Ricordati di Urán

Ho un ricordo preciso di Rigoberto Urán Urán- l’ho sempre chiamato Urán, nel modo più semplice possibile, mai Rigo. Ricordo preciso, anche se con quella solita demenziale tendenza che ha la memoria di sfocare immagini: fa persino venire in mente cose che non sono accadute veramente. Oppure sbiadisce e confonde, e allora, per non rischiare, sono andato a controllare e sì, l’episodio a cui mi riferisco è esistito davvero.

Era il 2007, Rigoberto Urán correva con la maglia della Unibet e aveva già dimostrato un certo talento. Oggi, in un fastidioso linguaggio terra terra a cui raramente mi sottraggo, lo definiremmo semplicemente pazzesco. Aveva appena vent’anni e la sua stagione era iniziata vincendo una corsa in Colombia, proseguita conquistandone una a inizio estate in Spagna, anzi nei Paesi Baschi, una cronometro di venti chilometri, in una corsa che ora non esiste più, ma dove fece vedere come quel ragazzo, vincitore di corse in pista poco tempo prima, forte in salita e sul passo sin dalle categorie giovanili, era un corridore adatto e molto, alle grandi corse a tappe.

Poche settimane dopo il suo talento emerse in maniera imperiosa al Giro di Svizzera, nella tappa con arrivo a Schwarzsee, penultima giornata della celebre breve corsa a tappe - piccola nota curiosa, sia alla Euskal Bizikleta, a cui mi riferivo prima, sia al Tour de Suisse, Urán vinse la penultima tappa, entrambe le volte a fine giornata il leader era uno dei due gemelli Efimkin, Vladimir, entrambe le volte Efimkin perse la maglia di leader e la classifica generale, il giorno successivo. Urán vinse attaccando nel finale e alcuni giornali e siti, persino quelli specializzati, si chiesero da dove fosse sbucato quel semisconosciuto colombiano - in realtà, in Urán, la Colombia poneva grosse speranze e su di lui, come si vedrà le maglia che andrà vestire poco dopo, erano puntati gli occhi delle squadre più forti del ciclismo mondiale, anzi, la più forte in quegli anni, il team Sky.

Ma torniamo al primo ricordo, a quel ragazzo nato vent’anni prima in Colombia e apparso da poco sulla scena europea. In una discesa durante il Giro di Germania del 2007 finisce dritto in un fosso, spaccandosi tutto lo spaccabile. Rottura di due gomiti su due disponibili e di un polso su due. Poteva andare peggio. Attimi di paura che fecero temere quel peggio, poi Urán si alzò, prima di accasciarsi nuovamente a terra iniziando a contorcersi dal dolore, e io ho questo ricordo vivissimo di lui davanti, in fuga, nell’azione buona per vincere la tappa. Quella caduta servì, se ce ne fosse ancora bisogno, anche a convincere i suoi tecnici a fargli prendere confidenza con il mezzo, allenandolo, dove e come possibile, anche nella tecnica di guida.

Peripezie di vita, nel passato di Urán, che tutti più o meno conosciamo, il padre ucciso in un agguato, l’adolescenza passata a vendere biglietti della lotteria fondamentale per portare il pane a tavola, e una domanda che si faceva spesso: farò questo per tutta la vita o riuscirò a diventare un corridore professionista? E corridore lo è diventato con risultati importanti: vice campione olimpico a Londra nel 2012, battuto sul traguardo in volata da Vinokourov, uno sprint da perderci il sonno, ma una medaglia che non si cancella, anzi lo rende orgoglioso, e proprio a Parigi 2024 ha deciso di chiudere la sua carriera. Un cerchio che si chiude e sullo sfondo i cerchi olimpici - una banalità, ma pare servita su un piatto d'argento.

Poche vittorie in carriera rispetto a quello che è riuscito a trasmettere: uno dei più amati in patria, uno dei miei rispettati in gruppo. Per tutti gli altri colombiani una specie di punto d’arrivo, di ispirazione, un padre come esempio da seguire, amare e rispettare. Avete mai chiesto a un colombiano quale sia il suo punto di riferimento? Non serve, vi risponderebbe sempre e solo Urán. Urán che spesso si è messo a disposizione dei suoi connazionali anche quando questi correvano in altre squadre.

Due podi al Giro e uno al Tour, una maglia bianca sulle strade della Corsa Rosa nel 2012 anno in cui, alla Volta Catalunya, tornò al successo cinque anni dopo le braccia alzate al Tour de Suisse, quando fu dipinto come uno uscito da chissà dove. Una miriade di piazzamenti nelle grandi corse di tre settimane, vittorie di tappa in tutti e tre i grandi giri - l’ultima, alla Vuelta Espana 2022, quando ormai pensavamo non fosse più competitivo ad alti livelli. Due podi al Giro di Lombardia, il primo nel 2008, giovanissimo.

Lascerà il ciclismo come quello che ricorda vagamente Mick Jagger, come quello che ha sempre una parola di conforto per tutti in gruppo e alcune frasi del suo repertorio, “tranquilo papito”, sono diventati un tormentone. Lascerà il gruppo come uno di quelli che ha sempre qualcosa di intelligente ai microfoni, che non si sottrae mai dal dire quello che pensa. Lascerà il gruppo Rigoberto Urán, e questo ci rende più tristi, ma probabilmente anche più saggi.


Fatica e dolore, gioia e orgoglio: il ciclismo di Samantha Arnaudo

Difficile pensarlo oggi, ma c'è stato un momento in cui Samantha Arnaudo e la bicicletta avevano ben poco in comune. Nonostante la solarità, quando va a riprendere quegli attimi, nei ricordi, dalla voce di Arnaudo filtra ancora un poco di sofferenza, di quel senso di inadeguatezza che si prova cimentandosi in qualcosa che sentiamo non appartenerci o, per quanto, non appartenerci ancora. La frase principale è: «Non volevo più soffrire», lì, come una lama, con cui ci si taglia ancora oggi. Samantha Arnaudo suonava il violino e su quella bicicletta "l'aveva messa" il suo ragazzo: «Ogni strappo era una salita interminabile, dolore ai muscoli, quasi impossibilità di proseguire. Il peggio è che il malessere non iniziava lì. Faticavo persino a mettere le tacchette, cadevo, spesso in maniera assolutamente ingenua. Uscivo in bici solo nel fine settimana, ma era già troppo».

Le parole spaziano rapidamente fra i vari episodi, soffermandosi su quelli più significativi, i primi tentativi di scalare il Colle Fauniera, ad esempio. Quel giorno in cui, dopo vari tentativi, dal versante di Demonte, si fermò: «Basta, torno a casa. Sono stanca, non è possibile». E voleva veramente tornare indietro, rinunciare, lasciar perdere, poi chissà cosa accade nella mente, certe volte, quando si cambia idea, da un momento all'altro e si tramuta la rabbia ed il dolore in qualcosa di differente. Per Samantha Arnaudo è uno scatto: «Era pura rabbia, non c'era altro. Sono arrivata così e, per molto tempo, non ho più voluto percorrere quel versante». Fino a che, quando ci è tornata, tutto era più facile ed il segreto si annidava proprio in quei giorni in cui la fatica era maggiore.

«Mi sono detta che non volevo più stare così e per evitarlo c'era solo un modo: pedalare, allenarsi, abituarsi alla salita, alle montagne». Così, a sette anni di distanza da quei momenti, Samantha Arnaudo ha vinto la Gran Fondo Fausto Coppi, la Haute Route Alpes, la Maratona delle Dolomiti, la Haute Route Ventoux e molte altre corse. Così, come dicevamo, a sette anni di distanza pensare alle prime pedalate fa strano: «Dico spesso che il ciclismo mi ha resa più forte: a livello fisico, certo, ma soprattutto a livello mentale e su questo voglio soffermarmi. Pensiamo alla maggior parte dei dubbi e delle paure di tutti i giorni: perché ne soffriamo? Spesso perché ci sentiamo deboli e temiamo di non riuscire ad affrontare le difficoltà, se e quando si presenteranno. Attraverso il ciclismo, ho iniziato a sentire di avere le capacità per andare oltre. Questo cambia tutto, rende più coraggiosi, più consapevoli». Allora si può anche stare da soli, in alta montagna, dopo 240 chilometri, più di 5000 metri di dislivello, e pensare solo a spingere sui pedali, azzerando tutto il resto: questo è il bello della fatica in sella, secondo Samantha Arnaudo. «Se riesco ad andare più veloce, ci metto meno tempo e, se ci metto meno tempo, soffro meno. Il principio è lo stesso di quel primo scatto sul Fauniera. Dipende solo da te: può fare paura, nel mio caso è una tranquillità. Scelgo io cosa fare e come farlo».

Il tono si fa riflessivo e Arnaudo riprende a raccontare: «Sai che, talvolta, chi va piano, chi fa più fatica, è quasi visto come "sfigato" da chi va forte, io, per storia personale, mi rivedo negli ultimi. Alla prima Gran Fondo Fausto Coppi puntavo solo ad arrivare al traguardo, ma alla Madonna del Colletto volevo fermarmi, andarmene. Non l'ho fatto solo perché il mio ragazzo, che era lì, si sarebbe arrabbiato se non avessi continuato, ma volevo farlo, so cosa si prova. Non serve dire molto a chi fa più fatica, a chi sta iniziando, serve provare a fargli capire che può, che anche lui può. Serve dirgli che la sua fatica ha molto più valore di quella di tutti gli altri, perché non è ricompensata, non subito almeno. Perché si fa fatica solo per arrivare in fondo, senza altri desideri». Arrivare alla linea di partenza, essendo conosciuti, non è semplice: c'è controllo, tutti sanno che correrai per vincere e non vogliono lasciarti la ruota. Arnaudo ci pensa e ripensa alla Haute Route Alpes di agosto.

Quell'idea fissa: «Voglio staccare Janine Meyer. Devo staccarla». A bruciare c'era ancora il secondo posto all'Ötztaler Radmarathon di circa un mese prima: «Non tanto per la seconda posizione, quanto per quei venti minuti di distacco che mi sembravano troppi per come avevo affrontato la corsa». Anche in questo caso, è la possibilità di essere da sola, di andare all'attacco, come fosse una gara di un giorno, come l'arrivo fosse dietro l'angolo, la sua arma vincente, il suo segreto: «Piuttosto mi sfinisco, ma devo staccarla, devo vincere io». Sono queste le frasi nella sua testa, in salita, «l'unico luogo in cui faccio meno fatica degli altri». Talvolta pensando a Marco Pantani, un corridore che l'ha emozionata, ispirata in quello che fa. In salita stacca Meyer, in pianura può essere tranquilla: vince in questo modo, si gode il successo ma pensa già agli altri obiettivi, con voglia di costruire, di continuare. Si emoziona per la vittoria, si emoziona perché con lei c'è la sorella Susanna e basta l'inciso per dire tutto: «Bellissimo condividere tutto questo con una sorella». In famiglia, sono quattro sorelle: Stefania non è legata al mondo dello sport, ma segue le sue gare, la più piccola, invece, è ancora una bambina, Era in piazza a Cuneo, il giorno della Fausto Coppi, tra tantissima gente, alla gara di casa: «Ha un'emotività molto forte. Quando mi ha vista arrivare, è scoppiata in un pianto che non riesco a scordare».

Samantha Arnaudo che, forse, in sella non sarebbe nemmeno salita, e che da quella sella ha pensato più volte di scendere. Certamente in bicicletta ha trascorso tantissime ore ad allenarsi per soffrire un poco meno, per sentirsi a proprio agio, per riuscirci. Ci racconta che, soprattutto agli inizi, le capitava di restare a guardare atlete professioniste, ammirata. In particolare la colpiva Lizzie Deignan, il modo in cui pedalava, avrebbe voluto assomigliarle. Qualche tempo fa, il suo ragazzo le ha detto: «Ora le somigli». E lei è rimasta lì, senza molte parole, perché dopo anni, ora davvero si sente una ciclista.


Il questionario cicloproustianto di Chloé Dygert

Il tratto principale del tuo carattere?
Capacità di superare le difficoltà.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Fiducia e lealtà.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Fiducia e lealtà.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Onestà.

Il tuo peggior difetto?
Troppi per citarne solo uno!

Il tuo hobby preferito?
Pulizia e organizzazione.

Cosa sogni per la tua felicità?
Sogno di essere la miglior ciclista del mondo.

Quale sarebbe, per te, la disgrazia più grande?
Perdere la mia mentalità.

Cosa vorresti essere?
La migliore del mondo.

In quale paese ti piacerebbe vivere?
Stati Uniti d'America.

Il tuo colore preferito?
Rosa.

Il tuo animale preferito?
Mi piacciono le scimmie o le rane.

Il tuo scrittore preferito?
Stephenie Meyer.

Il tuo film preferito?
Ever After.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Michael Jackson.

Il tuo ciclista preferito?
Pauline Ferrand-Prévot

Un eroe/eroina nella tua vita reale?
Molte persone che ammiro, non solo una.

Il tuo nome preferito?
Vesper o Aston.

Cosa odi?
Un sacco di cose... ah!

Il personaggio della storia che odi più di tutti?
Quelli fastidiosi, ditemi qualcuno o qualcosa e vi dirò chi è fastidioso.

Quale impresa ciclistica ricordi di più?
Vincere la cronometro nello Yorkshire 2019.

Da quale gara non vorresti mai ritirarti?
Campionati del mondo.

Un regalo che vorresti avere?
Mi piacerebbe saper cantare, o avere pazienza.

Come ti senti attualmente?
Davvero bene, ho appena mangiato un cioccolatino Ferrero Rocher!

Scrivi il tuo motto di vita
Prefissati standard elevati. Non importa quanto sia bello, può sempre essere migliore.