«Daniele, perché non proviamo a correre il Giro delle Fiandre? Quello vero, intendo». Graziano Gallusi si è rivolto così a Daniele Riccardo al termine della Varese Van Vlaanderen, randonnée che si svolge su e giù per le strade di Varese. Daniele è rimasto stupito: «Il Giro delle Fiandre? Ma sai cosa significa correre il Fiandre?». Graziano sapeva bene cos’è il Fiandre ma di questo vi parliamo fra poco. Prima vogliamo raccontarvi di due ragazzi che si incontrano a una gara di tandem, in Veneto, e per caso si mettono a parlare. Quei due ragazzi sono proprio Daniele Riccardo e Graziano Gallusi. «Te lo confesso: all’inizio non avevo nemmeno capito che Graziano fosse non vedente. Ci siamo messi a parlare, per caso. In quell’occasione gareggiavamo con due compagni diversi». La sintonia fra i due è chiara da subito e proprio da lì nasce quella promessa: «Magari un domani ci incontreremo e faremo qualcosa assieme. Nella vita non si sa mai, no?». Sì, quelle cose che spesso si dicono così per dire. Non fosse che Daniele, ogni tanto, va a trovare Graziano a Parma ed entrambi vanno sul lago di Garda: «Era una scusa buona per allenarsi con una temperatura mite. In realtà avevo provato più volte a lanciare l’idea di correre qualche gara ma Graziano non voleva proprio saperne. La Varese Van Vlaanderen è stata quasi un caso». Daniele dice a Graziano che ogni tanto bisogna buttarsi, che se non si prova a fare qualcosa non si potrà mai sapere se si è effettivamente capaci oppure no, che, per una volta, sarebbe il caso di provare. Graziano accetta e quella mattina sono entrambi a Varese, alla partenza della gara.
A Varese piove, anzi, diluvia. Serpeggia il malumore, molti non vorrebbero partire. «Ho guardato Graziano poi ho guardato tutti i partecipanti che mi erano vicini: ”Ragazzi, lo vedete? Lui non vi vede ma è qui per correre. Lui vuole correre, ha aspettato tanto questo giorno e non gliene frega nulla della pioggia, poca o tanta. Vuole partire. Io parto, voi fate come credete». C’è un profondo senso di responsabilità in ogni parola che Daniele dedica a Graziano, un senso di responsabilità declinato nel segno della normalità. «Io e Graziano ci prendiamo in giro, ridiamo molto e, nonostante la distanza, riusciamo a vivere la condivisione. Credo il segreto sia proprio quella normalità: bisogna essere capaci di alleggerire determinate circostanze dell’esistenza. Non cambierà comunque la sostanza ma cambierà il nostro modo di approcciarci ad essa». Daniele Riccardo è fiero: «Potrei anche correre da solo, certo, ma non sarebbe lo stesso. Quando finisci una Milano-Sanremo sei contentissimo, pensa a quando finisci una Milano-Sanremo e voltandoti guardi il tuo compagno di tandem e lo vedi contento. Lui, senza qualcuno che lo aiutasse, non avrebbe potuto essere lì. Non avrebbe potuto essere così felice. Sei stato tu a portarlo lì, è anche grazie a te se quel ragazzo può essere così contento. Ci si porta assieme da Milano a Sanremo. A me fa già venire la pelle d’oca dirlo. Devi provare, poi potrai capire cosa si sente». Graziano è determinato: «Lui è pienamente autosufficiente. Se tu gli dai un appuntamento da qualche parte, lontano da casa, stai certo che te lo ritrovi al luogo dell’appuntamento nel giorno fissato. Puoi giurarci».
Dicevamo del Fiandre, già, perché Daniele e Graziano vogliono correre il Fiandre nella categoria amatori, la prossima stagione. Daniele, la domenica del Fiandre, accende la televisione ovunque si trovi. «Sono stato a vederlo di persona in uno degli anni in cui ha vinto Tom Boonen: ho i brividi a ripensarci».
Anche Graziano quella domenica ha la televisione accesa, non può vederla ma sente tutto e, quando parla con Daniele, propone la sua idea tattica della corsa. L’altra idea, quella del Fiandre, invece ha iniziato a concretizzarsi un paio di anni fa: «Dopo la proposta di Graziano, quel giorno a Varese, ci ho pensato bene. Ho trovato dei ragazzi che organizzavano e si muovevano assieme in pullman, per il viaggio. Qualcosa che si collega molto bene all’idea di amicizia che mi piace sentire nel ciclismo. Quest’anno non se ne è fatto nulla a causa della pandemia, ci è spiaciuto ma frastornati dagli eventi, forse, non ce ne siamo nemmeno resi pienamente conto. L’anno prossimo vogliamo esserci. Ce lo immaginiamo tutti i giorni quel momento. Ne parliamo sempre. La nostra fantasia va oltre: vorremmo correre tutte e cinque le classiche monumento. Io dico che ce la faremo». Daniele Riccardo viene dal mondo della pista e, fino al 2007, non aveva nemmeno idea di come si manovrasse un tandem. «Mi hanno visto gareggiare e mi hanno proposto di provare. Su queste cose vado molto di istinto. Per me guidare il tandem è stato subito come guidare una bicicletta classica. Pensa che ho iniziato a far bene e a vincere nelle gare in Italia in maniera abbastanza improvvisata. Io scattavo in faccia agli spagnoli, agli olandesi, ai campioni della disciplina. Non li conoscevo e questo mi aiutava perché non avevo alcun timore reverenziale. Rivedo come fosse ora la mia partecipazione alle gare in Belgio: là hanno una vera e propria cultura del tandem. Che fatica in quei giorni».
Daniele e Graziano assieme perché il tandem macina metro su metro grazie alla forza propulsiva di due persone. Ma soprattutto grazie alla fiducia di due persone: «Ci fidiamo l’uno dell’altro, diversamente sarebbe impossibile. Graziano non può vedere, io sono il suo sguardo. Gli segnalo le rotonde, gli ostacoli, i tratti in cui ci si può rilassare e i punti in cui bisogna spingere più forte. Lui si fida, non ha bisogno nemmeno dell’orologio: sente la mia voce e conta i secondi. Io so che lui non sbaglierà e mi fido. Abbiamo migliorato il mezzo meccanico bicicletta in vista del Fiandre. Quando corriamo, dobbiamo essere concentrati solo sulla corsa, gli inconvenienti possono capitare ma devono essere ridotti al minimo. Sulla fiducia non è servito lavorare, ci viene naturale».
Già, perché, diciamocelo, pedalare assieme è davvero una delle cose più belle che possano capitare.
Foto: Daniele Riccardo