Il telefono del papà di Gidas Umbri, corridore della Colpack in gara nell’Adriatica Ionica Race, continua a squillare. È la mamma del ragazzo che vuole sapere come sta andando la corsa: “Ha superato la salita? Come pedalava? Era ancora in gruppo?”.
«Lei si preoccupa sempre così – mi fa papà Umbri – una volta in una corsa in pista tra gli allievi Gidas cadde e mia moglie si fiondò da lui facendosi largo come una forsennata – per fortuna non si era fatto nulla».
Il ciclismo muove la passione non solo nei genitori dei ragazzi in corsa, ma anche, o soprattutto nella gente che si accalca a bordo strada. Come succede da tempo per la Pro Loco di Moruzzo, un piccolo centro in provincia di Udine. Ai piedi della sua collina, che sorge dall’alto con vista sul capoluogo friulano, oggi era previsto il Traguardo Volante.
I membri della Pro Loco ieri sono andati a fare spesa, hanno comprato palloncini azzurri e carta crespa per decorare le strade e omaggiare corsa e corridori. Uno striscione con su scritto “Moruzzo c’è” è ben in vista: dal 2003 viene portato su e giù dallo Zoncolan ogni volta che la corsa arriva sulla terribile salita friulana.
E poi ci sono i preparativi. In mattinata qualcuno si prende mezza giornata libera da lavoro per dare una mano ad addobbare la strada, per far sentire il suo calore a chi pedala; è gente che perlopiù di ciclismo agonistico ne sa il giusto, ma non è quello che interessa: il ciclismo piace a prescindere dal risultato. A prescindere da presenti o assenti, a prescindere da chi vince o arriva ultimo. «Perché il ciclismo è l’unico sport che valorizza il territorio e noi ci teniamo a far conoscere questa splendida terra che è il Friuli, dando il meglio che possiamo offrire – mi racconta Fausto, il presidente della Pro Loco. Perché il ciclismo viene a casa tua e come ospiti dobbiamo trattarlo il meglio possibile».
E poi la febbrile attesa: con la gente che minuto dopo minuto si accalca sull’incrocio delle “Cjuie” punto perfetto dove veder passare il gruppo, prima che la corsa svolti a destra in direzione Fagagna.
Passa il quartetto di fuggitivi, la gente applaude, Rastelli, corridore della Colpack (in fuga inizialmente doveva esserci Gidas, racconta con una punta di orgoglio e di rammarico sempre suo papà) è in testa a scandire il ritmo, Donegà fa una fatica bestiale un po’ per la pendenza, non esagerata per la verità, un po’ per l’afa che avvolge un tipico pomeriggio di giugno, tipico, se non fosse stato per questa eccezione che è il ciclismo. «Spettacolo, cultura, passione, la possibilità di scoprire luoghi che altrimenti nessuno conoscerebbe: questo è per noi il ciclismo» mi spiega sempre Fausto. «Un giorno speriamo che anche il (grande) Giro d’Italia passi di qui».
C’è chi si prepara a rastrellare il bordo strada per raccogliere più borracce possibili; ma la gioia è di tutti: dal bambino con la maglia fucsia di una squadra locale, al ragazzo che domani ha l’esame di maturità ma ha preferito una sgambata in bici per scaricare la tensione, fino a chi, subito dopo il passaggio della corsa, dovrà correre al lavoro.
Poi passa il resto del gruppo, con Rebellin e Viviani, Cimolai, Sobrero e Scartezzini. Dura tutto pochi minuti, anzi secondi, qualcuno scatta foto, altri dei video che non guarderanno, ma resterà una meravigliosa giornata che rompe l’ordinario, passata ad aspettare il gruppo colorato e i suoi protagonisti in bicicletta. Questa è la forza del ciclismo, uno sport che, visto sulla strada, non tradisce mai.