Il questionario cicloproustiano di Mattia De Marchi
Il tratto principale del tuo carattere?
Umiltà.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Umiltà.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Deve sorridere.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La fiducia.
Il tuo peggior difetto?
Delle volte, forse, sono troppo buono, non so se sia realmente un difetto, ma credo che dovrei essere più stronzo. Almeno in qualche occasione.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Andare in bici, pianificare nuovi giri in bici.
Cosa sogni per la tua felicità?
Una bici per tutti, perché rende tutti felici.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Forse non andare più in bici.
Cosa vorresti essere?
Sono umile, ma anche consapevole di quello che sono e non lo cambierei.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Dico sempre che è bello viaggiare, vedere e conoscere posti e culture nuove, ma casa è sempre casa!
Il tuo colore preferito?
Panna off white.
Il tuo animale preferito?
Cane.
Il tuo scrittore preferito?
Mi vergogno un poco, ma anche dal punto di vista dei libri non ho una grande cultura. Credo che il libro che più mi è rimasto in mente sia "Il piccolo principe". Oppure, forse, ora che ci penso, uno dei libri che mi sono piaciuti di più è stato Ebano di Ryszard Kapuściński.
Il tuo film preferito?
Può essere anche un cartone? Il Re Leone, forse perché lo riguardavo ogni volta, quando ero piccolino ed ero a casa ammalato.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Non ho una cultura musicale così ampia, ascolto molto più la radio mentre pedalo.
Il tuo corridore preferito?
Mio cugino perché si è guadagnato con sudore e fatica ogni singola soddisfazione.
Un eroe nella tua vita reale o un'eroina nella vita reale?
Queste due domande le metto insieme: eroe ed eroina, per me, sono mamma e papà, sarà scontato ma sono molto fortunato. Mi hanno sempre lasciato la libertà di scegliere quello che volevo fare senza mettermi alcun paletto.
Il tuo nome preferito?
Achille.
Cosa detesti?
Chi crede abbastanza nella persona che è.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Tutti i personaggi che, anche nel 2023, pensano di risolvere i problemi con le guerre.
L’impresa storica che ammiri di più?
Non è un’impresa storica, si tratta di una cosa successa nella prima guerra mondiale nelle zone dove pedaliamo molto spesso. Nell’altopiano di Asiago e in uno dei luoghi più affascinanti, il monte Cengio. Lascio scritto qui sotto quello che accadde in quello sperone di montagna:
Il mito racconta che i soldati italiani, rimasti senza munizioni, si avvinghiarono ai corpi degli assalitori trascinandoli, insieme a loro, nel precipizio del Cengio. Da allora uno sperone roccioso sopra al dirupo è soprannominato "Il salto del Granatiere".
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Non mi piace la parola "impresa" perché sono dell’idea che non stiamo facendo nulla di eroico quando siamo in bici, parlerei più di gesta storiche. Sicuramente gli anni di Pantani: non c’è una giornata in particolare, mi hanno segnato e sicuramente spinto ad appassionarmi alla bici.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Il sogno del cassetto comunque resta un Giro d’Italia, ma penso non sarà mai possibile quindi...
Un dono che vorresti avere?
Bacchetta magica per far avere un poco più rispetto verso noi ciclisti. Molte volte abbiamo le nostre colpe, spesso, però, sembra che in Italia il più debole e piccolo sia colui che va preso di mira.
Come ti senti attualmente?
Felice, pensieroso. Sono in un momento in cui sto cercando di capire dove vorrei essere fra qualche anno nel mondo della bici. Insomma, nella stessa situazione precedente alla nascita di Enough, con la differenza che ora sono molto più felice.
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tieni sempre un euro in tasca.
La nuova strada di Silvia Zanardi
Se Silvia Zanardi potesse tornare indietro nel tempo, tornerebbe a circa cinque anni fa. Non in una data qualsiasi, bensì nei giorni del suo approdo, giovanissima, appena diciotto anni, al team BePink: «Vorrei parlare con la ragazzina che ero, non per rimproverarle qualcosa, le direi semplicemente brava. Brava per tutte le volte che si buttava in volata, anche se finiva più spesso a terra che in top ten. Brava per l'istinto a cui sapeva dare retta, per aver dato tanto, per aver pensato a crescere, senza fretta, per aver creduto a quel che pensava. Era proprio piccola quella ragazza, le sarebbe servito sentirselo dire». Ed è, forse, anche da questo viaggio nel tempo che arrivano delle certezze, da mettere lì, come punti fermi: «Se già faceva risultati quella ragazzina, vuol dire che si può fare, che, oggi, posso fare bene, meglio, no?». La riflessione prende le mosse dall'anno appena trascorso: una stagione in cui Zanardi avrebbe voluto di più, parla di maglie e di medaglie che non ha conquistato e a cui puntava. Sono questi fattori a farle considerare il 2023 come un anno non del tutto positivo, anche se è cresciuta, a livello fisico e soprattutto a livello mentale, con la vittoria al GP Liberazione che, seppur con una startlist ridimensionata, è stata importante. L'amaro peggiore è quello della corsa a punti, al Mondiale su pista: «Non me lo tolgo più quel rammarico e, più ci penso, più rivedo la gara, più vedo gli errori, li capisco e capisco che non dovevo farli».
Certo. il dispiacere si sente, ma non la blocca. A Silvia Zanardi stare comoda non piace, avverte il bisogno di mettersi continuamente in discussione, la scomodità è un pungolo, e, se per altri discorsi pondera ogni ragionamento, qui le sue parole sono dritte, secche: «Le cose non vengono calate dal cielo: ci si arriva dandosi da fare, faticando, hanno valore proprio per questo, gli uomini e le donne devono impegnarsi e contare solo sulle proprie forze. Ho fatto io questa scelta, quindi mi rimbocco le maniche e pedalo. Ho firmato per un solo anno, per essere sempre spronata, per non avere certezze su cui sedermi». Sì, dall'anno prossimo, le pedalate saranno nel World Tour, perché è ormai ufficiale il suo passaggio al team Human Powered Health. Una scelta che in molti le chiedevano da tempo e lei avrebbe anche potuto prenderla tempo fa, perché diverse squadre l'hanno cercata. Zanardi ha sempre aspettato e, nel frattempo, attorno, le voci dicevano che era un peccato, che sbagliava, si chiedevano cosa stesse attendendo. Lo spiega con decisione: «Di essere pronta e di poter rispondere a quello che un cambiamento simile richiede. Bisogna investire sulla propria persona, migliorare negli allenamenti, capire che il ciclismo sta diventando un lavoro. A diciotto anni non puoi saperlo fino in fondo, non sei ancora abbastanza consapevole di determinate cose. Le persone più vicine a me hanno sempre cercato di guidarmi a fare quel che sentivo, che volevo, a valutare le situazioni, a prendere la decisione migliore, anche se si trattava di aspettare. Si può aspettare e, nel frattempo, continuare a correre».
In questo, quella ragazzina a cui Silvia Zanardi parlerebbe e Zanardi di oggi, colei che ha scelto di fare il passo verso il World Tour, non sono per nulla diverse ed il tempo non ha cambiato nulla. Nemmeno il tono di voce con cui torna a dirci: «A me piace correre».
Confessa che trae sempre le stesse sensazioni dall'andare in gara, che allenarsi le piace, ma non riuscirebbe ad allenarsi e basta, per lei la bicicletta è anche il momento della competizione, della verifica, quello in cui ci si confronta con le altre atlete e si capisce quanto si va, cosa c'è da migliorare, un momento in cui ci si ritrova e si sta in compagnia. Gli insegnamenti di Walter Zini sono chiari: fino a quest'anno un direttore sportivo, dall'anno prossimo, comunque, il preparatore, ma non solo. Silvia Zanardi dapprima scherza: «Diciamo che non riusciamo a separarci, nonostante ci sia un rapporto di amore e odio. Walter sa quanto lo stimi e gli sia riconoscente, ma pure quanto, certe volte, riesca a farsi detestare». Poi torna seria: «Non è stato solo un direttore sportivo, è un fratello, un padre, un amico, anche. Mi conosce bene, per questo ho voluto ancora lui come preparatore». In Human Powered Health troverà, anzi, ritroverà Giorgia Bronzini, che ha scelto di scommettere su di lei, con cui c'è una vicinanza geografica ed anche di vissuto, che permette di comprendersi, soprattutto su un fatto: la pista.
Con la stessa sincerità, Zanardi ammette che avrebbe fatto davvero fatica a pensare di rinunciare alla pista, non ci sarebbe riuscita, probabilmente, quindi si è sentita sollevata quando è arrivata la certezza della possibilità di far coesistere le due discipline. Racconta di essere stata inserita nel gruppo olimpico della nazionale: un punto di partenza, alla vigilia di Parigi 2024, dove è difficile andare, tuttavia non si tirerà indietro, fino all'ultimo. Pensa ai Mondiali, agli Europei. «Giorgia ha lo stesso vissuto, può capire. Siamo vicine, possiamo incontrarci in ogni momento, mi permetterà di dare ancora di più. Del resto, se ho scelto Human Powered Health è perché investe sulla mia crescita, fa tante gare e lotta gara su gara per ogni posizione, cercando di essere sempre al centro dell'azione». Lucida, realista, quando spiega che sa che il primo anno è l'anno in cui bisogna mettersi a disposizione, fare "gavetta", non risparmiarsi, senza badare troppo a risultati o ambizioni personali, bensì facendo il bene della squadra: «Stiamo ancora lavorando sul calendario e sui traguardi da raggiungere: vorrei migliorare sulle salite più lunghe ma pedalabili, vorrei essere in grado di arrivare nel gruppetto che se la gioca alla fine e riuscire a sprintare. Non sono una velocista vera e propria, però ho un buono spunto veloce ed in gare vallonate posso dire la mia». In questo senso, lavora sull'alimentazione e sul raggiungimento del giusto peso forma che, quest'anno, è arrivato a fine stagione.
Nei desideri, fare bene in qualche tappa alla Vuelta a Espana, ma, ancor prima, essere all'altezza dell'opportunità che le è stata offerta: «Non so se l'anno prossimo mi rinnoveranno la fiducia. Starà a me e solo a me dimostrare di meritarlo. L'ho detto: è l'unico modo per raggiungere traguardi, per farcela». Insomma Silvia Zanardi è pronta, i passi importanti le piacciono: sta anche pensando a una casettina, indipendente, si sta guardando in giro, la immagina come un luogo di pace in cui continuare a fare le cose bene, in tranquillità. Sempre con in testa la passione di zio Alberto, che è cresciuto con il ciclismo ed in questa passione l'ha sempre sostenuta, come fosse il primo giorno, anche quando non è potuto andare alle corse, e le parole di Stefano Solari, in Vo2: figure di riferimento, quando le cose cambiano. Sempre ben salda in quel che è stato, ma proiettata in quel che sarà.
Foto: Sprint Cycling Agency
Freddo, fango, oche, corse a piedi: una settimana di ciclismo invernale
Bisognerebbe fare come Andreas Leknessund. Fregarsene. È uscito a -24 gradi, ha fatto un video in cui si mostra sorridente. ha fatto un video per dimostrare di essere uscito davvero a quelle temperature - una volta si diceva: ”se non è scritto su Internet non esiste”, ora è l’epoca in cui se non lo fai vedere sui social, non è mai accaduto. Nel breve tempo in cui si è inquadrato con il telefono si vedono pezzi di ghiaccio formati sulle sopracciglia. Lo scenario, poi, è delizioso: in mezzo alla neve, in Norvegia, ed essendo lui norvegese, pedalare gli pesa molto meno che a noi, o comunque a me. È vero: tutto molto bello, ma se dovesse capitarmi una proposta di uscita a certe temperature probabilmente non accetterei nemmeno a pagamento, sotto tortura, ricatto o minaccia, vi direi: prendete tutto quello che volete ma lasciatemi stare. Il freddo in bicicletta è mio nemico e in questi giorni i miei due compagni di giochi in bicicletta mi stanno chiedendo di uscire, ma non mi avranno mai.
Ma appunto Andreas Leknessund è norvegese e quando era un ragazzo molto più giovane di come appare adesso, oltre a essere uno specialista giocoliere abilissimo nel diablo, era pure un provetto sciatore, sci di fondo per l'esattezza. E quando senti dire che in Norvegia “si nasce con gli sci ai piedi” capisci come non sia un luogo comune certificato, anche se il futuro corridore della Uno X Pro Cycling (dove ritorna dopo esserci cresciuto da giovane e dopo la parentesi agrodolce in DSM) ha sempre sostenuto di non essere così bravo con gli sci ai piedi. Già, meglio affrontarli con il giusto mezzo come si vede nel video: meglio usare una bici. Che pare fatta apposta per ogni situazione.
Leknessund è bravo in bici, ma sugli sci niente a che vedere con i suoi più giovani connazionali: Per Strand Hagenes, lui sì, sciatore provetto nelle categorie giovanili, e soprattutto Nordhagen. Uno che sembra uno sportivo fatto in provetta.
L’anno prossimo Per Strand Hagenes correrà la sua prima stagione da professionista a tempo pieno, in maglia Jumbo Visma, e qualcosa mi fa pensare che al Nord, quando farà freddo, ci sarà pioggia, lui potrebbe essere da subito uno dei protagonisti - trasformazione in gregario da corse a tappe permettendo, ma voglio fidarmi di una certa lungimiranza tra gli olandesi. Quest’anno è già accaduto che in una delle prime gare corse tra i grandi - era la quarta della sua carriera - vincesse. Era una Ronde Van Drenthe fredda e piovosa e dove si arrivò al traguardo stremati battendo i denti. In una corsa così selettiva Hagenes apparve un demonio e vinse in solitaria attaccando nel finale. Pur essendo dotato di un interessante spunto veloce, se ne fregò, meglio non correre rischi, avrà pensato.
Nordhagen, invece, sarà al suo primo anno tra gli Under 23, vestirà la maglia che ha appena mollato Hagenes: quella della Jumbo Visma Team Devo (che si chiamerà Team Visma -Lease a Bike Devo). E lui nel fondo andava forte forte, tanto da piazzarsi anche ai campionati nazionali correndo in mezzo ai senior, battendo pure un certo Sjur Roethe (veterano della nazionale norvegese tra gli sci stretti), impressionando una come Therese Johaug, una delle più grandi fondiste della storia: «Sono sbalordita» - disse quella volta. E immagino anche che faccia abbia fatto dopo aver visto uno junior che va tra i senior e li batte. Chiuse, se la memoria non mi inganna al 6° o al 7° posto. Tempo fa, Nordhagen disse di non aver preso una decisione in merito al suo futuro o meglio, che avrebbe continuato a dare allo sci di fondo la stessa importanza che dà al ciclismo, ma io credo che aver firmato un contratto fino al 2027 con la squadra olandese abbia messo abbastanza in chiaro qual è il suo futuro. Tra gli junior, parlo di ciclismo in questo caso, arriva da due buone annate dove a tratti ha dimostrato di essere tra i più forti 2005 al mondo, ma, nonostante i numeri che hanno fatto innamorare di lui i tecnici della futura Visma-Lease a Bike, l’impressione è che ci siano dei margini, abbastanza ampi, su cui lavorare.
Dove non è arrivata la neve c’è il fango, nell’ultimo week end di ciclocross ci sono state anche le oche. Ronhaar per la verità non dà la colpa a Qui, Quo, Qua come li ha definiti, se è scivolato, nella prova di Coppa del mondo a Flamanvile, Francia, dal 1° al 3° posto. «All’improvviso mi sono trovato davanti Huey, Dewey e Louie». In realtà come ha raccontato a fine corsa, era in calo già da prima, venendo rimontato poi da Iserbyt e van der Haar. Nemmeno Nys cerca alibi di nessun genere: dopo aver vinto il Koppenbergcross è entrato in una sorta di spirale negativa che vado qui ad elencare: ritiro al Campionato Europeo, 27° al Superprestige di Niel, 7° e 6° in Coppa del Mondo a Troyes e Dublino, 6° a Boom, 19° a Flamanville. Mal di schiena, stanchezza, vuole vederci chiaro. Sbaglio o anche lo scorso anno, a un certo punto, la sua stagione del cross prese una piega simile, per poi rilanciarla nel finale con tanto di titolo iridato tra gli Under 23? Se tanto mi dà tanto un po’ di risposo e poi si può andare a Tabor a sognare una medaglia tra i grandi, prima di un’intensa stagione su strada dove è atteso a un ulteriore salto di qualità, alla ricerca di quella maturità che significherebbe raggiungere gli obiettivi prefissi con maggiore continuità. Il ragazzo c’è e verrà fuori, non ho dubbi al riguardo.
Dove invece non sono arrivati fango, neve, cross, oche o mal di schiena, è arrivato David Gaudu. Però non in bici, ma a piedi. L’occhialuto ciclista francese che si diletta nel portare avanti carriere nel videogioco Pro Cycling Manager, ha corso la mitica staffetta a coppie di SaintéLyon insieme a un veterano del trail come Alexandre Fine. Gaudu, che da ragazzo andava forte correndo a piedi prima di capire che il ciclismo sarebbe stata la sua naturale vocazione - a̵l̵t̵r̵i̵m̵e̵n̵t̵i̵ ̵n̵o̵n̵ ̵s̵i̵ ̵p̵a̵s̵s̵a̵n̵o̵ ̵o̵r̵e̵ ̵a̵ ̵g̵i̵o̵c̵a̵r̵e̵ ̵a̵ ̵P̵C̵M̵ , altrimenti non si vince un Tour de l'Avenir o si sfiora un podio alla Boucle - prima della partenza si era visto davanti a un bivio: «Vincere o andare in ospedale». La corsa si è disputata in notturna e i due, che si sono conosciuti qualche anno fa proprio durante una corsa invernale a piedi, hanno chiuso la gara, in mezzo al freddo e alla neve, al secondo posto. «Penso che il Trail running sia la cosa che più si avvicini al ciclismo in termine di sforzo. È una lotta contro te stesso, come quando sei in salita, su un passo di montagna. Ci sono i tuoi avversari, ma i limiti che devi superare sono i tuoi e devi fare affidamento solo su te stesso. E poi mi aiuta a staccare dalla bici, fa bene ai muscoli, e mi fa bene alla testa perché io ho sempre amato correre. Ecco, per esempio, Thibaut Pinot praticava sci di fondo in inverno, è la sua passione. La mia è il trail running!»