“Piedi per terra, testa nel cielo” cantava con timbro ispirato David Byrne. Lassù, dove il mostro Zoncolan si erge chiazzato di bianco e immerso nella nebbia. Lassù, dove si può fantasticare, proiettandosi nel mito.

Lassù, dove tutti ora conosco Lorenzo Fortunato. «Mi piacerebbe vincere una tappa al Giro» diceva qualche settimana fa.

Sognare e poi fuggire, con uno scatto senza volo. Costante, scandito. Scappare via. Da Bennett, Mollema e Covi, forse più forti, ma non oggi. Riprendere Tratnik che qui in Friuli è di casa. Nato al confine, a Idria, dove si dice che gli abitanti siano un po’ matti perché l’acqua del fiume che la bagna è stata contaminata dal mercurio delle miniere. Dove il piatto tipico sono gli Idrijski Žlikrofi una sorta di ravioli ripieni di patate, e, volendo, lardo ed erba cipollina.

È fatto così, Tratnik, famiglia di giocatori di basket. Grosso com’è non ce lo vedresti andare forte in salita, e infatti gli ultimi metri li percorre a zig zag vedendo la sagoma azzurra dello scalatore bolognese andare via. Vinse a San Daniele del Friuli pochi mesi fa. «Ho tenuto duro perché ad aspettarmi c’era la mia ragazza» disse. Vinse poco lontano dallo Zoncolan dove se oggi ci fosse il sole vedresti il cielo a un passo, scorgeresti la Panoramica delle Vette, ti potresti immaginare anche il mare.

Zoncolan. Un muro di nebbia. Da giorni non si parla che di lui, e portiamo pazienza per un Giro che, con un solo padrone in Rosa, a tratti inscalfibile, vede gli altri quasi in disarmo.

Giochi di fughe. Concessioni nemmeno troppo celate. Fughe che arrivano sempre e ciò non riscalda. Una sorta di Moloch contro cui lo spettatore combatte. Sarebbe auspicabile vedere i migliori lottare per la vittoria di tappa, ma poco importa, almeno per Fortunato.

Zoncolan, come il ritornello di una canzone osannata. Scendono lacrime da un incredulo vincitore che intervistato smette di parlare in inglese: «Adesso non ce la faccio» esclama radioso. Leggero su quelle rampe che non demordono, che più sali e peggio è, che più vedi la cima e più senti il petto esplodere. Prima vittoria in carriera per lui, che arriva da Bologna, dove invece dei ravioli si fanno i tortellini, lui che al basket preferiva il calcio. Prima vittoria nella storia della sua squadra guidata da Basso e Contador che in salita, a tratti, hanno fatto quel che han voluto.

E quel tifoso che a un certo punto gli si avvicina e per la troppa esultanza rischia di farlo cadere? Assomigliava a Basso, lo abbiamo pensato in diversi. Un segno del destino.

E mentre Fortunato sale, prima sul velluto, poi su un asfalto che pare infilzare le sue unghie nelle ruote, tutto intorno aumentano neve e spettatori. E mentre sale aumenta il vantaggio, e, increduli: “vince davvero Fortunato”. E mentre sale, ancora nebbia, neve grigia, spettatori scalmanati, alcuni al solito travestiti, altri con un campanaccio che chissà, forse l’avranno preso in prestito da qualche mucca al pascolo.

E quando arriva: “Occhi che si illuminano, sono solo un animale che cerca casa”, sempre David Byrne, caldo e intonato. Immaginavi o forse solo lo sognavi che questo sarebbe stato il posto giusto, Fortunato, “this must be the place”. E oggi sullo Zoncolan, è andata proprio così.