Wout van Aert ha avuto un’idea e si sa come sono le sue idee. Fanno parlare, anche perché già solo il fatto che ci sia stato il pensiero fa intuire la realizzazione. E si sa come Wout van Aert realizza le proprie idee: in grande, senza risparmiarsi, senza tenere quel poco di fiato per un’ultima pedalata che, chissà, potrebbe servire. Vogliamo dire “esagerando”? Diciamo esagerando. Del resto, sembra che anche Gianni Brera trasmettesse questa idea ai colleghi: meglio esagerare, talvolta, meglio non risparmiarsi, perché nell’esagerazione può trovarsi la bellezza. Non sempre, ma ogni tanto può servire. In fondo, il dosato, il misurato, il contato perfettamente, in certe circostanze, ha poco a che vedere con l’essere ciclisti, mestiere in cui c’è ragione, c’è grande attenzione al dettaglio, ma ancor più istinto. Nulla con l’essere Wout. Nulla con l’essere van Aert.
L’idea è il gravel. Sembra gli sia venuta vedendo in televisione il Mondiale gravel di questo autunno e un poco lo immaginiamo davanti al televisore. Sembra gli sia piaciuto, più che altro pare gli sia piaciuto, gli piaccia, il gravel. Così dopo quel pomeriggio deve essersi detto: “Perché no?”. Ovvero perché non provare anche questo che al fuoriclasse belga appare, prima di tutto, come un bellissimo viaggio. Anche questo è interessante perché è interessante raccontare il ciclismo in questo modo, risalendo alle origini del pedalare, anche se corso da atleti che si contendono titoli e maglie iridate. Detto in altre parole: sulle fondamenta si può costruire come meglio si crede, ma senza fondamenta non vi è costruzione. E le fondamenta qui sono le radici dell’andare in bicicletta. Ancor più interessante, forse, è l’altra motivazione che van Aert apporta per questa scelta.
In un ciclismo in cui le pressioni sono tante, in cui si parla sempre più dell’aspetto psicologico e della tutela di questo aspetto, Wout van Aert, pensando al gravel, pensa a una possibilità in cui le pressioni siano meno, in cui lo stress sia minore rispetto agli altri traguardi annuali. Vogliamo usare la parola “divertimento”? Perché no? Così, proprio ieri, sui profili social di Wout van Aert è apparsa una storia di lui intento a sperimentare il gravel. Un lunedì, su una strada sterrata, in mezzo ai boschi, col cielo cupo di dicembre e il freddo dell’inverno.
L’abbiamo visto vincere sul Ventoux, in pianura, a cronometro, in attacchi folli troppo lontano dal traguardo, quegli attacchi che calamitano l’attenzione anche nei più caldi pomeriggi di luglio, lo vediamo abitualmente nel fango e anche lì vince e meraviglia ogni volta. Il prossimo Mondiale gravel sarà in Italia, poi in Belgio, probabilmente lui sarà presente e del risultato non diciamo nulla. Questo è il dato di fatto, poi c’è il gravel come scelta di bicicletta e di viaggio. Come scelta per un fine settimana o un inizio settimana fra la terra, la ghiaia. A prescindere dal Mondiale che verrà, Wout van Aert ha pensato a questo modo di andare in bicicletta, queste sono le fondamenta, le radici di cui parlavamo, quelle che restano oltre qualunque gara, questa è stata la sua idea, il suo viaggio, il suo modo per un altro pizzico di esagerazione. Quella che fa bene, quella che fa bellezza.
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