Stavamo solo cercando di tratteggiare una luce su una collina toscana, nei dintorni di Siena. Prendiamo in prestito le parole di Edward Hopper, nel suo caso parlò di una luce sul muro di una casa, noi abbiamo in mente il sole sulle “verdi terre” e un velo d’ombra, quello di una nuvola passeggera, poco più di un cirro, che disegna un contorno: simile agli alberi, con la luce che ne allunga le sagome, penetrando tra le fronde. Già, ma gli alberi hanno le loro radici profonde, corteccia e rami, una nuvola è il nulla, è vapore acqueo, disperso nel cielo, eppure quell’ombra resta sulla collina. In gruppo, invece, non c’è quiete, verso la salita di Volterra, perché la fuga non trova il suo spazio, la sua dimensione: è un’anima tormentata, senza pace, quella di chiunque voglia scappare dal gruppo, capace di farsi male, pur di riuscirci. Ci è tornata in mente una canzone di Gian Pieretti, sigla del Giro d’Italia sul finire degli anni novanta: «perché la tua presenza, malgrado passi il Giro, devo dire che mi manchi da morire» e qualche nota più in là «però, sinceramente, non me ne frega niente, fra poco passa il Giro e in casa solo io non ci resterò». È anche una scusa per gli amori perduti, il Giro. Sono necessari chilometri e chilometri, prima che in sette prendano qualche secondo, tra loro Julian Alaphilippe e Luke Plapp. Nel giorno degli sterrati: Giancarlo Brocci era un arbitro di calcio quando li scoprì, tra piloni, stradine, strettoie, un arbitro che non si lasciava sfuggire il minimo fallo ed il suo giudizio era insindacabile. Eppure pensava agli sterri, alla polvere. Da queste parti, a Siena, c’è il Palio ed al Palio, quando si benedicono i cavalli, si dice: «Vai e torna vincitore». Quasi una missione che mette i brividi a chi pronuncia quelle parole, a chi affida quel proposito. La visione e la missione di Plapp e Alaphilippe è simile.

Si alza una polvere bianca che pervade ogni cosa, quando le ruote smuovono la terra, a Vidritta. Non c’è nulla: polvere e campi, polvere e foglie, polvere e ciclisti. Ma c’è tutto, perché serve solo questo. In toscano, “fare il cencio” significa svenire, ma quel biancore che si solleva imbianca davvero tutto, compresa la pelle, il contorno degli occhi, i ciuffi di capelli fuori dal casco, le narici. Non è facile pedalare sugli sterrati, proprio perché non c’è nulla, non c’è l’asfalto: si soffre con quel poco che si ha. Plapp, a gennaio, dall’altra parte del mondo, in Australia, ha letteralmente “perso parte della sua pelle” in una caduta ed è andato all’arrivo, terminando ciò che aveva iniziato, la tappa, il proprio dovere. L’abbiamo osservato mentre faceva di tutto per andarsene, mentre allungava, aumentava il ritmo della pedalata, per poter vincere la tappa, prima ancora, perché i secondi non mentono, perché c’era la possibilità di prendere la maglia rosa. Dove c’erano le ferite, resta qualche cicatrice e lui corre ancora. Il primo dolore per Alaphilippe è forse nelle parole di quel professore che disse a suo padre: «Suo figlio non ha le capacità per frequentare un liceo e non ha nemmeno il fisico per una scuola di ciclismo. Iniziasse a lavorare invece di perdere tempo con gli amici». Un’etichetta, di quelle che si appiccicano alle scatole e agli scatoloni nei traslochi. Alaphilippe ne ha sentite tante di parole, ne ha sentiti tanti di giudizi, in particolare come le cose hanno iniziato a non andare più nel verso giusto ed il verso giusto per un campione è la vittoria. Attacca con rabbia, attacca con gusto, alla ricerca di una parte dispersa di cui ha bisogno. E corre ancora.

Con loro c’è Pelayo Sanchez, ventiquattro anni, di Tellego, in Spagna: Alaphilippe è il suo campione, si ispira a lui. Ad Asciano, in una curva, dopo un errore, Plapp si avvantaggia, Alaphilippe prova a rincorrerlo, da solo non ci riesce, scuote la testa, si mette alla ruota di Sanchez, rientrano così. Potrà raccontare di aver riportato Alaphilippe sul fuggitivo, potrà dirlo perché è vero. Non solo. Potrà raccontare anche che, a Rapolano Terme, in una volata a tre, l’ha fatto passare in seconda posizione, si è messo in terza, la migliore per lanciare una volata e, quando il francese è partito, gli ha prima preso la ruota, poi l’ha affiancato e superato, in vista del traguardo, pur se, nei pronostici, il più veloce era proprio Alaphilippe, il suo campione. Ha un volto giovane, Pelayo Sanchez. Giovani sono anche le sue parole, giovane è la sua felicità, che crescerà e cambierà con lui, ma questo giorno non se lo dimenticherà. Nemmeno Alaphilippe dimenticherà questo giovedì di maggio, Julian che ha anni ed esperienza in più di Sanchez, che ha già vinto tanto e che da tanto non vince, che poco fa ha perso una tappa che voleva, che ha bisogno di sentirsi di nuovo Alaphilippe, quello che la gente vede e sente ancora, ma che lui sta cercando. Tra Torre del Lago e Rapolano Terme, ha rimesso assieme qualche pezzo. Resta ancora un’ombra, ma stasera è più simile a una nuvola. Leggera.

Foto: Sprint Cycling Agency