Mancano poche centinaia di metri al traguardo di Torrevieja, quarta tappa della Volta a la Comunitat Valenciana. Gruppo lanciato, solito caos. Treni per i velocisti? Più no, che sì. C’è Evenepoel, in maglia bianca, che mette in fila il gruppo con la sua solita marcia. Lo fa per favorire le fibre veloci di Jakobsen.
A ruota sta a meraviglia, e compatta, la Wanty, pardon, l’Intermarché: si lavora per Kristoff. Poi altri cani sciolti o al massimo qualche coppietta. Un uomo Gazprom si sposta poco prima di entrare nel rettilineo finale, mentre si intravede la sagoma di Trentin – tipica barbetta incolta e bocca aperta – che prova a pilotare fuori dal groviglio il velocista del giorno per la sua squadra, Molano.
Si sbanda, spallate, nessuna novità: parliamo di sprint di gruppo. Parte Pasqualon, non appena Evenepoel finisce il suo lavoro, e da dietro un ragazzo in maglia bianca con una banda rossa e la scritta Trek si lancia. Forse parte un po’ lungo, chissà. Invece è tempismo perfetto. Né Viviani, né Peñalver, né nessun altro lo riesce nemmeno ad affiancare. Quel ragazzo taglia il traguardo per primo indicando con decisione il petto, sembra dire “sono io, sono io”. Finalmente – lo diciamo anche noi – torna alla vittoria, dopo quasi un anno, Matteo Moschetti.
Sembra banale, ma se le vittorie hanno un peso specifico, quella di qualche giorno fa è un macigno. Emozioni positive, le definisce a mente fredda, Moschetti. Emozioni che servono a scacciare via un lungo periodo difficile. «Avevo bisogno di dimostrare il mio valore». Di dimostrarlo soprattutto a sé stesso.
Se qualcuno volesse conoscere la sua storia, la facciamo breve. Velocista di talento tra gli Under 23, Matteo Moschetti passa professionista con carte importanti da giocare dopo aver conquistato nel 2018, tra i grandi, due gare, nonostante corresse con una squadra Continental, assicurandosi un contratto con la Trek per le stagioni successive. Un 2019 di rodaggio, fatto di esperienza, sgomitate, chilometri e ritmo da professionista acquisito, poi nel 2020 colpisce subito.
Prime due gare dell’anno, due vittorie davanti ad Ackermann: il tedesco aveva chiuso la stagione precedente con tredici successi tra cui due tappe al Giro d’Italia. Niente male Moschetti, se non fosse che pochi giorni dopo quel successo, un terribile incidente in corsa rischia di comprometterne una brillante carriera. Sembrava l’alba, in pochissimo divenne il crepuscolo.
Quando riparte, fa fatica; altri problemi, altri incidenti di quelli che dici: “ma capita sempre a lui?”, risultati a singhiozzo, un successo lo scorso anno alla Per Sempre “Alfredo” che pareva un episodio isolato. Poi il traguardo di Torrevieja, mettendosi alle spalle alcuni fra i migliori velocisti del gruppo. «La cosa più difficile che ho dovuto affrontare in tutti questi mesi – ci racconta – è stato convivere con la paura. Paura di non poter tornare a un buon livello, paura di non poter più vincere, paura di non poter essere più un discreto professionista». Parla letteralmente di mostri con cui convivere, Moschetti, soprattutto nell’ultima fase di recupero della sua condizione. Quella fase in cui «anche ritrovare quel 5% in più ti serve per essere competitivo al vertice». Il mondo del professionismo che, ahiloro, non ammette un minimo cedimento, non concede una piccola sbavatura.
Ringrazia i compagni della Trek, non potrebbe essere altrimenti, per il supporto in corsa e fuori corsa, e ci tiene a fare il nome di Luca Guercilena, figura fondamentale per il suo recupero, affermando poi come sia importante lavorare da quest’inverno con una psicologa che segue la squadra.
Non si pone obiettivi specifici, Moschetti, 25 anni e mezzo, un fisico che definiremmo tutto sommato normale, ma tanta potenza da sprigionare nelle volate. Non si pone limiti, crediamo, ma ribadisce quanto sarà importante migliorare nella resistenza in salita e su percorsi più duri. E soprattutto «continuare a vincere» tutte le volte che ne avrà la possibilità.
Si dice come vincere aiuti a vincere, ma in questo caso aiuta anche a tenere lontana la paura.