Tre cose dal Tour
- La Danimarca ha una popolazione di circa 5.820.587 qualcuno in più o in meno, crediamo, ma cambia poco. Guardando l'inizio del Tour abbiamo notato come tra Copenaghen, Roskilde e Nyborg tutti gli oltre 5 milioni erano sulle strade del Tour de France a fare il tifo, tra il giallo simbolo della corsa e il biancorosso della loro bandiera. Oggi non sarà da meno. Non giudicate assurdo (o non fatene una questione di solo marketing) il gesto di Magnus Cort Nielsen, corridore danese, bizzarro quanto basta da essere uno dei più popolari e amati in gruppo nonostante (o forse anche per quello) un palmarès che lo pone al di sotto dei fuoriclasse del momento. Fuggitivo di giornata, lui che potrebbe conservare le gambe (ma cerca anche la migliore condizione) per le prime tappe in terra francese, ma ha voluto andare all'attacco, vincere i GPM di 4^ categoria (con tanto di esultanza sotto lo striscione) e poter così vestire la maglia a pois. Oggi, in quella follia che saranno le strade danesi, sarà uno dei più riconoscibili in gruppo. Baffoni e maglia a pallini, biancorossi come il colore della bandiera danese, mentre le crocs fucsia le lascia nel bus per l'eventuale premiazione. Una volta disse parlando della Roubaix: «È una corsa brutale, la più grande, la più pazza, la più dura. Non la gara che farei ogni giorno, ma una volta all’anno sì». Questo per capire il personaggio. E tra qualche chilometro lo aspettiamo proprio su quelle strade.
- Mancava solo il suo sorriso alla collezione e ieri finalmente c'è stato. Ora, se qualcuno avesse scommesso sul suo piazzamento alle spalle del vincitore di turno ci avrebbe quasi rimesso, anzi, pare che il 2° posto di van Aert non fosse nemmeno quotato. Mica stupidi gli allibratori. Fatto sta che oggi avremo in giallo, finalmente, per la prima volta in carriera, Wout van Aert: non ci poteva essere corridore più meritevole (un po' di retorica...). L'ha sfiorata nel 2019, «quando la indossava il mio compagno Teunissen, che saltò nel finale, per un ottimo sognai di vestirla io, ma la prese invece Alaphilippe». Lo scorso anno niente da fare, e nel 2022 tutto faceva presagire di come van Aert si sarebbe dovuto accontentare dei secondi posti in questi giorni. 28 in carriera, lui che è sempre davanti ovunque corra e comunque vince tanto: 35 successi e (quasi) tutti di peso. Quest'anno quando ha vestito la maglia gialla di leader (Parigi-Nizza e Delfinato) alla fine della corsa a vincere è stato Primoz Roglic. Amanti della cabala fatevi sotto.
- La rinascita o, prendendo in prestito dall'inglese, il comeback. Un altro in casa Quick Step, una squadra che alla vigilia veniva demolita dalla "feroce" critica: pareva che fossero di punto in bianco diventati una squadra di brocchi incapaci di allestire un team competitivo di otto corridori, lasciando fuori Cavendish (scelta presa praticamente già dallo scorso anno), Evenepoel (che correrà la Vuelta), Alaphilippe (ancora non al meglio dopo la tremenda caduta alla Liegi). Una squadra che si sta distinguendo di recente per le rinascite (une usine à renaissance, l'hanno definita in Francia) e i colpi a sorpresa. Come quello di Yves Lampaert: «Sono solo un contadino belga e ora mi ritrovo a battere Ganna e van Aert a cronometro» ha raccontato due giorni fa dopo essere scoppiato in lacrime. Mentre Lefevere: «Se dicessi che mi sarei aspettato la vittoria di Lampaert sarei un bugiardo». Poi è stato il turno, ieri, di Fabio Jakobsen. Due anni fa rischiò di incontrare la morte in volata in Polonia; non sapeva nemmeno se e come avrebbe mai potuto ritrovare la via, non solo in bicicletta, ma quella di una persona normale. È tornato e ha iniziato a vincere, fino a diventare, senza stare troppo girarci intorno, il più forte velocista del mondo. E ieri la vittoria (36 in carriera, 18 pre e 18 post incidente) al Tour de France, mentre Pedersen anticipava partendo ancora un po' dal ponte, ma non quello attraversato dalla corsa, quello vicino casa sua, mentre van Aert prendeva l'ennesimo 2° posto e Philipsen restava intruppato. Lui si infilava, scaltro, usciva, potente, si scatenava. Vincente.
Fabio Jakobsen e i giganti
Era come essere sulle spalle dei giganti, al Tour de France, sul Grande Belt, in Danimarca. I giganti sono così: li vedi da lontano, arrivano da lontano. Hanno tutto ciò che serve per essere forti, per questo li vedi da lontano, e in certi dettagli sembrano anche deboli perché ti chiedi come facciano a resistere, a stare così in alto, a sorreggersi. Per questo sulle loro spalle spira vento, perché sono esposti, perché non possono nascondersi.
Assomigliano ai giganti i corridori del gruppo in una tappa come quella di oggi. Giganti forti e talvolta dai piedi d’argilla che vanno contro vento. Sì, perché il vento è contrario, ti spinge indietro, anche in parte laterale, ma non abbastanza per aprire ventagli, per disegnare linee diverse intorno al gruppo.
I giganti forti e fragili, dall’equilibrio instabile, che si vedono da lontano come le loro radici e il loro colore ipnotico, il giallo dell’ossessione: Lampaert che, in maglia gialla, va a prendere la borraccia, che cade e torna in gruppo proprio su quel ponte di diciotto chilometri. Le radici, quelle contadine: gigante perché formi la terra su cui cammini e nello stesso tempo dipendi da lei, dipendi da tutto. Essere giganti è anche questo, è una libertà precaria e ricercatissima. Vuol dire gioire con poco, come Magnus Cort Nielsen ad un traguardo volante. Lo sanno gli uomini di classifica caduti sul finale che non pagano conseguenze sul tempo ma le pagano sul proprio corpo.
Giganti come i velocisti. Una volata fra giganti per i nomi e per la forza che serve a sprintare. Prendete la forza di van Aert, che rassicura, che piace perché è equilibrata, perché è algida, armonica. Si sente il suono di quella forza nel vento, ma non basta anche se, stasera, sarà maglia gialla. La stessa forza di Fabio Jakobsen è, almeno oggi, più forte: basta poco, basta passare davanti di qualche centimetro. Jakobsen vince, da gigante, sulle spalle dei giganti.
Vorremmo parlare di giganti con Jakobsen, vorremmo parlare dei ponti tanto alti che si vedono da lontano e del sorreggersi con poco. Vorremmo sentire cosa ne pensa lui che per tornare a essere un ciclista è dovuto ripartire da zero, dalla base, dopo l’incidente di due anni fa. Vorremmo sapere cosa gli ha detto Lampaert dopo l’arrivo, all’orecchio. Fanno anche questo i giganti. Perché è grande ciò che si vede nei giganti, ma per restare lì, per tornare lì, tanto più grande deve essere quello che non si vede e ti tiene in piedi. Le fondamenta o, più semplicemente, l’animo.
Il monumentale del Tour 2022
Maggio adagio con il Giro d'Italia, a giugno ci sono da fare un po' di conti e vedere chi sta bene, chi cresce e chi cala perché poi arriva luglio e con Niña quest'anno c'è poco da scherzare; poi arriva luglio che per noi significa più che altro Tour de France. Si parte da Copenaghen per arrivare a Parigi, due capitali europee unite dalle biciclette nel giro di ventuno tappe (e tre giorni di riposo), con 176 corridori al via e tra loro un grande favorito, con due rivali, già battuti al Tour, e almeno una decina di altri contendenti alle parti nobili della classifica. Chiamiamoli outsider e procediamo.
IL BAMBINO IN GIALLO
Ha le sembianze di un bambino quel favorito - tanto che il suo compagno di squadra Majka lo chiama proprio così , "bambino", intendiamo, non favorito - e sembra fare tutto con leggerezza, gli piace dare spettacolo, non si nasconde quando deve attaccare da lontano; ci provò alla Vuelta al suo primo Grande Giro che chiuse sul podio, così, sbucando in mezzo agli altri contendenti con la stessa verve e la strafottenza apparente di un personaggio di un racconto di Mark Twain.
Guida il mezzo con perentoria calma e a tratti disumana facilità, è potente, magari non elegantissimo (ma c'è a chi piace, chi scrive, per esempio, è affascinato da quell'ondeggiare di spalle, da quella testa messa leggermente di traverso e la bocca socchiusa sempre pronta a imitare una smorfia tra la gioia e il dolore). Ha un ciuffo che esce dal suo casco (ma attenzione! Ieri si è presentato sul palco con un nuovo taglio!) che fa quasi tendenza.
Sorride spesso, ci verrebbe da dire sempre, e quest'anno si è voluto persino misurare nelle classiche del pavé buttando via l'eccesso di specializzazione che ha visto in parte distruggere lo spettacolo e portare alla monotonia il ciclismo da fine anni '90 a qualche stagione fa, e lui poi facendo così ha rischiato di vincere un Giro delle Fiandre.
Arriva dalla vicina (per noi) Slovenia e ha solo 23 anni e mezzo; un Tour lo ha ribaltato a cronometro, un altro lo ha fatto suo nella prima tappa di montagna, ma le insidie per Tadej Pogačar (sì parliamo proprio di lui se non lo avevate capito) non mancheranno.
Qualche punto debole: si dice possa essere il caldo e quest'anno al Tour ne farà tantissimo (nulla di nuovo) visto l'andazzo dell'estate; si dice che ancora soffra leggermente le scalate molto lunghe – contestualizziamo sempre però, dove soffre Pogačar, il 99,9% del gruppo si è già staccato. I tecnici della Jumbo hanno già dichiarato che batterlo sarà difficile se non impossibile, ma da qualche parte bisognerà iniziare se non altro per tuffarci nell'ignoto di ogni manifestazione sportiva, nonostante la presenza di singoli - o nel caso fosse un gioco di squadra, collettivi - all'apparenza dalle sembianze di imbattibili cannibali.
TUTTI PER TAMAU
Tutti per "Tamau", il piccolino, allora, che avrà una squadra interamente dedicata a lui: d'altra parte come si potrebbe solo immaginare il contrario. Di lui ne abbiamo già parlato, del suo fedelissimo Rafał Majka ne abbiamo appena accennato, il polacco entrerà nelle rotazioni in salita insieme a George Bennett, praticamente ingaggiato quasi esclusivamente per dare man forte allo sloveno al Tour, e al nostro cavallo pazzo preferito, Marc Soler, che pare abbia trovato la quadra sotto la guida di Matxin.
Poi c'è Brandon McNulty. Di questi tempi farebbe comodo avere un corridore di riserva su cui fare affidamento per la classifica generale, non si sa mai: siamo in quel periodo storico dove da un giorno all'altro ti ritrovi fuori dalla corsa per un tampone positivo e la UAE Team Emirates ha già vissuto brutti momenti al Giro, vedi ritiro di Almeida a pochi giorni dalla fine. McNulty probabilmente in un'altra squadra farebbe classifica, qui al Tour sarà un gregario travestito da seconda punta. A dare brio alla squadra avrebbe dovuto esserci l'esperto e solido Trentin con il ruolo di tenere davanti Pogačar, consigliarlo, tirarlo fuori dai guai. Ma indovinate un po'? Positivo al Covid. Al suo posto rientra in extremis Marc Hirschi, che come Trentin vinse la prima corsa da professionista proprio al Tour e che, come sarebbe dovuto toccare all'italiano, abbandonerà velleità personali per aiutare il suo capitano, con il quale se le dava di santa ragione sin dalle categorie giovanili.
Poi ancora: Mikkel Bjerg che, risolti i tanti problemi fisici di questa stagione sarà la costante invece in pianura, con lui Vegard Stake Laengen sempre col compito di coprire il più possibile le spalle (ma anche a ripararlo dall'aria) al due volte vincitore del Tour.
TUTTI CONTRO TAMAU
Iniziamo da uno squadrone che fa "tremare le vene e i polsi". Magari non proprio nel senso dantesco del termine - non siamo di fronte alla bestia, la lupa, una delle tre fiere che spaventa Dante nel primo canto dell'Inferno - ma è una squadra che incute timore agli avversari, quello sì. Intanto: coppia di capitani. Primož Roglič e Jonas Vingegaard che citiamo in ordine di anzianità: i battuti, seppure in modo diametralmente opposto, da Pogačar negli ultimi due Tour de France. Inutile soffermarci su come è andata, piuttosto vediamo come potrebbe andare.
Roglič, al Delfinato, grazie a una squadra nettamente superiore alla concorrenza, sembra aver ritrovato quello smalto che, a causa di un problema fisico, ne aveva fatto scendere le quotazioni in stagione. Dopo tre Vuelta e due vittorie sfiorate tra Tour e Giro, dopo la caduta che lo mise fuori gioco lo scorso anno sulle strade francesi e vista anche la carta d'identità, per l'altra faccia della moneta slovena potrebbe essere l'ultima (o quasi) possibilità di provare a indossare la maglia gialla anche a Parigi, con l'Arc de Triomphe sullo sfondo.
Secondo, però, i si dice, partirà alla pari con Jonas Vingegaard; se analizzassimo grossolanamente l'ultimo Tour, il danese – che parte giocando in casa, motivazione in più - pagò da Pogačar praticamente quasi solo a Le Grand Bornand, per l'esattezza solo sul Colle de Romme dove il giovane sloveno inflisse distacchi d'altri tempi a tutti. Il giorno dopo perse altri 30 secondi, ma poi sul Ventoux lo mise in difficoltà, perdendo poi in volata nelle ultime due tappe di montagna, Saint-Lary-Soulan e Luz Ardiden. A crono si difende molto bene nonostante a vederlo paia decisamente un peso piuma, ma è capace di spingere forte e a cadenze impensabili; in stagione anche lui, a differenza di Pogačar, tanti alti e bassi, ma al Delfinato, dove ha corso in appoggio a Roglič, ha impressionato. A tratti più dello sloveno con il quale condivide lo stesso tetto. Anche se nella testa di molti si parte già battuti, qualcosa con questi due corridori gli olandesi possono inventarsela. Da capire se la squadra adotterà una tattica aggressiva fatta di attacchi fantasiosi, anticipi e imboscate, oppure deciderà di controllare per provare a piazzare qualche colpo nei finali di tappa più duri come successo nelle corse di questa stagione. L'impressione è che la seconda via potrebbe non bastare per scalfire Pogačar, mentre il primo modo renderebbe la corsa più spettacolare.
C'è una terza stella in casa Jumbo Visma che brilla di luce propria a prescindere da discorsi riguardanti la classifica generale: Wout van Aert. Tuttofare del gruppo per antonomasia, van Aert insegue la maglia gialla il primo giorno, la maglia verde magari già dal secondo, ma le possibilità di vestire il simbolo del primato assoluto resteranno intatte fino alla prima tappa di montagna e anzi, tra ventagli e pavé sarà una pedina fondamentale nello scacchiere olandese, con la consapevolezza che un po', giusto un po', lavorerà per se stesso lanciando l'ennesima sfida alla sua nemesi, Mathieu van der Poel. Terreno ce n'è in abbondanza per farci divertire oltremodo.
Sepp Kuss, che vince all'ultimo il ballottaggio con Gesink e Dennis, e Steven Kruijswijk, oltremodo brillante come non lo si vedeva da anni al Delfinato, saranno gli sgrezzatori del gruppo in salita, Nathan van Hooydonck è l'uomo di riferimento per van Aert, Cristophe Laporte sarà la versione in tono minore dell'ex campione nazionale belga e dovrà lavorare tanto – se non solo - per la squadra, mentre Tiesj Benoot rappresenta il gregario jolly. A seconda della situazione lo troveremo davanti in pianura, in salita, in collina, persino sul pavé, sempre con le medesime garanzie di alte prestazioni. Otto corridori di cui almeno cinque sarebbero capitani altrove. Squadrone.
TUTTI (TANTI) GLI OUTSIDER
La lotta al podio e alle posizioni alte della classifica sarà incandescente come l'aria che si respira (“respira”, si fa per dire) in queste settimane. A guidare la fila dei pretendenti al podio Alexander Vlasov. Il russo, 4° al Giro lo scorso anno - senza mai farsi notare troppo - è forse una delle rivelazioni di questa stagione. Rivelazione si fa per dire: spieghiamoci. Vlasov era un corridore atteso al salto di qualità dopo le belle cose fatte vedere da giovane - vincitore del Giro Under 23 nel 2018 davanti ad Almeida e Stannard e 4° nella stessa stagione al Tour de l'Avenir dietro Pogačar, Arensman e Mäder - un corridore che già aveva fatto cose interessanti tra i professionisti (vittoria al Giro dell'Emilia post confinamento per la pandemia), ma quest'anno è sempre stato protagonista ovunque ha corso, gare a tappe o gare di un giorno, in montagna, a cronometro, sugli strappi e persino negli sprint ristretti. Un altro Vlasov a tratti scalatore (ma con alcuni limiti quando le salite superano un certo chilometraggio), a tratti puncheur, a tratti cronoman, che, se confermerà la crescita, sopporterà il grande caldo, riuscirà a dare continuità ai suoi risultati, resta come uno dei nomi più credibili nella lotta al podio. La BORA-hansgrohe, oltretutto, uno scherzetto lo ha già combinato e pure grosso al Giro, andando a vincere per la prima volta nella sua storia una corsa a tappe di tre settimane. Niente male per la squadra tedesca che nel giro di pochi anni è passata da essere una Professional invitata con tanto di polemiche al Giro (era il 2012) a una delle squadre riferimento in gruppo. Di fianco a Vlasov una squadra interamente dedicata alla sua casa: Lennard Kämna, fresco di titolo nazionale a cronometro, dopo la vittoria al Giro sull'Etna ci riprova con il Tour, dove per altro ha già conquistato un successo nel 2020: in salita sarà uno spauracchio delle fughe, ma potrà essere una pedina preziosa per la classifica di Vlasov. A caccia di tappe in casa BORA-hansgrohe anche Schachmann, lottatore e fondista per antonomasia, non disdegna le lunghe fughe, oltre a Konrad e Politt, entrambi andati a segno al Tour nel 2021, con questo ultimo che correrà con la maglia di campione di Germania e Grossschartner, lui invece fresco campione d'Austria. Infine presenti Danny van Poppel e Marco Haller; il primo veloce, regolare, utilissimo alla causa, darà una mano al suo capitano magari nella tappa delle pietre, ma proverà anche a togliersi qualche soddisfazione: potrebbe essere un abbonato alla top ten, mentre il secondo, anche lui veloce, coraggioso, sarà uomo squadra fondamentale: dalle fughe, agli sprint, al tenere al sicuro i propri capitani.
Sarà invece una Ineos Grenadiers a tre teste per la classifica. In origine doveva esserci Bernal, ma sappiamo com'è andata e dopo aver dirottato Carapaz al Giro, la squadra britannica si presenterà al Tour con buone credenziali, è vero, ma senza un nome così pesante da far pensare a un podio. Ai due capitani designati alla vigilia per fare classifica, Adam Yates e Daniel Felipe Martinez, si è aggiunto Geraint Thomas, 36 anni e in arrivo da mesi molto complicati. La vittoria al Tour de Suisse del gallese, maturata è vero dietro circostanze particolari visti i tantissimi ritiri per Covid e malanni vari, lo ha rilanciato anche nelle gerarchie di casa Ineos e grazie anche allo storico (una vittoria e un podio al Tour) e al pedigree di qualità, Geraint Thomas, per tutti G., partirà alla pari degli altri due. L'importante per lui sarà superare indenne le prime complicatissime tappe. Daniel Felipe Martinez, dopo il Giro 2021 chiuso al quinto posto e in crescita pur correndo da gregario, arriva un po' a fari spenti , ma occhio perché il ragazzo colombiano ha grandi qualità da mettere in strada, si difende a cronometro, sa scattare, ha coraggio. Coraggio che non si può certo inserire tra le caratteristiche principali di Adam Yates. Chi scrive lo vede un gradino inferiore agli altri due, ma la sua squadra la pensa diversamente e anche alcuni risultati maturati in passato potrebbero smentirci: 4° per esempio nel 2016 al Tour, quando vinse anche la maglia bianca e arrivo a poco più di 37” dal secondo posto di Bardet, oppure 4° lo scorso anno alla Vuelta quando riuscì ad andare anche più forte di Bernal. L'idea è quello di vederlo lottare comunque per una dignitosissima top ten oltre a inseguire quel successo di tappa che ancora gli manca in un Grande Giro. Il resto della squadra vedrà Tom Pidcock pronto a sfruttare le diverse tappe adattissime a lui e a lanciare l'ennesima bellissima sfida con gli altri due giganti del ciclocross, Filippo Ganna per la prima la maglia gialla della sua carriera e del Tour 2022, Luke Rowe, Jonathan Castroviejo e Dylan van Baarle invece per dare (quasi esclusivamente) il loro enorme contributo al lavoro di squadra.
Punta il podio il duo Bahrain formato da Damiano Caruso e Jack Haig. Il siciliano ha chiuso 4° al Delfinato pur senza brillare e questo ci dà un'idea della dimensione in cui si trova in questo momento il classe '87 di Ragusa, secondo al Giro dello scorso anno dove a un certo punto fece pure tremare la maglia rosa di Bernal. Smaltiti i carichi, Caruso, sempre capace di correre davanti, superate le insidie delle prime tappe, in salita si propone come uno dei corridori più forti. Al suo fianco Haig, che ha caratteristiche differenti, meno solidità a cronometro, persino meno appariscente, partirà forse leggermente defilato, ma attenzione, l'australiano, lo scorso anno, dopo il ritiro al Tour a causa di una caduta (era partito anche fortissimo nelle prime due tappe) ha disputato una Vuelta così consistente da salire sul podio, e dunque sarà difficile tenerlo fuori dai discorsi di alta classifica. Squadra robusta, di livello quella di fianco ai capitani, seppure con qualche assenza. Senza Mäder ammalato, sarà Dylan Teuns a dare una mano in salita e perché no, potrà timbrare il cartellino dalla fuga, cosa che gli è già riuscita altre volte (l'ultima a Le Grand Bornand dodici mesi fa), con l'eterno Luis Leon Sanchez che avrà un occhio di riguardo per i suoi su tutti i terreni. Matej Mohorič è uno dei corridori più attesi per i successi di tappa, il jolly capace, se in giornata, di vincere su (quasi) tutti i terreni, mentre sarà compito di Fred Wright e Jan Tratnik muleggiare un po' ovunque e di Kamil Gradek farlo quasi esclusivamente in pianura.
Per la classifica come non considerare Enric Mas, Movistar, il più regolare dei regolaristi, uno che ogni tanto ci prova a sferrare l'attacco che puntualmente viene riassorbito ma che comunque può fare male: quando ha la giornata buona riesce a essere tra i due/tre migliori scalatori del gruppo. Il 27enne spagnolo è un habitué dei piani alti della classifica dei Grandi Giri, due podi alla Vuelta e un quinto posto, un quinto e un sesto posto al Tour e il riscatto della Movistar, sin qui autrice di una stagione totalmente mediocre, passa proprio dal Tour di Mas, il quale però non va dimenticato arriva da un brutto ruzzolone al Delfinato. La squadra con Carlos Verona, Imanol Erviti (al suo 28° grande Giro, 1 in più di Nibali e LL Sanchez, tra i corridori in attività solo Valverde ne ha disputati di più, 32)), Gorka Izagirre, Matteo Jorgenson – occhio all'americano per le vittorie di tappa- , Gregor Mühlberger, Nelson Oliveira e Albert Torres è tutta per lui.
C'è Ben O'Connor, AG2R Citroën, una delle rivelazioni dello scorso anno; una bella vittoria di tappa che lo ha lanciato in classifica, una discreta resistenza a crono e poi in tutte le tappe di montagna. Morale? 4° posto finale con l'intenzione di confermarlo o persino migliorarlo quest'anno. Va forte in salita, è regolare a crono, non ha paura di attaccare, ma in un Tour che rischia di essere chiuso per le prime tre posizioni, potrebbe, tramite la costanza di rendimento confermare un piazzamento nei primi cinque, sei della generale che sarebbe poi un risultato di grandissimo spessore.
Di fianco gli è stata costruita una formazione che cercherà comunque le vittorie di tappa, attesissimo da questo punto di vista Benoît Cosnefroy, con Mikaël Cherel gregario al suo ultimo Tour prima del ritiro a fine stagione, e Geoffrey Bouchard e Bob Jungels uomini da salita. Occhio all'ex commesso decathlon che potrebbe inseguire la tripletta dopo aver vinto la maglia dei GPM sia al Giro che alla Vuelta, mentre il lussemburghese sembra ritrovato dopo un paio di stagioni da incubo con problemi anche di natura psicologica. Aurélien Paret Peintre è un bel talento completo che pare un po' smarrito, Stan Dewulf andrà all'attacco quando potrà e infine Oliver Naesen che vince il ballottaggio con Van Avermaet (uno degli esclusi di lusso da questo Tour) e proverà a piazzarsi nelle volate – e perché no, potrebbe aver cerchiato di rosso la tappa di Arenberg.
Restando in Francia: Groupama-FDJ con un terzetto che non fa della continuità la sua arma migliore, ma che se dovesse trovare le tre settimane di grazia potrebbe dare fastidio a molti in salita e anche in classifica. David Gaudu (leader designato dopo un po' di gavetta e qualche piccolo passo falso, arriva da un Delfinato dove ha battuto van Aert in uno sprint in salita, salvo poi cedere in montagna), Thibaut Pinot e Michael Storer hanno potenzialmente tutto per essere tra i migliori scalatori della corsa e gli arrivi in cima di questo Tour potrebbero vedere il loro nome stampato in grande al termine della tappa.
La Cofidis punta alla top ten con il regolare Guillaume Martin e con il più discontinuo Ion Izagirre, stesso discorso per la Intermarché Wanty Goubert che lancia Louis Meintjes all'inseguimento di un bel piazzamento in classifica generale e per la DSM con Romain Bardet alla ricerca del riscatto dopo il ritiro dal Giro. Il francese ha le carte in regola per poter provare ad avvicinare il podio, ma resta più plausibile un piazzamento nei primi otto, dieci con una vittoria di tappa in montagna. A sentire lui ci sono ancora incognite sulla sua condizione fisica dopo il malanno che lo ha colpito sulle strade italiane.
Se la EF Education First avrà Rigoberto Uran e Ruben Guerreiro in lotta per la classifica - e il secondo anche per vincere qualche tappa e magari provare a indossare la maglia a pois - c'è un altro colombiano che scalpita per prendere il volo in salita: Nairo Quintana. L'Arkéa Samsic punta tutto su uno dei soli tre colombiani al via (record negativo da diversi decenni), schierandogli di fianco Warren Barguil che di recente ha sfiorato il successo nel campionato francese. In chiave classifica, da considerare anche Aleksej Lutsenko per l'Astana – che non arriva però da un momento felice a causa di problemi fisici e incidenti - , l'attempato duo Israel Premier Tech formato da Jakob Fuglsang (il più acclamato di tutti alla vigilia durante la presentazione dei team a Copenaghen) e Michael Woods (al via per la squadra israeliana ci sarà pure Chris Froome! senza alcuna ambizione, sarebbe bello vederlo in fuga ogni tanto), e poi ancora Pierre Latour per la TotalEnergies, il quale però viene da un brutto infortunio ed è sempre un corridore abbastanza difficile da decifrare e pronosticare. Infine citiamo anche Mattia Cattaneo Quick Step Alpha Vynil che, insieme a Caruso, rappresenta l'unica speranza di classifica per il ciclismo italiano al Tour. Che di questi tempi non è nemmeno poco.
RUOTE VELOCI (ANCHE VELOCISSIME)
Non saranno tantissime le volate (fino al secondo giorno di riposo rischiano di essere tra le 2 e le 4 in tutto) e quindi occhio alle sfide tra Jasper Philipsen, Fabio Jakobsen e Caleb Ewan che se le daranno di santa ragione per dividersi il risicato bottino di questo Tour. Jakobsen avrà la squadra più forte per questo tipo di esercizio: Yves Lampaert, Kasper Asgreen, Michael Mørkøv terzetto ultra collaudato al quale nelle ultime ore si aggiunge il neo campione di Francia Florian Sénéchal che sostituisce Tim Declercq positivo al Covid. Ewan, invece non avrà al Tour nessun componente del suo treno (Selig, Kluge, De Gendt, De Buyst) e dovrà cavarsela più o meno da solo se non con l'aiuto del sudafricano Reinardt Janse Van Rensburg. Per Philipsen c'è la possibilità di sprintare sia nei volatoni più classici che anche di tenere duro tra tappa del pavé e qualcosa di più impegnativo (e magari provare a insidiare van Aert per la maglia verde, diciamo insidiare perché la sfida sulla carta pare chiusa), senza dimenticare però chi avrà in casa, ovvero Mathieu van der Poel. L'olandese, dopo aver dato spettacolo al Giro, ci riproverà al Tour dove il livello è sicuramente più alto, ma non sarà certo questo a spaventare un corridore che sguazza nell'eccellenza. In generale la Alpecin (non più Fenix ma Deceuninck da questo Tour) ha una squadra equilibrata sia per dare l'opportunità ai due capitani di esprimersi al meglio (Silvan Dillier, Alexander Krieger, Edward Planckaert, Kristian Sbaragli e Guillaume Van Keirsbulck), sia per beccare le fughe nelle tappe più impegnative con Michael Gogl e Xandro Meurisse, quest'ultimo che potrebbe anche guardare alla classifica, magari non ai piani altissimi.
Per gli sprint ci sarà anche Wout van Aert che già il secondo giorno a Nyborg si getterà nella mischia, ma attenzione anche al nostro Alberto Dainese. Dopo i piazzamenti alla Vuelta, il velocista veneto della DSM si è sbloccato con una meravigliosa volata al Giro meritandosi la convocazione per la corsa francese. Di fianco a Dainese la squadra di matrice olandese porta l'esperienza e la classe di John Degenkolb con il quale potrebbe dividersi i compiti, magari lasciando al tedesco la possibilità di fare la propria corsa nella tappa di Arenberg. Ricordate come finì l'ultima volta che il Tour corse sul pavé? Vinse proprio lui.
La Cofidis fino a poche ore fa avrebbe puntato su Brian Coquard per le volate, ma il Covid lo ha fermato (sostituito da Périchon) e dunque ci sarà il tedesco Max Walscheid che arriva da una primavera di ottimo livello interrotta solo da un bruttissimo incidente mentre si allenava. Il tedesco punta a un bel risultato anche nella crono di apertura.
La Intermarché Wanty Goubert si affiderà ad Alexander Kristoff. Molto interessante oltretutto il trenino della squadra belga: con il norvegese, due corridori in grande forma come Andrea Pasqualon e Adrien Petit. L'Arkéa Samsic porta sulle strade francesi una coppia niente male di piazzatoni come Hugo Hofstetter e Amaury Capiot, ma la squadra bretone capitanata da Quintana e Barguil sarà tra le guastafeste soprattutto nelle prime tappe con un occhio a quelle nel nord della Francia: Matis Louvel e Connor Swift potranno scatenarsi su quei terreni.
Finito il discorso velocisti? Assolutamente no: TotalEnergies punta su Peter Sagan che è tornato al successo di recente al Tour de Suisse per poi rivincere pochi giorni fa per l'ottava volta negli ultimi dodici anni il campionato nazionale slovacco, mentre il Team Bike Exchange, escluso l'emergente Groves (che il prossimo anno andrà a correre con la Alpecin Deceuninck), porta una squadra interamente dedicata alle volate di Dylan Groenewegen e ai piazzamenti di Michael Matthews. Per gli australiani sarà vitale raccogliere più punti possibile in chiave salvezza. Jack Bauer, Luke Durbridge e Amud Jansen saranno i componenti del treno in pianura, Luka Mezgec il pesce pilota. Cristopher Juul Jensen il jolly che se in giornata potrà anche provare a vincere dalla fuga di giornata, mentre Nick Schultz avrà il compito di curare la classifica fin dove possibile. C'è spazio ancora per nominare un corridore italiano, Luca Mozzato. Il vicentino della B&B Hotels-KTM è corridore davvero interessante, veloce, ma non abbastanza per provare a battere i mostri della velocità che saranno al via del Tour; ha una certa attitudine nell'infilarsi nelle fughe e nel superare indenne i percorsi mossi (e chissà la tappa con arrivo ad Arenberg...). Resta da capire, vedendo alcune prestazione, quanto possa influire sul suo rendimento il grande caldo. Il Tour ci darà tutte le risposte.
Abbiamo lasciato da parte uno dei corridori più talentuosi e indecifrabili del gruppo: Mads Pedersen. Si parte dalla sua Danimarca, la condizione sembra essere la migliore (al Giro del Belgio non è mai uscito dai primi 9 posti), le motivazioni anche. C'è una crono il primo giorno che lo stuzzica, potrebbe chiudere nelle prime posizioni – ne ha le qualità – e poi provare ad andare a caccia della maglia gialla. Cosa potrebbe mai andare storto? Che è Pedersen, uno dei profili più difficili da leggere del gruppo. Talento che corre in proporzione alla discontinuità. Tuttavia difficile non pensare al suo nome nelle volate del Tour anche se presumibilmente si dividerà il compito e lo spazio in gruppo con Jasper Stuyven, mentre il mitico Tom Skuijns, insieme ad Alexander Kirsch, darà una mano importante ai due.
UNA QUESTIONE DI FUGHE E DI TAPPE
Si è iniziato ad accennare ai cacciatori di tappe, non per forza quelli che si muoveranno anche per la classifica e nemmeno quelli da volata. Un accenno agli assenti, o per meglio dire gli esclusi, perché hanno fatto rumore: su tutti Alaphilippe, Van Avermaet, i velocisti Groves, Merlier e Cavendish, e poi ancora Soren Kragh Andersen, Nibali, Valverde o Stannard. Mancherà purtroppo anche Bini Girmay il quale rimanda al Tour dell'anno prossimo il replay della sfida vista al Giro con van der Poel.
Ecco proprio Mathieu van der Poel sarà uno dei fari tra fughe, arrivi dove ci sarà da scattare (vedi tappa numero sei) o perché no se in gruppo si resta in pochi o c'è un ventaglio e magari non ci sono tutti i velocisti lui sarà pronto, e si farà trovare caldo già dalla cronometro.
La Francia andrà a caccia di successi parziali con il già citato Cosnefroy, ma anche con il terzetto della Cofidis formato da Victor Lafay, corridore che dopo il successo di tappa al Giro 2021 ha fatto un notevole salto di qualità, Anthony Perez – atteso nelle fughe che inseguirà probabilmente anche tanti punti dei GPM e Benjamin Thomas. Il talentuosissimo fuoriclasse della pista sarà al suo esordio al Tour e quando entrerà nella fuga giusta sarà uno degli uomini da temere maggiormente. La Groupama, detto di Pinot e Gaudu (e Storer) avrà altri due corridori di valore assoluto: Stefan Küng che non nasconde di andare a caccia della maglia gialla nelle prime tappe, è nella migliore stagione della vita e gli manca, incredibilmente, solo il successo. Partirà nella crono di Copenaghen con la maglia di campione europeo e nei giorni successivi, soprattutto con il rientro in Francia, ci sarà diverso terreno su cui dare spettacolo. C'è anche Valentin Madouas - sul podio al Fiandre quest'anno - corridore forte su tutti i terreni, ma da capire quale sarà il suo ruolo all'interno di una squadra che schiera anche Kevin Geniets, lussemburghese utilissimo alla causa dei suoi capitani.
Sempre per quanto riguarda le squadre francesi detto degli Arkéa Samsic, completiamo citando diversi corridori delle altre due squadre Professional: TotalEnergies e B&B Hotels. I primi lanciano un terzetto temibilissimo due di loro hanno già lasciato il segno quest'anno in fuga in corse a tappe WT disputate in Francia: Mathieu Burgaudeau (vincitore di tappa alla Parigi-Nizza) e Alexis Vuillermoz (al Delfinato), con loro Anthony Turgis eterno piazzato, mentre dopo l'esclusione dello spagnolo Cristian Rodriguez, la squadra ha inserito all'ultimo momento Edvald Boasson Hagen. Fa sorridere vedere il norvegese al Tour nella stessa squadra di Peter Sagan: i due, ormai una decina di anni fa, erano pronti a lanciarsi una sfida epocale su tutti i terreni, sfida che non ci sarà mai a causa della notevole discontinuità del corridore norvegese e della superiorità a conti fatti dello slovacco. A chiudere il roster citiamo, se non altro per partigianeria, Daniel Oss, fedelissimo scudiero proprio del campione slovacco e uno dei 14 italiani al via, forse quello con meno ambizioni personali, forse quello più utile alla causa di un compagno di squadra. La B&B Hotels, invece, vuole ritrovare Franck Bonnamour, uno dei protagonisti delle fughe al Tour dello scorso anno, ma quest'anno un po' limitato da una brutta caduta a inizio stagione (miglior risultato per lui un 2° posto di tappa alla Parigi-Nizza dopo una lunghissima azione partita da lontano), mentre quest'anno pare abbia ritrovato una vecchia conoscenza delle montagne francesi: Pierre Rolland. Se cercate un candidato alla maglia a pois, il suo nome è uno dei più gettonati. Cyril Barthe, Alexis Gougeard e Jérémy Lecroq proveranno a lasciare il segno in fuga, mentre Cyril Lemoine per una manciata di giorni non sarà il corridore più vecchio al via: primato che appartiene a Philippe Gilbert.
Proprio dalla Lotto Soudal proseguiamo la carrellata dei cacciatori di tappa: cinque di loro hanno le carte in regola per vincere almeno una tappa con una bella azione a lunga gittata. Philippe Gilbert, Andreas Kron, Brent van Moer, Florian Vermeersch e Tim Wellens, cinque corridori che non hanno bisogno di presentazioni. Il capolavoro per loro sarebbe quello di riuscire a muoversi da lontano in più di uno sfruttando così qualità e superiorità numerica.
La Trek Segafredo punta sulle fughe di Giulio Ciccone e Bauke Mollema in montagna e sulla verve del giovane Quinn Simmons che sicuramente farà divertire il pubblico con la sua indole da attaccante, mentre a livello di carta d'identità sta quasi agli antipodi Simon Clarke, che insieme a Krists Neilands e Hugo Houle animerà le fughe per la Israel-Premier Tech.
In casa Quick Step da seguire Andrea Bagioli che avrà carta bianca per dire la sua nelle fughe e in alcune tappe impegnative (ma non durissime, occhio alla sesta e all'ottava tappa che sembrano disegnate per lui) mentre l'Astana punta forte su uno dei gioielli del ciclismo italiano, quel Gianni Moscon suo malgrado, a causa di problemi fisici, autore sin qui di una stagione anonima. Con lui Joe Dombrowski l'uomo per la tappe di montagna, Fabio Felline, tuttofare insieme all'inossidabile Andrey Zeits, Simone Velasco che a 26 anni e mezzo farà il suo esordio in un Grande Giro dopo una carriera passata tra le Professional e Alexander Riabushenko, inserito all'ultimo causa l'esclusione per Covid di Samuele Battistella.
Se per la EF Education-EasyPost proveranno a vincere le tappa Alberto Bettiol, Magnus Cort Nielsen, Neilson Powless e Stefan Bissegger, e hanno tutti e quattro concrete possibilità, chiudiamo il discorso con la DSM che oltre a Bardet e Andreas Leknessund per la classifica - il norvegese dopo essersi sbloccato al Tour de Suisse, cerca conferme importanti al Tour - e a Dainese e Degenkolb per le volate, si farà vedere con Chris Hamilton in salita, ma occhio anche a Kevin Vermaerke e Nils Eekhoff (quest'ultimo aiuterà Dainese allo sprint) che proveranno a infilarsi nella fuga giusta magari in tappe non troppo dure.
Chiudiamo con quello che potrebbe essere il guastafeste per antonomasia di questo Tour, uno che se va in fuga rischi pure di non riprenderlo e che lo scorso anno con questo modo di fare irriverente ha dato la svolta alla vita agonistica della sua squadra, la Intermarché Wanty Goubert. Parliamo naturalmente di Taco van der Hoorn citando il suo successo al Giro. L'olandese sarà uno dei corridori da seguire con maggiore simpatia ed entusiasmo a questo Tour e l'occasione per fare il tifo per lui di certo non mancherà.
IL PERCORSO
Si parte dalla Danimarca, storia arcinota ormai, con una breve crono di 13 km, il giorno dopo la tappa dovrebbe sorridere alle ruote veloci ma occhio al vento e a quel lungo ponte che potrebbe sensibilmente ribaltare la corsa spezzando il gruppo. Il terzo giorno sarà ancora appuntamento per i velocisti mentre quarta e quinta tappa, quella di Calais e poi quella del pavé con arrivo ad Arenberg hanno un pronostico del tutto aperto e potrebbero provocare diversi scossoni anche alla classifica generale.
La sesta tappa, quella che si concluderà a Longwy, oltre ad essere la più lunga del Tour con i suoi 220 km presenta un finale tortuoso che strizza l'occhio ai corridori tipo van der Poel e potrebbe tagliare fuori invece i velocisti.
È il preludio del primo arrivo in salita di questa edizione, l'8 luglio, tappa numero sette, finale a La Super Planche des Belles Filles, non una vera e propria tappa di montagna, ma un arrivo impegnativo che segnerà i primi distacchi, quello sì. Il giorno dopo si sconfina in Svizzera con arrivo su uno strappo, ma vista la prima parte sulla frazione numero 8 campeggia in grande la scritta “fuga all'arrivo”. Domenica 10 luglio, invece, prima del secondo riposo tappa di montagna quasi interamente in Svizzera con rientro in Francia proprio per l'ascesa finale, il Pas De Morgins, antipasto degli ultimi chilometri verso Chatel Les Ports du Soleil. Anche qui lecito immaginarsi una fuga all'arrivo. Il 12 luglio si riparte con un'altra tappa fatta di su e giù, tracciato suggestivo e con l'arrivo finale all'Eliporto di Megève, ascesa lunga ma tutt'altro che dura, stesso finale della tappa del Delfinato 2020 quando vinse Sepp Kuss.
È solo l'anticipo però di quello che succederà nei due giorni successivi con le due tappe più attese dell'intero Tour de France. Il giorno 13 da Albertville: Télégraphe, Galibier e arrivo sul Col du Granon dove Bernard Hinault vestì per l'ultima volta la maglia gialla al Tour. Era il 1986 e il corridore francese si staccò sull'Izoard. Il giorno dopo si arriva in uno di quei luoghi di culto per antonomasia del ciclismo: Alpe d'Huez. Tappa decisiva e come contorno anche il fatto di disputarsi il 14 luglio, con Galibier, di nuovo, Télégraphe, di nuovo, e l'infinita ascesa verso la Croix de Fer prima di scendere verso Bourg d'Oisans e iniziare la salita verso la mitica Alpe d'Huez, domata e dominata da Pantani, tanto che i primi tre migliori tempi di scalata continuano a essere i suoi. La due giorni successiva, Saint-étienne prima e Mende poi, chiamano a raccolta fuggitivi e delusi, sorte simile per la quindicesima tappa, domenica 17 luglio, con conclusione a Carcassone.
Riposo ed ecco l'ultima settimana di corsa. I Pirenei si avvicinano. A Foix chiamata a raccolta per chi vorrà fare la differenza non solo in salita, ma anche indiscesa: giù dal Mur de Péguère c'è spazio. Il giorno dopo tappa d'alta montagna con il duro arrivo di Peyragudes, 8 km a quasi l'8% di media. L'ultima volta che si arrivò da queste parti – ma con un disegno differente – vinse Romain Bardet. Giovedì 21, tappa 18 con l'arrivo classico a Hautacam sarà l'ultima occasione per gli scalatori di provare a fare la differenza e terreno, soprattutto nella seconda parte di gara ce ne sarà a volontà. Week end finale dedicato aalle ruote veloci con le tappe di Cahors e la conclusione sugli sugli Champs-Elysées, ormai classica per le volate all'interno di un Grande Giro e in mezzo l'impegnativa cronometro di 40,7 km di Rocamadour che darà l'ultimo decisivo (qualora ce ne fosse bisogno) scossone alla classifica.
I FAVORITI DI ALVENTO
MAGLIA GIALLA
⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐ Vingegaard
⭐⭐ Vlasov, O'Connor, Martinez, Mas, Gaudu, Fuglsang
⭐ G.Thomas, Bardet, Yates, Caruso, Haig, Guerreiro, Uran, Martin, Woods, Lutsenko, Cattaneo, Quintana, Latour
MAGLIA VERDE
⭐⭐⭐⭐⭐ van Aert
⭐⭐⭐⭐ Jakobsen
⭐⭐⭐ Sagan
⭐⭐ Philipsen, Matthews, Pedersen, van der Poel
⭐ Ewan, Mohoric, Vlasov, Pogačar, Roglič
MAGLIA A POIS
⭐⭐⭐⭐⭐ Pinot
⭐⭐⭐⭐ Rolland
⭐⭐⭐ Quintana, Barguil, Guerreiro
⭐⭐ Bardet, Bouchard, Perez, Ciccone
⭐ Mollema, Gaudu, Pogačar, Roglič, Vingegaard, Latour
MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ McNulty
⭐⭐⭐ Leknessund
⭐⭐ Storer, Pidcock
⭐ Jorgenson, Bagioli, Simmons
Foto in evidenza: ASO/Aurélien Vialatte
"Cykel": a Copenaghen
Anche in questo momento, a Copenaghen, qualcuno, passando dalla Piazza del Comune, si sarà fermato davanti allo schermo che conta i giorni mancanti al primo luglio, il giorno della partenza del Tour de France. Per loro è "vente", l'attesa. Davanti a quello schermo si ferma la bicicletta e si fa passare qualche minuto: solo così manca meno, solo così quel giorno è più vicino. Basta "cykel", la bicicletta in danese, e qualche pedalata per andare a vedere. Per almeno cento giorni, perché il tempo lì ha iniziato a scorrere ai meno cento giorni dal Tour.
Le biciclette corrono ai lati delle strade e sono l'elemento in movimento della città. Sono il mezzo in grado di scuotere gli abitanti dalla forte timidezza che li connota, perché aiutarsi, fra le strade, in bicicletta, è naturale. «Spesso le biciclette usate per andare al lavoro o a scuola sono le più vecchie, segnate dal tempo e dall'uso- ci raccontano i ragazzi di Copenaghen Bike Community che stanno lavorando all'allestimento degli eventi collaterali al Tour- ciascuno ha più di una bicicletta e la più bella resta a casa per le occasioni importanti». Non c'è nulla di male nell'avere una bici vecchia, non c'è nulla di male nell'usare una bicicletta rovinata.
La bicicletta, per un danese, è il mezzo che unisce due punti di un tragitto, la sola sua chiave di lettura è il viaggio. Il Tour de France in città per gli abitanti di Copenaghen è, in primis, un'opportunità di avvicinamento fra il loro mondo, quello che alla bicicletta lega la parola "necessità", e quello dello sport in bicicletta: «Per un ragazzo che va in bicicletta a scuola o un operaio che usa la bicicletta per andare in fabbrica, chi fa il mestiere del ciclista sembra molto distante, come in un altro universo. Quelle biciclette sembrano, e in parte sono, altre biciclette. In realtà scorrono sulle stesse strade, per questo, da oltre un anno, per l'arrivo del Tour si stanno rifacendo le strade». In questo modo si accomunano due realtà diverse, cercando di suscitare negli uni la curiosità per il mondo degli altri: «Nella concezione danese, la bicicletta è una, unica, il resto sono differenziazioni fatte dalle persone e dagli usi. Ospitare il Tour de France significa avere altre biciclette in città e altri usi delle biciclette». Forse significa anche avere ancora più voglia di fermarsi a scattare una fotografia.
Già, perché a Copenaghen accade anche questo: «Se il mezzo bicicletta ti incuriosisce, ad ogni pedalata ti fermi decine di volte a fissare una nuova bicicletta: cargo bike, bici per famiglie, biciclette colorate che vanno a formare disegni o vetrine». E, nel centro di Copenaghen, le vetrine a tema bici sono davvero tante, compreso un negozio dedicato al Tour de France. Qualcosa che richiama l’idea di una festa. “Festivelo”, ad esempio, che proprio nei giorni del Tour de France racconterà le diverse forme del ciclismo e lo farà cercando di divertire, di mostrare cosa può essere una bicicletta.
Qui, a Copenaghen, è la costante su ogni sfondo, ad ogni variazione di cielo e di luce, la scia in movimento che porta altrove.