Thomas Voeckler ha l’animo da lupo di mare. Qualcosa che viene dall’infanzia: i genitori di Voeckler, appassionati di navigazione, gli hanno fatto solcare le acque sin da ragazzo. Un ragazzo nato in Alsazia, a Schiltigheim, e cresciuto in Martinica, terra di cui porta il vessillo in quel soprannome, T-Blanc, che dai bordi di una nave ha esplorato l’Atlantico e sperimentato uno dei più grandi dolori della vita: la perdita del padre, risucchiato dalle acque. La vocazione è spesso il riflesso di esperienze vissute e forse per questo la vocazione di Thomas Voeckler non poteva che essere la ventura. Che è avventura e disavventura ma resta movimento costante tra gli estremi. Cambia il mezzo, la bicicletta, ma non lo spirito. Lo chiamano “baroudeur”: vocabolo che riassume il suo modo di correre, il piglio sfrontato, combattente anche contro ogni logica, e che, per significati letterali, lo ravvicina al campo militare perché “baroudeur” è anche il soldato di ventura. Termine che riporta alla fiducia e ad un altro francese d’antan, Jean René Bernaudeau. È lui a chiedergli di aspettare, ai tempi della crisi de “La Boulangère”, di avere pazienza che ci saranno altri sponsor, di non firmare altri contratti. Così sarà: la nuova casacca di T-Blanc sarà quella di Direct Énergie e poco importa se il contratto di Cofidis sarebbe stato economicamente più vantaggioso. La fiducia è una cosa troppo seria.
Thomas Voeckler è un istrione, un attore dai mille volti, il francese perfetto. A tratti collerico, irascibile, non certo l’atleta più stimato in gruppo o più amato dal pubblico europeo. Di certo il più amato dai suoi connazionali che in lui vedono il sunto dell’essenza d’oltralpe. Anche nelle mille smorfie, nella polemica cercata, esagerata, a volte, permetteteci di dirlo, inutile. Soprattutto, però, nell’animo con cui fronteggia le corse e “la corsa” per eccellenza, il Tour de France. Se il Tour, come scriveva Gianni Mura, è una “chanson de geste”, Voeckler ne è il volto caratterizzante. Sin da quel 17 luglio del 2004 a Plateau de Beille, quando un ragazzo di venticinque tagliò il traguardo con la maglia gialla aperta sul petto, un sorriso da guancia a guancia e un pugno levato in aria. Quel giorno Voeckler perse oltre cinque minuti da Lance Armstrong, arrivò stremato ma custodì la maglia gialla per una manciata di secondi. I francesi provano una particolare simpatia per i volti più umani. Simpatia che è accostamento, compassione nel senso etimologico del termine, che è “patire assieme”. I volti umani sono quelli che conoscono la sconfitta, il dolore e anche la beffa. Somigliano più a quel ragazzo che non “all’americano”. Umano può essere chi perde, se la sconfitta matura in una certa maniera. C’è un manierismo del perdere. Voeckler è particolarmente umano, e per questo amato, perché corre allo spasimo, non c’é ragione, c’è istinto puro, volontà di manifestarsi al centro della scena, e qui torna l’attore, e di suscitare qualcosa in chi assiste. E lì non puoi mentire, perché il pubblico capisce.
Quando torna in maglia gialla nel 2011, Voeckler non è più un ragazzo e la strada che ha fatto lo ha temprato e gli ha insegnato ma l’indole è radicata. A tre giorni da Parigi, in Francia si scomodano ciclisti d’altri tempi e si crede davvero che T-Blanc sia l’uomo giusto per riportare la Grand Boucle in patria. Del resto se uomo giusto c’è, Voeckler ne è il ritratto perfetto, un’apoteosi di orgoglio, grinta e vanità. Ma la strada vive d’altro e quel giorno Thomas Voeckler è uno sconfitto, un perdente. Un perdente irrazionale su una salita contro cui non può far nulla se non digrignare i denti, mandare a quel paese qualche moto di ripresa e prendersela anche con qualche tifoso. Irrazionale e spietato. Questa irrazionalità di Thomas Voeckler è il suo bene e la sua condanna per tutti gli anni che da lì lo separeranno dal suo ritiro, avvenuto nel 2017. È l’amara constatazione che non sempre dare molto ti consente di ottenere molto. Che certe volte la logica imporrebbe anche qualche calcolo e risparmiarsi tornerebbe utile per il risultato. Non solo. Risparmiarsi tornerebbe utile anche a te, in termini di tranquillità e di benessere. Basterebbe farsi ragionieri della vita e minimizzare i rischi, massimizzando i risultati. Basterebbe esserne capaci. Basterebbe evitare di dare anche quello che non si ha, per senso del dovere o della coscienza. Basterebbe. Ma sarebbe davvero vivere? Voeckler dice di no e noi non ce la sentiamo di contraddirlo perché forse questa volta ha proprio ragione.
Foto: Bettini