Il lavoro di Ugo Demaria è uno di quei lavori da spiegare bene. Demaria è fisioterapista e osteopata da molti anni ed è al Giro d’Italia con l’AG2R Citroën. «Credo ci sia un errore di base: alcuni pensano che dall’osteopata si vada solo quando ci si è fatti male in seguito a una caduta. In realtà non è e non deve essere così. Il nostro ruolo è anche quello di prevenire, di risolvere problemi che, magari, ad ora non sono nemmeno avvertiti come tali. Mi spiego meglio: se sali su una bicicletta con una ruota fuori centro, tu puoi pedalare comunque e, per i primi tempi, ti sembrerà anche normale. Fino a quando tutta la bicicletta si storterà e pedalare diventerà impossibile. Agli uomini e alle donne accade esattamente la stessa cosa».

Il punto centrale, osserva Demaria, è che gli umani non hanno naturalmente una conformazione fisica adatta a stare in bicicletta e molti movimenti che devono fare per stare su quella sella sono, per così dire, innaturali. «Determinate posizioni possono comportare dolore, proprio per questo motivo. Tendenzialmente sono situazioni marginali che se corrette portano un vantaggio minimo. Però un Giro d’Italia o un Tour de France spesso si giocano su pochi secondi e non ci si può permettere di trascurare nulla. Io parlo di riequilibrio: provo a fornire un equilibrio al corpo che per molte ore sta in una posizione a lui non consona».
La giornata di un osteopata al Giro inizia sin dal mattino presto, aiuta i massaggiatori, prepara i rifornimenti e poi va in hotel ad attendere l’arrivo della squadra. «Per questioni di tempo non riesco a trattare tutti gli atleti ogni giorno, così la priorità va a chi ha più bisogno di un trattamento per problematiche specifiche». Negli anni, Demaria ha affinato tecniche e capacità e, ultimamente, dopo cena, pratica anche trattamenti che aiutino il riposo.

«A questi atleti si chiede tutto, da loro si vuole tutto. Lo stress e la pressione sono una componente importante. Non sono uno psicologo e non mi arrogo competenze che non ho, ma sono sicuro del fatto che ogni persona che stia a diretto contatto con gli atleti debba cercare di affinare la propria sensibilità e avere particolare attenzione ad ogni dettaglio, anche quello che sembra trascurabile». E la sensibilità, che è pane per il lavoro di Demaria, è duplice. «La palpazione è fondamentale, aiutano i test e gli esami. Soprattutto, però, è necessario ascoltare e, se possibile, aver provato ad andare in bicicletta e conoscere quelle sensazioni. Conoscere la dinamica di un corpo in bicicletta, non solo a livello teorico ma anche pratico».

Il resto sono aneddoti e conoscenza personale. Per esempio quando si parla di Andrea Vendrame. «Potrebbe essere mio figlio. L’ho visto crescere. Nel primo giorno di riposo non stava molto bene, stava ancora entrando in forma. La sera prima ci ha detto che ci avrebbe provato. Diciamo che ci è anche riuscito. Noi avevamo il timore che non tenesse sull’ultima salita, quando ha scollinato poteva perderla solo lui». Demaria gli consiglia di riguardare le gare di Paolo Bettini e di ispirarsi a lui per istinto e tenacia.

Non solo, però, perché Demaria lavora anche con atleti fuori dalla squadra. «Se tutti avessero la testa di Pozzovivo, avremmo una qualità stellare. Pensate che è venuto a cena da me il 22 dicembre: c’erano tante golosità in tavola, lui no. Lui si è mangiato la sua insalata con la carne cruda. A Modolo, invece, una volta feci assaggiare il carpaccio, lo mangiò di gusto e, pensate, il giorno dopo fece scintille alla Sanremo».

Foto: Luigi Sestili