Uno dei corridori più alti e pesanti del gruppo, Max Walscheid, del Team Jayco AlUla, è uno di quelli che non appaiono con costanza nelle top-10. A Prati di Tivo, Napoli e Bocca della Selva è arrivato sempre tra la 135a e la 140a posizione. A stamattina ha accumulato un ritardo di quasi due ore e mezza dalla maglia rosa di Tadej Pogačar. Walscheid, però, è l’ultimo uomo di Caleb Ewan e in questa intervista ci parla di volate, di lauree, di problemi coi letti e di tanto altro.
Buongiorno Max, o dovrei chiamarti Dottor Walscheid?
Sicuramente Max.
Quanti esami ti mancano alla laurea?
Un po’ meno di un anno per finire l’università, poi dovrò svolgere un anno di tirocinio.
Stai studiando medicina, giusto?
Corretto. Beh, a dire il vero per il 99% del mio tempo sono un ciclista professionista, ma cerco di trovare un po’ di spazio anche per gli studi.
Dove studi?
Ad Heidelberg, l’università più antica di Germania!
Il tuo prossimo esame qual è e quando sarà?
Eh, bella domanda! Non lo so ancora, al momento non mi sono iscritto a nessun esame. Durante l’estate penserò a cosa fare a ottobre, novembre.
Stai pensando a una specializzazione?
No, non per il momento. Avrebbe senso fare qualcosa collegata allo sport, perché sarei affidabile come medico dello sport essendo stato un atleta professionista. Per un atleta è importante che il medico capisca bene la sua professione. Considera ad esempio la riabilitazione dopo un infortunio: l’atleta non deve tornare in ufficio, ma a competere a livello professionistico. Se come dottore comprendi tutto questo, è un grande vantaggio.
C’è qualcosa sul tuo corpo che hai imparato studiando anatomia?
No (ride). Non mi sovviene nulla di particolare… diciamo che mi sarebbe piaciuto essere un ciclista più piccolo, più basso; mi avrebbe reso la vita più semplice, ma a parte questo no.
Com’è la vita da corridore più alto del Giro, con i tuoi 199 centimetri di altezza? So che hai spesso problemi con i letti.
Al primo albergo in cui siamo stati ho dovuto cambiare camera, perché dei due letti che c’erano, uno era un divano letto. E un divano letto non va affatto bene per le mie dimensioni, quindi mi hanno dato un’altra stanza. Ma, a parte questo caso, cerco di adattarmi. Inoltre la squadra si porta dietro materassi e cuscini per ciascuno, cercano di renderci la vita più comoda possibile.
In gioventù non hai mai pensato a fare altri sport, più adatti alla tua stazza, come pallavolo o pallacanestro?
Sì, ho cominciato con l’atletica, poi sono passato al decathlon, e a 16 anni ho cominciato con il ciclismo. Probabilmente uno sport come il canottaggio sarebbe stato più adatto a me, ma non mi ci sono mai dedicato. La verità è che amo il ciclismo.
Non ti sei mai pentito di questa scelta, quindi.
No, assolutamente no. Questo è di gran lunga lo sport più bello che ci sia.
A quanto pare, con 90 chili sei anche il corridore più pesante.
A inizio carriera avevo qualche problema nello stare nel tempo massimo o nel trovare il gruppetto, ma oggi va molto meglio. Incrociamo le dita, ma adesso mi capita meno spesso di avere giornate no.
Al Giro hai un ruolo importante, come ultimo uomo del treno di Caleb Ewan, che è uno dei velocisti più minuti. Siete una coppia assortita in modo particolare, sia dal punto di vista fisico che da quello caratteriale.
Penso che la cosa più importante nella nostra relazione sia la fiducia reciproca. Ovviamente, è un aspetto sempre necessario tra un velocista e i suoi apripista, ma tra noi due è ancora più importante perché Caleb dietro di me non riesce a vedere granché. Prima della nostra prima volata insieme, al Giro dell’Oman, mi ha specificamente detto che devo tenere gli occhi due passi più avanti rispetto a dove guarderei se stessi facendo la volata per me, perché se c’è un imprevisto che lo costringe a rallentare, lui non può vederlo, la sua faccia è praticamente attaccata al mio sedere. Significa che devo avere una vista panoramica… Adesso credo che abbia compreso che può fidarsi di me, quindi direi che tra noi va tutto bene.