Antica bellezza

A tratti, sotto i raggi di sole del tardo pomeriggio di Wollongong, la maglia del Belgio di Remco Evenepoel ha qualcosa di antico. Quasi una cartolina d'altri tempi, spedita di domenica. Qualcosa di antico lo ha anche il ciclismo che per quanto sia cambiato negli anni, per quanto cambierà, mantiene alcuni tratti che emozionano allo stesso modo, a metà tra passato e futuro.
La solitudine di un ciclista, ad esempio. Il gesto di Remco Evenepoel emana una bellezza antica: quando sceglie come direzionare la corsa, quasi un artigiano, qualcuno che lavora alla bicicletta, al telaio, che lo rende adatto alla persona, all'uso, quando, poi, allunga quel gruppo come una corda di violino e si intuisce un suono, quasi l'accordo iniziale di una musica, quando aspetta e freme per poi andare via con Lutsenko. Non scatta da dietro, non cerca di sorprenderlo: fa il suo passo, duro, logorante e Lutsenko si stacca, stanco, non lo regge più, cerca conforto dall'acido lattico in un attimo di quiete a poco meno di trenta chilometri dall'arrivo. Davanti, Evenepoel se ne va e da solo guadagna, inesorabilmente. Senza freni, senza tregua, senza pausa.
Qualcuno racconta che alcuni pittori provano una sorta di frustrazione, di lieve dolore, perché per quanto si cerchino i giusti colori, il giusto accostamento, luci e ombre, ciò che l'occhio vede non riesce mai a essere realmente intrappolato dalla tela. Non è l'occhio a essere ingannato, è solamente il fatto che a ciò che vediamo accostiamo un sentire particolare ed è complesso mostrare quel sentire in modo che anche chi legge, chi ascolta, possa provarlo. Allora richiamiamo alla memoria ciò che avete visto, ciò che abbiamo visto e ognuno sa quello che ha provato.
Basta una frase: «È scattato Evenepoel» per innescare una serie di reazioni, di sensazioni, le stesse per tutti e a quelle ci richiamiamo, quelle resteranno quando penseremo a Evenepoel con la maglia iridata, Campione del Mondo. Questa è la bellezza antica di cui parlavamo, di una bicicletta, del ciclismo. Di Evenepoel che si porta la mano sulla bocca al traguardo, poi sulla testa, la scuote nell'aria e solo alla fine alza le braccia. Quel senso di felicità che impedisce di stare fermi, qualcosa a cui avrà pensato in tutti i chilometri in solitaria perché Remco, oggi, ha vinto il Campionato del Mondo, prima di vincerlo. Il tumulto, però, è troppo forte per gestirlo, anche più dei suoi attacchi, del suo smisurato talento. E gioisce, incontra i compagni, abbraccia Alaphilippe, quasi un passaggio di consegne, si dicono qualcosa, chissà che cosa, di sicuro qualcosa che li accomuna, perché a chi ha provato la stessa emozione non serve spiegare nulla: sa come ti senti. Poco dopo, si cerca van Aert, una mano sulla spalla, pochi gesti.
La bellezza antica del ciclismo è anche nelle parole genuine di Lorenzo Rota, che era lì a giocarsi una medaglia, poi un calcolo sbagliato dei tempi e gli azzurri si sono piazzati, ma per quel podio non c'è stato nulla da fare, nonostante una corsa vissuta nell’unico modo possibile: «Era come un dietro moto». Così il talento si riconosce, piace, provoca sollievo anche se c'è rammarico, dolce e amaro. Trentin quinto, Bettiol ottavo, Rota tredicesimo: per noi finisce così.
Sul podio, con Evenepoel, Laporte e Matthews. Finisce come finiscono sempre questi giorni, comunque sia andata. Evenepoel parla con i giornalisti, dice molte cose, una in particolare: "Sono felice". Normale esserlo, certo, dopo una gara simile. Forse più strano dirlo, perché si ritiene ovvio, quasi una frase di rito. Lo sarà, probabilmente. Ma a noi piace vederci quella antica bellezza che non trascura anche le cose più semplici e le vive fino in fondo.


Il bello e l'attimo

È vero, oggi qualcuno con gli occhi da tifoso potrebbe parlare di delusione, potrebbe dire "che peccato!" - sì "che peccato" lo potremmo dire anche noi - ma oggi celebriamo il bello. È vero, tre secondi sono niente, fanno male, più a loro che a noi, ma oggi è sceso in strada anche il bello.
Guazzini, Cecchini, Longo Borghini che non sono solo armonia e musicalità in quei loro cognomi in rima e ritmo, ma il bello è la cadenza che mettono in strada, nella cronometro a squadre mista.
La tattica studiata nei dettagli, la potenza: a tutta nella parte finale, veloce, tecnica. Peccato, sì per quei tre secondi, ma va così, nonostante una prova che li ha portati a guadagnare diversi secondi alla Svizzera, ma non quanto bastava per vincere l'oro, tanto quanto bastava per vincere un argento: un argento che è bello lo stesso.
E va così, anche perché cambiamo punto di vista e pensiamo a Stefan Küng: quanto bello è stato finalmente vedere mentre si scrolla di dosso per una volta quei pochi secondi di ritardo che finalmente diventano di vantaggio? Tre secondi che sono un attimo e lui contro quegli attimi ci ha sbattuto per una carriera intera. È vero c'è qualcuno che sostiene come questa gara valga poco o non sia interessante (noi siamo dello schieramento opposto: a noi la cronometro a squadre mista piace un sacco! ), ma nei panni di Küng godiamo per quell'attimo - e chissà che gli serva anche per spostare un po' di quella magia e farne qualcosa di ancora più grande domenica.
Un attimo, come direbbe il Groucho inventato da Tiziano Sclavi: "Un attimo è il tempo che intercorre tra lo scattare del semaforo verde e l'idiota dietro che suona il clacson". Sì, un attimo è davvero poco, anche nel ciclismo.
Il bello oggi a Wollongong non era certo il tempo, ma lo erano le curve prese a tutta che ogni volta ti lasciavano il respiro in gola. Per un attimo, prima di vedere i corridori lanciarsi come degli elastici.
E oggi lo celebriamo il bello, il bello contro l'attimo, come quello che passa tra la partenza della frazione maschile olandese e la catena che si incastra e costringe Mollema a fermarsi; il bello contro l'attimo come quello che passa invece tra la partenza della frazione olandese femminile e la caduta di Annemiek van Vleuten che ne compromette definitivamente la gara. E non c'è stato bello nel non poter vedere gli olandesi giocarsi le proprie carte. Ma va così.
Il bello è quello di Bissegger - anche se il casco è così brutto - Schmid, Küng che danno, al tempo delle ragazze, Reusser, Koller e Chabbey, quel poco che bastava per vincere e loro resistono per quei tre secondi, per quell'attimo.
Il bello è vedere come il movimento femminile italiano crea talento, perché Guazzini, anche oggi con un passo da prima della classe, è talento, e anche lei ci farà divertire, rendendo bello ciò che a noi piace del ciclismo. Non solo per un attimo.


A Wollongong riapre l'ufficio facce

È una danza con diversi attori. Diversi balli per tutti i gusti. Cambia da corridore in corridore, da posizione a posizione. Sembrano, quei corridori, lo abbiamo detto più volte, esseri arrivati dal futuro che fanno un tutt'uno con la bicicletta, metà uomini e metà mezzo meccanico e dove forcelle, manubrio, ruote e pedali sono semplici appendici del loro corpo. Che esercizio assurdo la cronometro!

La prova contro il tempo è questa: un miscuglio di gestione delle forze al millimetro, di posizione aerodinamica, di forza e di cadenza di pedalata, di scelta del rapporto, di sofferenza mentale, di sforzo fisico da portare oltre ai propri limiti per - come nel caso di oggi - quaranta, cinquanta minuti.
Quella di Wollongong, 18 settembre 2022, è qualcosa in più rispetto a tante altre perché in palio c'è una maglia da campione del mondo. E a Wollongong, Australia, 18 settembre 2022, è saltato il banco. Perché? Alzi la mano chi si aspettava Tobias Foss vincitore. Buon corridore, è vero, un Tour de l'Avenir nel palmarès - che arrivò, se non a sorpresa come il titolo di oggi, poco ci manca - un passato prima nel biathlon, dove pareva una promessa, sciava bene e sparava meglio, e poi nella mountain bike dove imparò a guidare oltre i limiti come successe alla Liegi Bastogne Liegi per Under 23 di qualche stagione fa quando si lanciò come un matto in discesa per staccare i due in fuga assieme a lui che poi lo superarono nettamente in volata, e all'epoca, ma anche prima, parlando del ragazzo norvegese si diceva: "Bel corridore, ma per vincere deve arrivare da solo". E più solo che in una cronometro...

La prova contro il tempo di oggi non è solo danza o sorprese, aerodinamica, potenza o cadenza, ma è anche, o soprattutto, una questione di facce: quella di Stefan Küng è incredula, dove la delusione è smorzata dalla fatica; ne trova sempre uno che va più forte di lui, anche se di poco, in linea o a crono non fa differenza: se la sua costanza fosse stimata a un centesimo per piazzamento, Küng varrebbe oro, altro che argento o bronzo.
La crono di oggi è questione di facce, sì: quella di Remco Evenepoel, appena tagliato il traguardo - sarà terzo - quando gli dicono che ha vinto Tobias Foss è tutta un programma. «Chi? Foss?!».

Quella di Foss, da Vingrom, paesino vicino Lillehammer dove qualche anno fa il censimento contava 642 abitanti quasi equamente diviso tra maschi e femmine, è quella di un incredulo campione del mondo a cronometro: tra i professionisti aveva vinto solo a casa sua in Norvegia; quella faccia sarebbe utile da studiare per capire cosa c'è dietro - e magari quale fede - ma per farlo dovrebbe riaprire l'Ufficio Facce di Viola, Cochi e Renato. Quella faccia è un campionario di incredulità, di dubbio, di piacere, di lacrime.

Poi alla fine tolte quelle facce e gli occhi piccoli incastrati in un viso da bambino, gli resta una medaglia d'oro sul collo e una maglia iridata che porterà fino all'anno prossimo. Mica male Tobias Foss, nuovo campione del mondo della cronometro.