltre ogni limite per ridurre ogni margine alla ricerca del massimo risultato, e a fare la differenza, sentendo colleghi, ex compagni o tecnici, sono testa e ambizione: scintille che accendono e illuminano il suo talento.
"La potenza è nulla senza controllo" reclamava un tempo un famoso spot pubblicitario: assioma così banale ma quanto efficace nel voler descrivere i passi che Tom Pidcock, da Leeds, sta muovendo nel ciclismo.
Quando lo abbiamo osservato da ragazzo, in lui vedevamo questo piccoletto, forte, sì, tenace, è vero, ma fisicamente forse non del tutto pronto a fare quel salto di qualità che in una stagione come quella appena trascorsa, ha dato modo di vedere.
Ma quei margini sono stati ridotti: 3° al mondiale di Harrogate nel 2019 su strada, nel giardino di casa, tra gli Under 23, si diceva: "ottimo corridore per carità, ma deve farne ancora di strada"... eppure.
Lo stesso si diceva nel ciclocross: a livello giovanile raccoglieva di tutto un po': "ma vedrete quando arriverà tra i grandi sarà tutta un'altra cosa". E invece in poco tempo si è ritagliato lo spazio necessario per far parlare di sé, magari non alla pari, ma di sicuro subito dietro van Aert e van der Poel.
Dopo la prima stagione su strada i suoi risultati dicono tanto di talento e ambizione: 1° alla Freccia del Brabante, 2° all'Amstel battuto in un fotofinish che se visto dal suo punto di vista grida vendetta, 3° alla Kuurne-Brussel-Kuurne, 5° alla Strade Bianche, 6° al Mondiale (dove arriva dopo aver patito le pene alla Vuelta, comunque conclusa), 15° alla Sanremo, la sua prima volta in una monumento, la sua terza volta in una gara oltre i 200 km. Tutto questo a 22 anni.
Abbiamo voluto solo sottolineare quello che Pidcock ha già mostrato in 37 giorni di gara su strada in maglia Ineos, lasciando, volutamente ai margini, quello che il ragazzo è capace di fare nel ciclocross e in mountain bike. Perché il suo 2021 ha significato titolo olimpico nelle ruote grasse, bronzo mondiale nel ciclocross finendo nella stessa foto sul podio con Wout van Aert e van der Poel che Pidcock, abile nel muoversi anche fuori dalla bici, descrive così: «Conosco poco entrambi, ma di sicuro Mathieu è uno che se non vince non è felice, van Aert invece sa bene quello che può fare e difficilmente nei giorni in cui sta bene non mette a segno il colpo».
Pensa, Pidcock, parlando appunto di cross, che per restare nella storia dovrà conquistare un campionato del mondo, ma è consapevole in quel caso di dover battere quei due a cui inevitabilmente si ispira.
Ma se nel cross i limiti sono ben definiti da avversari e peculiarità della disciplina è su strada che ci chiediamo dove potrà arrivare. Ha vinto, tra gli jr, la Parigi-Roubaix, bissandola poi tra gli Under 23: potrà essere il primo nella storia a completare una storica tripletta vincendola anche tra gli élite? Secondo noi sì, basta avere un po' di pazienza. Ha vinto, tra gli Under 23, il Giro: su di lui si è pronti a scommettere che prima o poi ci proverà anche tra i grandi nei Grandi Giri nonostante la concorrenza attuale sposti decisamente verso l'alto l'asticella della competitività.
Veloce al termine di corse impegnative tanto da giocarsela persino con uno come van Aert, resistente, intelligente nel modo di correre, le grandi classiche di un giorno le può vincere tutte (o quasi) e non sono molti altri quelli che se lo potrebbero permettere - van Aert, van der Poel, Alaphilippe, Pogačar. E poi?
La Ineos oltretutto sta costruendo attorno a lui un piccolo clan di giovani britannici che negli anni lo supporteranno in tutte quelle che sono le sue idee assecondandone le scelte, accompagnandone la crescita.
E allora fino a dove potrà spingersi Tom Pidcock? Se i limiti sono quelli del suo talento, allora significa davvero molto in alto.


Il fascino di Tom Pidcock in un giardino giapponese

Un percorso così bello e curato nei minimi dettagli, un giardino giapponese. Elementi rifiniti da sembrare uno di quei diorama che ti appioppavano in qualche progetto complicato a scuola. Dicevi di averlo fatto tu, ma invece era tutta opera di tuo padre ingegnere e tua madre artista - benedetti genitori.
Un vincitore così giovane e ricco di fascino da sembrare uno di quegli attori brutti ma tremendamente carismatici, tipo Jeff Goldblum o Willem Dafoe.
Uno sconfitto di giornata oggi, parafrasando Philipp K. Dick, "più umano dell'umano", che ieri nessuno osava dirlo, mentre oggi in coro "non si improvvisa la mountain bike". Un errore, un peccato che lo rende così tremendamente tenero che lo vorresti strapazzare e dirgli con dolcezza, "Mathieu: sarà per la prossima volta". Si farà serio e incazzoso dopo oggi e di sicuro, forte com'è, ci riproverà fra tre anni a Parigi.
Un vincitore perfetto nella gestione, ormai superstar in miniatura, giapponese nel gestire e sfidare i trabocchetti del tracciato, iperviolento nel suo strapotere quando accelerava nei tratti in salita. Irresistibile e versatile come quegli attori brutti di cui sopra, in scala ridotta e forse per questo così a suo agio in quell'ambientazione creata ad hoc per esaltare le doti degli specialisti delle ruote grasse.
A tratti iconoclasta in un mondo rigido, con quell'orecchino sul lobo sinistro, lui che sulla bici sembra un bambino che sfugge agli ordini di casa: semplicemente affascinante Tom Pidcock.
E infine due parole per il terzo arrivato, lo spagnolo David Valero Serrano che finisce così forte che se invece di 9 giri ce ne fossero stati che ne so, altri 9, avrebbe forse vinto per dispersione. Se Pidcock è il fascino, lui, nei giorni di Olimpia, è stato un maratoneta.


Ricominciare a scrivere

A chi, in questi tempi di cinismo e sfiducia, si fosse disamorato di qualcuno o di qualcosa consigliamo solo di dare un’occhiata qui sotto. Guardate la foto, sì, quella di Thomas Pidcock che firma la maglia rosa all’arrivo di tappa di ieri, nella splendida Colico, al Giro Under23. Voi guardate, il resto ve lo raccontiamo. Vi raccontiamo della delicatezza con cui Piddock, o Pidders come lo chiamano, ha preso in mano le maglie, dopo essersi passato le mani sudate nei pantaloncini. Per non sporcarle. Vi raccontiamo della sicurezza con cui ha afferrato il pennarello e si è chinato sulla prima maglietta per autografarla. Come a dire “sei mia, sei ancora mia”. Vi raccontiamo della sua reazione quando, nell’autografare, le magliette si sono scostate e la sua scritta ha traballato. Le lettere del suo nome hanno traballato e quella firma è diventata sbiadita, storta, poco decifrabile.

Tom Pidcock se ne è accorto subito. Ha messo una mano sotto le magliette e con l’altra ha provato ad allungarle, a stirarle, per meglio vedere. La vista lo ha deluso. Aveva firmato male, quella scritta non era più un decoro, quella scritta stava male lì. Messa così era quasi meglio non ci fosse. Cosa fare adesso? Tom Pidcock ha avvicinato il viso alla maglia, ha guardato meglio e ha deciso. E dovevate vederlo. Dovevate vedere l’attenzione con cui ha riavvicinato il pennarello alla maglia. Non è facile avvicinarsi a qualcosa di rovinato o di sgualcito. Non è facile avvicinarsi al dolore, alla malinconia, alla tristezza. Puoi avere la migliore delle attenzioni e peggiorare la situazione. Come quando pensi di pulire una piccola macchia su un divano ed in realtà sbagli prodotto, sbagli modo di strofinare, sbagli tutto e la macchia si ingrandisce.
Dovevate vedere la leggerezza con cui ha iniziato a ripassare con il pennarello le lettere scritte male, nel tentativo di renderle migliori. Scriveva e allontanava la testa per vedere l’effetto che avrebbe fatto quella firma così corretta. Lo ha fatto per una, due, tre volte. Poi ha guardato un’ultima volta ed è passato alla maglia successiva. Con una cura raddoppiata, triplicata, quadruplicata, se possibile. Era soddisfatto. E pensare che non ci eravamo mai soffermati con tanta attenzione sugli atleti alla firma delle maglie, dietro il podio. Pensare che lo ritenevano un gesto quasi scontato, ripetitivo. Uno di quei gesti ufficiali che poi contano fino ad un certo punto. Ci eravamo sbagliati. Di grosso.

Ogni tanto, nella vita, qualcosa sbiadisce, scolora, traballa. Qualche volta, purtroppo, è qualcuno a perdere salde radici, ad abbandonarci, a cambiare così velocemente da non lasciarci tempo di capire. Nella peggiore delle ipotesi è la vita stessa ad apparirci così, a perdere bellezza e meraviglia. Noi vi auguriamo una cosa: trovate il coraggio di Thomas Pidcock. Non rinunciate per paura di peggiorare la situazione o per la certezza che la situazione non cambierà. Non potete saperlo. Tornate ad avvicinarvi. Riaprite quel pennarello. Ricominciate a scrivere. Fate qualcosa, qualunque cosa. Non trovate scuse, non cercatele, non le avete. Poi riguardatela, la vita. Riguardatela bene. Vi piacerà. Più di prima.

Foto: Claudio Bergamaschi