Garmin: un'occasione ottima per rinnovare il tuo ciclocomputer
In vista della nuova stagione, Garmin attiva una promo per chi è interessato a passare a una versione più aggiornata del proprio ciclocomputer
Hashtag di riferimento: #GarminItaly
Garmin (NYSE: GRMN) annuncia la campagna promozionale che fino al 5 maggio offre la possibilità di cambiare il vecchio ciclo-computer di qualsiasi brand ricevendo uno sconto che può arrivare fino a 170 euro.
Per accedere alla promo è sufficiente acquistare un bike computer della serie Edge 540 e 840 all’interno di uno dei punti vendita Garmin che aderiscono all’iniziativa.
Edge 540 ha un prezzo a partire da 299,99 euro, mentre Edge 840 da 379,99 euro. La promo è valida sia sui modelli solar che non solar.
Serie edge 540 & 840 – Solar e Non Solar
Progettati per ogni tipo di ciclista, le serie Edge 540 e 840 sono ricche di funzioni innovative rispetto agli intramontabili Edge 530 e 830, che le hanno precedute.
Queste le funzioni che imperdibili per il prossimo Edge:
- Abilità ciclistica e requisiti del percorso: basandosi sullo storico degli allenamenti, identifica i punti di forza e di debolezza di un ciclista
- Coaching adattativo mirato: che si pedali al chiuso o all’aperto, permette di visualizzare gli allenamenti giornalieri suggeriti e invia suggerimenti personalizzati che si adattano in base al carico di allenamento, al recupero e alle prossime gare.
- Stamina in tempo reale: permette di monitorare i livelli di sforzo in tempo reale durante l’uscita in bici per vedere quanta energia rimane per terminare il proprio allenamento.
- Power Guide: consente di gestire gli sforzi con obiettivi di potenza durante il percorso.
- Pianificazione delle salite ClimbPro: ora disponibile anche per percorsi non preventivamente pianificati, permette di visualizzare i dettagli delle salite, come l’ascesa rimanente e la pendenza, oltre a offire la ricerca delle salite direttamente su Edge e nell’app per smartphone Garmin Connect™ prima di partire.
- GNSS multi-banda: garantisce una maggiore precisione della posizione anche negli ambienti più impervi.
Ricarica solare: la lente di ricarica solare Power Glass™ sui modelli Solar estende la durata della batteria fino a 60 ore in modalità risparmio, offrendo fino a 25 minuti in più all’ora durante le pedalate diurne.
Dotati di metriche di allenamento e navigazione avanzata, i modelli Edge 540 e 840 sono il perfetto compagno di allenamento del ciclista che vuole migliorare costantemente le proprie performance. Grazie alle informazioni fornite da Firstbeat Analytics come VO2 max, Training Status, Training Load, tempo di recupero e altro ancora, è possibile prendere visione di come il fisico stia rispondendo all’allenamento. Inoltre, le metriche dedicate al mondo MTB forniscono dati come il conteggio e la distanza dei piani salti, il Grit e il Flow per ogni uscita.
I nuovi device sono dotati di cartografia integrata aggiornata con mappe migliorate e specifiche per tipo di uscita che utilizzano Trendline™ Popularity Routing, per evidenziare le strade e i sentieri più popolari permettendo di ricercare punti di interesse.
Inoltre, grazie alle funzioni integrate di sicurezza e tracking come LiveTrack, messaggistica di gruppo e rilevamento degli incidenti per tutte le attività, compresa la mountain bike, le uscite in bici non sono mai state così sicure
Edge 540 è la versione a pulsanti e presenta una memoria interna di 16 GB con la cartografia Central West precaricata.
Edge 840 invece presenta sia il touchscreen che i pulsanti, per rispondere alle preferenze dell’utente. È dotato di una memoria interna da 32GB, che risulta particolarmente utile per chi viaggia e utilizza le mappe
A vantaggio della navigazione, sull’ Edge 840 si ritrovano di default due regioni già precaricate.
Per informazioni: www.garmin.com/it-IT
Olivier, Parma
In Strada Luigi Carlo Farini 15, a Parma, varcato l'ingresso di Olivier, gli occhi si appoggiano istintivamente ad un telo, sul muro. Si tratta, evidentemente, della pubblicità di una nota marca di jeans, a colpirci, oltre alla dimensione del manifesto, però, sono, soprattutto, delle minuscole goccioline di vernice bianca, ormai essiccata che scorgiamo chiaramente e che restituiscono l'idea di qualcosa di stropicciato, talvolta dimenticato, su cui il tempo è passato, a tratti, in maniera inclemente. Carlo Alberto Caruso ci fornisce presto i dettagli di quella sensazione: il telo è l'originale di una vecchia pubblicità Levi's, risalente agli anni quaranta del novecento e nei locali di Olivier è arrivato portato da un signore, un cliente, che lavorava per Fiorucci. Lo teneva in soffitta e quasi non ne ricordava l'esistenza: la vernice, invece, deriva dai giorni in cui gli imbianchini l'hanno utilizzato per proteggere l'arredamento di un sottoscala durante la tinteggiatura. Fino a che non è stato donato a Olivier e su quella parete, dopo tanti anni, è tornato alla sua prima funzione: molti visitatori ne restano colpiti, cercano Carlo e Alessandro, chiedono informazioni e loro iniziano a raccontare la sua storia, dando particolare valore al fatto che si tratti di un regalo. Altre volte, le domande riguardano una scarpa, esposta in bacheca, sopra una mensola. Si tratta di una Red Wing, una calzatura nata nel 1905, nel Minnesota, negli Stati Uniti d'America, e strettamente legata a varie tipologie di mestieri, in quanto ideata originariamente proprio per questi: parliamo di minatori, postini, lavoratori dei campi, delle fattorie. Solo successivamente sono state ideate due linee, di cui una per l'uso comune, quotidiano. Quella che vediamo noi appartiene ad un lotto numerato, giunto in Italia qualche anno fa, venduto quasi tutto, tranne quell'unico esemplare che, oggi, resta come ricordo, come souvenir. C'è chi la vorrebbe acquistare, ma la risposta di Carlo è sempre la stessa: «No, è troppo bella. Resta qui».
In fondo, in questi pochi minuti di conoscenza, Caruso ci ha narrato delle storie, nulla di più e nulla di meno. Ci dirà poco dopo che è questo il tratto caratterizzante del suo lavoro, nonostante Olivier sia, dal 1999, anno della sua nascita, un negozio di abbigliamento: «Dietro a ogni capo c'è una storia lunga, certe volte molto lunga, e a noi piace raccontarla. A non tutti piace e a non tutti interessa, bisogna spiegare perché lo si fa e non stancarsi di ripeterlo, anche quando sembra di non essere compresi». Il motivo ha a che fare con l'affettività che riguarda le persone ma anche gli oggetti con cui vengono in contatto: la concezione corrente è, spiega Caruso, che un capo d'abbigliamento o una scarpa si acquistino, si utilizzino, per un tempo sempre più breve, e poi si gettino via, in realtà può esserci di più, in quanto tutto ciò che «si porta addosso» fa parte, in un modo o nell'altro, del percorso di ciascuno di noi, invecchia assieme a chi lo veste. «L'immagine che utilizzo io è molto semplice: pensate di aprire un armadio e di trovare quella maglietta, quella camicia, quella felpa o quella scarpa di dieci anni prima. A quel punto si liberano una serie di reminiscenze. Così facendo non si segue la moda, si è "fuori stile", forse, perché si cerca un proprio stile». L'inizio, quello del 1999, è stato dato da Alessandro, in un altro punto della città, Carlo è subentrato nel 2015 e, nel frattempo, Olivier si è spostato in una zona più centrale di Parma; una vetrina anziché due, ma tutta la vita che pullula attorno. Il nome, in realtà, nasce quasi per caso, in quanto l'unica cosa decisa era che dovesse essere un nome inglese. Alessandro è sempre stato un appassionato di cricket e ricordava il nome di uno dei suoi giocatori preferiti di sempre che si chiamava proprio così, proprio Olivier. L'arredamento interno, invece, è stato conseguenza di una scelta ben precisa.
«La traccia di base è minimalista, ovvero poche mensole, poche cose, bianco, pulito, ma il lavoro occupa una fetta importante delle nostre giornate e, mentre lavoriamo, cresciamo, allora il negozio doveva crescere con noi, invecchiare al nostro stesso tempo, arricchendosi via via di tutto ciò che, nel frattempo, ha significato qualcosa: per esempio quel telo, quella pubblicità o quella vecchia scarpa». Dal 1999, tra l'altro, sono davvero variate moltissime cose, sia dentro che fuori, nella società: in quel momento, erano i vestiti, l'abbigliamento la forma principale di svago, il regalo che ci si concedeva per staccare dalla quotidianità, oggi, invece, il tempo libero si è popolato di molte altre possibilità e priorità, per cui anche questo mestiere è diventato più complesso. Carlo Alberto Caruso trova in questa sfumatura il principale punto di contatto tra il suo mondo e la bicicletta: «Dove c'è fatica, non si può restare se non si trova anche una passione, un motivo. Se ci si pensa bene, perché scalare una montagna in bici, col fiatone, sudando come matti e col fiato che se ne va chissà dove? Il motivo è quella cosa che ci prende e che, in mancanza di altre parole, chiamiamo passione. Il mio lavoro è diventato molto difficile, non avrei altri motivi per continuare a sceglierlo ogni giorno, se non fosse per quello che provo nei suoi confronti. Simile a ciò che sentivo quando ho iniziato a lavorare con mio padre, alla fine dell'università». Carlo non è di Parma, bensì della Bassa e quando racconta del modo di essere dei parmensi lo fa con disincanto, dapprima scherzando su una presunta rivalità, «sono "fighetti", non si fanno sfuggire nulla», e, successivamente, andando a pescare nelle ragioni più profonde di quelle caratteristiche: «Parma è un piccolo gioiello. Una piccola città in cui tutti si conoscono, c'è e c'è sempre stata bella cultura, bei parchi: la gente ci tiene a preservare questa bellezza, quindi è attenta, se ne prende cura e non si lascia scappare nulla». A chi vuole conoscere meglio i suoi dintorni, Carlo suggerisce il classico giro che lui stesso fa in pausa pranzo, in tutto quarantatrè, quarantaquattro, chilometri, andata e ritorno, partendo da via Farini, diretti verso la salita di Barbiano: un'ascesa delicata, piacevole, che permette una vista di raro pregio e che conduce anche al Castello di Torrechiara.
Ma Olivier e le biciclette, per qualche motivo, sono intrecciati a doppio filo: Carlo e Alessandro sono da sempre pedalatori e il giovedì pomeriggio, quando il negozio è chiuso, spesso si allontanano dal centro e vanno all'avventura. «Piano, piano, qualche nostro amico si è unito a noi, finchè non abbiamo pensato che doveva essere un'occasione aperta a tutti, fino a chiamarle "Oliver Social Ride": delle uscite assieme, per far gruppo, per farsi compagnia e, magari, fermarsi a bere una birra, senza guardare i chilometraggi, i watt e la velocità». Quel gruppo è presto diventato di dieci, venti, trenta, fino a quaranta persone, che chiedono, si informano e aspettano il giovedì per quelle ore di svago, magari indossano la maglietta o la felpa ideata per omaggiare il momento, il cui ricavato è stato destinato ad una associazione a favore della ricerca sulla SLA. Carlo e Alessandro si posizionano uno davanti e l'altro dietro il piccolo plotone che si va formando, cercano di tenerlo unito, compatto e, di tanto in tanto, provano a istruire chi non è così abituato ad uscire in bici. Spesso sono piccole indicazioni che, però, si rivelano fondamentali, talvolta sconfiggono vecchie abitudini che si pensava non sarebbero mai cambiate: «Parlo di un amico che non ha mai indossato il casco in bicicletta e mi ha cercato per partecipare a queste ride. L'ho avvertito: senza casco, non puoi. Credetemi, è andato ad acquistarlo il giorno stesso e non l'ha più tolto, gesto per cui anche sua moglie ci ringrazia. Cose come queste succedono e per noi fanno la differenza, come quando vediamo che l'essere in gruppo rende tutti più attenti, quasi a proteggere anche la persona che si ha accanto». Qualcuno arriva anche da lontano, da Cremona, dal Veneto, altri, invece, fanno ritorno: in sella, oppure in negozio. Si fermano a leggere qualche libro, qualche rivista, appoggiate sul bancone o in vetrina, e da lì nasce una conversazione.
Parma è anche città di fiere, vi arrivano, quindi, anche persone dall'esterno e spesso passano in via Farini, si affacciano da Olivier, magari non acquistano nulla, non cercano nulla, ma vogliono salutare, passare a vedere, nel tempo della loro assenza, quante cose sono cambiate e quante sono rimaste le stesse: «Non sono visite casuali, si capisce molto bene da un particolare: spesso si ricordano dettagli di conversazioni avute mesi o anni prima. Ti chiedono di quell'idea, di quel progetto, di quella preoccupazione che avevi oppure riprendono fatti che avevi narrato e che molti avrebbero dimenticato nell'insieme di tante parole. Fa piacere perché restituisce la sensazione di essere ascoltati». A quelle fiere, a Parma o altrove, partecipano spesso anche Alessandro e Carlo, alla ricerca di qualche capo nuovo, di qualche novità che, pur inserendosi nella linea della continuità, della storicità, possa essere in armonia e ben figurare: «Soprattutto in periodi difficili, bisogna saper scegliere, selezionare, senza lasciarsi prendere dalla foga, per il bene dell'attività. Bene, la cosa che provo tutt'oggi per questo mestiere, spesso, mi rende difficile questa razionalità. Ciò che ti emoziona si vede sempre, quando mostri, parli, racconti, per quanto tu possa trattenerti».
Dopo un quarto di secolo di storia e di racconti, ricordi, aneddoti, Olivier, quando guarda avanti, al futuro, non cerca molto, non desidera grandi cose: ciò che spera è, in realtà, collegato a quella voglia di stare assieme che contraddistingue la sua evoluzione: «Sì, vorremmo venissero a trovarci ancora più persone. Non è tanto un discorso economico, sebbene un lavoro sia fatto anche di questo, piuttosto è una questione di comunità. Più siamo, più bello è». Non serve dire altro. Sarebbe futile, il quadro è completo.
Imatra: l'App che ti premia quando pedali
Se anche voi vi siete imbattuti nel logo di Imatra e vi siete chiesti come funziona, leggete qui sotto e scoprirete la grande innovazione nel mondo della green bike economy.
Imatra è un'applicazione che converte l'energia prodotta pedalando in una moneta digitale nativa, 100% green: gli Imatra Coin. Questa moneta digitale è utilizzabile senza confini territoriali e, grazie ad essa, è possibile acquistare sul sito imatra.com i prodotti più iconici ed esclusivi di oltre 100 top brand del mondo cycling - in alcuni casi anche in edizione limitata e dedicata esclusivamente all'acquisto con Imatra Coin. A breve, poi, sarà possibile scambiare o acquistare Imatra Coin all'interno della community, un ecosistema circolare e virtuoso.
Entrare nel mondo Imatra è molto facile:
- Scarica l'App gratuita disponibile per iOS e Android.
- Fai il login.
- Quando stai per partire per il tuo giro, attiva l'app e clicca sul tasto play per iniziare la registrazione dell'attività; l'app inizierà automaticamente a calcolare il tuo sforzo e
lo trasformerà in Imatra Coin.
- Metti il telefono in tasca e goditi la pedalata outdoor.
- Una volta finito il giro, riprendi il telefono, clicca sul tasto stop per validare la tua ride e terminare l'attività.
Ogni 25 chilometri normalizzati percorsi, hai diritto ad 1 Imatra Coin. L'algoritmo calcola la conversione sulla base della distanza e della pendenza, premiando maggiormente la
distanza percorsa in salita. Un Imatra Coin ha un valore che può variare da 0,5 a 4,00 €. La sua quotazione varia sulla base dei prodotti acquistabili su imatra.com con questa moneta digitale. Semplice no?
La sostenibilità, poi, è uno dei capisaldi di Imatra. Dall'applicazione infatti è anche possibile visualizzare il risparmio effettivo di CO2, dimostrando come ogni chilometro percorso all'aperto contribuisca a preservare il benessere di tutti gli abitanti della Terra, sia pedalatori che non. Giusto per farvi un esempio: abbiamo fatto un bel giro a Gran Canaria e, considerando la quantità di chilometri macinati ogni giorno, ora penso proprio che ci premieremo con qualche regalino. Oltre, ovviamente, a quello fatto al pianeta contribuendo in maniera importante alla sostenibilità ambientale.
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La centrifuga del pavé fiammingo
Ancora prima che iniziasse, almeno un paio di persone si sono interessate sul mio stato di consapevolezza rispetto al fatto che da lì a pochi giorni avrebbe preso il via la Settimana Santa del ciclismo. Santa non solo perché nel mezzo c’è la Pasqua, ma anche perché, a detta di Alberto Bettiol, i corridori sono spesso impegnati a pregare per delle buone gambe. Per chi mastica la lingua sarebbe più corretto dire la Vlaamse Wielerweek, ovvero la settimana ciclistica fiamminga. Effettivamente aggiunge anche più contesto, soprattutto per me che a proposito di masticare e di ciclismo ne ho di movimenti di mascella da fare o, se preferite, di pastasciutta da mangiare. Nel raccontarvi come sia andato uno dei miei tanti battesimi ciclistici, credo sia meglio specificare fin da subito che fino al 26 maggio dello scorso anno ritenevo il ciclismo uno sport noioso. Lo facevo, per giunta, senza avergli dato una vera e propria chance: mai una gara vista in tv o dal vivo, mai una pedalata su strada o sentiero. Finché un venerdì di primavera, che qui dalle mie parti assomigliava più ad un principio di estate, mi sono ritrovata a guardare la diciannovesima tappa del Giro d’Italia - quella da Longarone alle Tre Cime di Lavaredo - con la scusa di voler rivedere dei luoghi in cui non mettevo piede da diverso tempo. Vi anticipo il seguito della storia: da quel giorno credo si possano contare sulle dita di una mano le volte che ho perso una competizione ciclistica trasmessa in televisione, mi sono iscritta a innumerevoli gruppi Telegram del settore, ho declassato Google da browser di ricerca preferito per spendere ore su ProCyclingStats o FirstCycling, ho comprato molti libri che devo ancora leggere e, soprattutto, mi sono perdutamente innamorata del ciclismo. Quest’anno è stato per me, dunque, un susseguirsi di prime volte. La mia prima Omloop, la mia prima Strade Bianche, la mia prima Tirreno-Adriatico, la mia prima Parigi-Nizza, la mia prima Milano-Torino, la mia prima Milano-Sanremo e adesso, appunto, anche la mia prima settimana ciclistica fiamminga.
Per una che vive di inizi, soprattutto in questa parte di stagione a me sconosciuta, non poteva esistere altro tipo di approccio alla Settimana Santa se non quello di sperimentare tutte le sue tappe, partendo dalla Brugge-De Panne, passando per l’E3 Saxo Bank Classic, la Gent-Wevelgem, la Dwars door Vlaanderen, il Giro delle Fiandre, la Scheldeprijs e per chiudere la Parigi-Roubaix. Per ora posso già ammettere che la seconda di queste fermate, l’E3 Saxo Bank Classic, mi è piaciuta moltissimo. Che c’entri forse il fatto che è stata una corsa a dir poco folle rispetto a quanto ho visto finora? L’ipotesi merita di essere presa in considerazione. Da quando è stata creata, nel 1958, ha cambiato per ben 5 volte nome. Il primo è stato Harelbeke-Antwerp-Harelbeke: un modo semplice per dire che le prime edizioni avevano un percorso che partiva da Harelbeke, cittadina delle Fiandre occidentali, arrivava ad Anversa e tornava al punto di partenza. È stata una parentesi piuttosto breve, perchè agli inizi degli anni ‘60 anche il Belgio venne coinvolto nella nuova rete autostradale E3, che collega Lisbona a Stoccolma, ed ecco che la gara cambiò nome in E3-Prijs Harelbeke. C’è stato poi il tempo di E3 Harelbeke, come qualcuno la chiama ancora, e E3 BinckBank Classic, per arrivare al nome attuale E3 Saxo Bank Classic.
Girando in lungo e in largo per internet, ho scoperto che l’E3 è l’unica gara della Settimana Santa a non essere organizzata dalla cooperativa belga Flanders Classics. Poteva, però, essere decisamente più fortunata in termini di organizzatori, almeno da un punto di vista comunicativo. Lo dico per certi avvenimenti che definire scivoloni sarebbe un eufemismo. Ve ne cito due, quello che ha avuto più impatto mediatico e quello più recente. Per quanto riguarda il primo, che è avvenuto nel 2015, devo portarvi dietro di un altro piano di anni, ovvero nel 2013: vi ricordate quando, sul podio del Giro delle Fiandre, Peter Sagan ha la brillante idea di allungare una mano per afferrare il fondoschiena di Maja Leye, intenta a baciare sulla guancia il vincitore, Fabian Cancellara? Provò anche a metterci una pezza, offrendole un mazzo di fiori e confermando la poca comprensione del gesto appena compiuto. Un paio di anni dopo, il team della comunicazione dell’E3 ha trovato ispirazione dall’accaduto, sorvolando sul fatto che si trattasse di un episodio di violenza sessuale e di sessismo allo stato puro. L’edizione di quell’anno aveva il seguente slogan che, giustamente, fece infuriare molti: “Who squeezes them in Harelbeke?”. Quando si dice un colpo di genio!
C’è da sorprendersi, dunque, se quest’anno sono stati costretti a ritirare una vignetta omofoba che vedeva protagonista Wout van Aert e che non ho alcuna intenzione di descrivere? Non andatevela a cercare, piuttosto userei quel tempo per riflettere su come l’indignazione per entrambi i fatti si sia esaurita nel giro di poco. Non ci sono stati, per quanto io sappia, grandi cambiamenti nel contrastare il sessismo nel mondo del ciclismo e il silenzio di molti, di troppi pesa come un macigno. Tra nomi e momenti di poca intelligenza che si susseguivano, i ciclisti belgi hanno scritto la storia dell’E3: Armand Desmet fu il primo ad apporre la propria firma, vincendone la prima edizione, mentre qualche anno più tardi il connazionale Rik Van Looy non si accontentò di vincerne soltanto una, ma arrivò alla bellezza di 4 vittorie. Chissà se Van Looy ha guardato l’edizione del 2012 in cui un altro belga, Tom Boonen, ne batteva il record vincendo l’E3 per la quinta volta. A guardare la lista dei vincitori, è abbastanza evidente che i belgi in questa gara ci tengono a non sfigurare, ma negli anni altri nomi di una certa caratura hanno trovato spazio per le loro prodezze, primi fra tutti lo svizzero Fabian Cancellara e l’olandese Jan Raas. Compaiono anche bandierine tricolori nell’elenco per ricordare le vittorie di Guido Bontempi (1988), Mario Cipollini (1993), Dario Pieri (2002) e Filippo Pozzato (2009).
Anche quest’anno il menù, nonché percorso, prevedeva 207,85 chilometri di stradine strette di campagna, puro pavè belga e soprattutto muri, moltissimi muri. Diciassette, per la precisione, di cui almeno tre da tenere sott’occhio: il Taaienberg, il Paterberg e l’Oude Kwaremont. Al passaggio sul primo mi è stato consigliato di essere certa di trovarmi davanti ad un televisore o un computer che trasmettesse la gara, anche in caso di un impellente bisogno di andare in bagno o una catastrofe in corso nelle vicinanze. All’E3 se deve succedere qualcosa, succede lì. Gli altri due, invece, sono l’antipasto, anche se nel senso opposto, di qualcosa di più grande, che arriverà il giorno di Pasqua. Proprio per questo motivo e per la tendenza ad usare la gara come occasione di test per quello vero, c’è chi la chiama il piccolo Giro delle Fiandre. Il Paterberg, comunque, poco prima della gara non ha fatto passare dei giorni sereni all’organizzazione: un cedimento ha messo in dubbio per un attimo la possibilità che l’E3 potesse passare da lì. C’era ovviamente un piano B, ma 300mila euro di lavori finiti appena in tempo hanno evitato di mandare in frantumi i cuori di moltissimi appassionati di ciclismo. Compreso il mio, che temeva già di vedere un E3 e un Giro delle Fiandre in versione geneticamente modificata.
La lista partenti di questa edizione era bella ed interessante quanto il percorso, ma la verità è che non vedevo l’ora di assistere al primo incontro su strada per questa stagione tra Wout van Aert e la maglia iridata, Mathieu van der Poel. Il belga della Visma | Lease A Bike ha conquistato la corsa per due anni di fila e probabilmente sognava di raggiungere Cancellara e Raas agguantando una terza vittoria, per giunta consecutiva, dopo un periodo in altura. L’olandese, invece, che non è andato mai meglio del secondo posto della scorsa edizione, ai microfoni, prima della gara, quasi si è nascosto: poco importa che mi abbia portato sul ciglio della poltrona per un’ora durante la fase finale della Milano-Sanremo, ha detto di avere ancora bisogno di qualche altra gara su strada per trovare la sua forma migliore. Bisogna dire che non è che poi un podio sia fatto solo da due gradini e c’erano effettivamente altri nomi interessanti che mi incuriosivano: i due Visma | LAB, Matteo Jorgenson, vincitore della Parigi-Nizza, e Jan Tratnik, primo a tagliare il traguardo alla Omloop Het Nieuwsblad; Alberto Bettiol della EF EasyPost in una forma stellare a detta della primavera italiana: 1° alla Milano Torino, 5° alla Milano-Sanremo; Matej Mohorič della Bahrain-Victorious, con cui consiglierei di non competere in una gara di un giorno; Mads Pedersen della Lidl-Trek con la testa alla prima Monumento da vincere, ma le gambe comunque da allenare sul pavè belga e un compagno di squadra altrettanto interessante come Jasper Stuyven. Perché poi non sperare in Julian “Loulou” Alaphilippe o Gianni Moscon della Soudal Quick Step? Avrete capito che ci sono dei pro e contro nell’essere dei novellini in questo sport: ci si ferma spesso solo ai grandi nomi, leggendo le liste partenti, ma in compenso si ha grandissima fiducia nei miracoli.
Oramai ho metabolizzato il fatto che la parte iniziale di tante gare nel calendario devo provare ad immaginarla, affidandomi alle dirette testuali di altri. Nell’attesa che iniziasse la diretta, avevo due finestre aperte sullo schermo: il già citato ProCyclingStats e Sporza, con gentile supporto del traduttore automatico di Google Chrome, un’esperienza che merita di essere vissuta anche solo per leggere “i diversi pacchi vengono nuovamente pinzati insieme” quando un tentativo di fuga viene riassorbito dal gruppo. Non la potevo vedere, ma la gara intanto partiva e per nulla piano, perchè il tachimetro ha superato da subito i 60 km/h. Non stavano pedalando da molto quando è arrivata la notizia di una caduta: ero preparata al fatto che l’E3 mi avrebbe colpito per numero di abbandoni, ma appena è comparso il nome di Alberto Bettiol tra gli otto coinvolti avrei preferito sinceramente leggere altro. Speravo che fatto un Giro delle Fiandre se ne potesse fare un altro quest’anno e ci spero ancora. Ma se inizialmente è stato tra i fortunati che sono tornati in sella, anche lui si è dovuto ritirare a poco più di 70 chilometri dalla fine. Ha raccontato dopo la gara di avere un bell’ematoma sul fianco destro e di aver battuto la cresta iliaca: dovrà fare dei controlli e a noi non rimane che incrociare le dita. È andata peggio a Per Strand Hagenes della Visma Lease A Bike, che era partito al posto di un malaticcio Laporte, e Christophe Noppe della Cofidis, portati via in ambulanza.
A riaccendermi ci è riuscito, a 150 chilometri dalla fine, un bel gruppetto piuttosto giovane composto da Emil Herzog, Lorenzo Milesi e Jannik Steimle. Dal peloton, che aveva già più di 20 secondi di ritardo, si sono staccati anche Sander De Pestel, Remi Cavagna, Ivo Oliveira, Jonas Abrahamsen e Jelle Vermoote per andare a riprenderli. Habemus fugam! Ovviamente è arrivata a mettercisi di mezzo anche una leggera pioggia, mentre le strade hanno continuato a rimpicciolirsi: in gruppo non si stava in più di quattro per fila e bastava un minimo singhiozzo per far fermare e ripartire quelli dietro. Quando Moscon ha cominciato a mettersi a tirare come un forsennato, il gruppo ha cominciato ad assomigliare ad un puzzle: i ciclisti erano come pezzi buttati, senza una particolare forma, su un tavolo di asfalto e pavè in attesa di trovare il posto giusto per sognare in grande. Lo sarebbero sembrati ancora di più pochi attimi dopo, perché la maglia iridata aveva deciso di dare la prima accelerata della giornata sul Taaienberg. Mancavano 79,7 chilometri dalla fine e subito mi sono chiesta se non stesse pensando quasi di emulare Pogačar alle Strade Bianche. La differenza tra i due è stata che per Mathieu quella piccola fuga è durata il tempo di rendersi conto che non era il momento giusto, che rischiava di trasformarsi in uno spreco di energie magari utili più tardi. Sul Boigneberg, van der Poel, infatti, ci ha riprovato di nuovo, ma è stato sullo Stationberg che è riuscito a prendere più spazio, seppure con van Aert già subito alla sua ruota. Il gruppo di testa, che si era ben difeso inizialmente da quello che succedeva dietro, ha cessato di esistere. Ce n’era uno nuovo, all’interno del quale il belga e l’olandese continuavano a studiarsi.
È stato il Paterberg a decidere da che parte dovesse pendere questo scontro tra titani: van der Poel è partito, inconsapevole ancora che il quinto tentativo sarebbe stato quello decisivo. Per non lasciarlo andare via, infatti, van Aert ha rischiato ed è caduto. Desiderare troppo la vittoria delle volte è il modo migliore per perderla. Il belga comunque è riuscito a rialzarsi e tornare in sella, ma l’olandese nel frattempo ha preso lo spazio che stava cercando già da decine di chilometri. È diventata improvvisamente una caccia all’uomo: ogni metro, ogni chilometro era una chance per van Aert di rosicchiare secondi. Si è schiacciato sulla bici, ha aumentato la frequenza di pedalata, ha deciso di dare tutto per rimediare all’errore. Van der Poel, nel frattempo, fendeva gruppi di persone che un po’ lo applaudivano, un po’ lo fischiavano. Eravamo pur sempre in Belgio e la gente del luogo, tra cui anche un Eli Iserbyt in incognito, ma nemmeno troppo, preferiva incitare l’altro, non lui. Ogni tanto, girandosi, vedeva ancora van Aert. Data la velocità a cui stava andando il belga, chissà se ha cominciato ad immaginare di essere in una crono non tanto contro il tempo, ma contro l’alieno in maglia bianca davanti a sé. Sul Karnemelkbeekstraat si è infranto ogni sogno del predatore di riacciuffare la preda, scappata dalla sua morsa ancora viva: mentre sfrecciava davanti alla celebre macelleria Van de Walle, Van der Poel aveva ripreso i secondi persi e aumentato il distacco. Il belga aveva capito che era arrivato il momento di gettare la spugna, ancora una volta doveva accontentarsi di stare su un gradino più basso, ma quale? Perchè i giochi non erano ancora chiusi e dietro Jorgenson, Girmay, Narvaez, Stuyven e Wellens si avvicinavano pericolosamente a un van Aert sempre più sfinito. È stato il connazionale della Lidl-Trek, con una pedalata molto più fluida, a riprenderlo. Davanti, a poco più di un chilometro dalla fine, van der Poel si è girato verso l’ammiraglia e ha cominciato ad esultare, alzando un pugnetto in aria. Poi, a pochi metri dal traguardo, si è alzato sui pedali e ha salutato militarmente il pubblico belga, sé stesso e un’altra prestazione spettacolare. È stato lui il primo a tagliare il traguardo di Harelbeke, a sancire una nuova vittoria in una gara di un giorno dopo la SUPER 8 Classic dello scorso anno. Nemmeno Cancellara nel 2013 aveva pedalato da solo così tanto: lo svizzero li aveva staccati tutti a 35 chilometri dalla fine, van der Poel a 43,7. È stato il terzo campione del mondo a vincere l’E3, dopo Jan Raas (1980) e Tom Boonen (2006), il quinto olandese a portarne a casa la vittoria. Van Aert è arrivato quasi due minuti dopo e, a testa bassa, ha lasciato passare anche Stuyven a pochi metri dal traguardo.
Poco prima della premiazione è sembrato di vedere una scena più o meno già vista: nel dietro le quinte non volava una mosca tra Stuyven, van Aert e van der Poel, un po’ come non volava sul divanetto alla fine della scorsa edizione della Milano-Sanremo tra Ganna e i due soliti noti. L’olandese, in compenso, ha provato a inimicarsi ulteriormente il popolo belga, quando ha deciso di non bere nemmeno un sorso del bel bicchierone di birra, che, da tradizione, viene dato ai fortunati finiti sul podio. Neanche una goccia ne è stata comunque sprecata, per gentile concessione di Mathieu nei confronti di un piccolo gruppo di fan che si passava con felicità il liquido bottino. Subito dopo la gara, van Aert ha detto di essersi sentito benissimo, lo aveva capito dalla facilità con cui stava alla ruota dell’olandese. Tutto è stato perfetto fino alla caduta sul Paterberg, che in un secondo momento, a mente lucida, ha valutato come un errore decisamente stupido. Van der Poel è stato, invece, sorpreso da sé stesso, ha ammesso che un livello così alto in una classica non lo aveva mai raggiunto, l’unica cosa che gli si avvicinava forse era la gara dei Mondiali di Glasgow. In pochi hanno il privilegio di tirare fuori paragoni del genere e lui è sicuramente uno di questi.
Vi evito l’elenco di tutti quelli che quel traguardo non lo hanno tagliato: come immaginavo, è un numero spropositato a cui dovrò abituarmi in queste folli gare fiamminghe. In compenso, nella lista di quelli che ce l’hanno fatta, ho trovato un po’ di cose interessanti: per l’Italia c’è stato un bellissimo nono posto di Vincenzo Albanese, ma meritano una menzione anche Luca Mozzato (21esimo) e Matteo Trentin (23esimo); il quinto posto di Matteo Jorgenson aggiunge sostanza alla mia tesi che una volta diventati calabroni, si acquistano dei superpoteri in sella ad una bici; difficile, invece, non essere curiosi di scoprire di più su cosa ne sarà la stagione di Oier Lazkano dopo la bella prestazione all’E3, confermata anche da José de Cauwer di Sporza che lo ha definito un vero “Flandrien”; mentre è chiaro che la Lidl-Trek quest’anno ha decisamente il coltello tra i denti. Ovviamente non me ne vogliano gli altri corridori sopravvissuti, prometto di mettermi in pari con le moltitudini di storie che il peloton di quest’anno contiene. Mi è dispiaciuto, piuttosto, non essere riuscita a vedere le donne divertirsi in questa gara: ai primi di gennaio gli organizzatori dell’E3 hanno annunciato che non si sarebbe tenuta la sua versione femminile, ovvero la Leiedal Koerse. I motivi sono due: un po’ c’entra il calendario, che è diventato abbastanza pieno e ha messo in difficoltà le squadre, non in grado per struttura a coprire più corse contemporaneamente; un po’ c’entrano i soldi, perchè a quanto pare l’organizzazione non ha raccolto abbastanza dagli sponsor. I costi sono aumentati e ovviamente ad essere stata tagliata è la terza edizione della giovane classica femminile. In compenso, quando sono tornata a respirare di nuovo, dopo diversi chilometri e minuti in apnea, dopo classifiche e scrolling compulsivo, mi è sembrato di essere passata come i corridori attraverso la centrifuga del pavè fiammingo. Avevo i muscoli ammaccati dalla tensione, come se assieme a van Aert, alla base del Paterberg, fossi caduta anche io. Ho cercato di levarmi di dosso i tipici “se” e “ma” che la mia mente aveva cominciato a generare nel momento in cui avevo visto la ruota anteriore del belga sancire la fine di ogni speranza di una volata a due fino al traguardo. Sui social media erano tutti d’accordo: homo faber ipsius fortunae ancora una volta. Ma finchè c’è un uomo che cade, si rialza e continua a pedalare, il finale di una gara non è mai del tutto scritto. All’E3 Saxo Bank Classic di quest’anno è andata così, ma la Settimana Santa è appena iniziata. Santifichiamo le feste, santifichiamo i vincitori, santifichiamo gli sconfitti che non smettono mai di provarci.
10 nomi da seguire al Giro delle Fiandre
Pasqua, Natale, Ferragosto, compleanno, Capodanno, tutte le feste in un giorno solo: è il Giro delle Fiandre, la Ronde van Vlaanderen, la corsa delle corse. L’esame finale: chi vince qui, e non importa il come, ha qualcosa di speciale.
Muri, stradine, lunghi rettilinei improvvisi, volate per stare davanti, esplosione di watt, attacchi da lontano per anticipare e portare a casa il risultato. Bisogna avere gambe adatte alla salita, cuore e polmoni per il cambio di ritmo, si deve sapere pedalare leggeri ma decisi sulle pietre; bisogna guidare a oltranza per ore e ore. Non c'è nulla, a parte la Roubaix, che ti finisca e definisca più di questa corsa.
Il fascino del Belgio, poi, della gente per strada, è magnetico: per loro è una giornata di festa come solo la Roubaix - che a sentire loro è una corsa più belga che francese - sa esserlo.
E per questa grande festa di paese, che si trasforma in evento internazionale, abbiamo scelto dieci nomi, lasciando da parte il grande favorito, van der Poel e il principale rivale, Pedersen, tra i possibili candidati al successo, perché vogliamo tenere conto solo in parte delle contusioni subite dal danese nella caduta di mercoledì nella discesa prima di Kanarieberg alla Dwars door Vlaanderen, in un incidente che ha coinvolto, tra gli altri, van Aert - lui invece si è rotto clavicola, sterno e costole, mentre a noi si è spezzato il cuore. Sentirlo piangere, leggere il bollettino medico, sapere che salterà le corse per le quali ha sacrificato una buona parte di primavera ciclistica fa ancora male, ma va così. Sport meraviglioso, sport di merda e non smetteremo mai di dirlo.
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Dopo la breve, ma doverosa premessa: ecco i dieci nomi da seguire al Giro delle Fiandre 2024.
ALBERTO BETTIOL
Un Giro delle Fiandre lo ha già vinto, la forma sembra quella giusta, forse la migliore di sempre e facciamo finta che quel finale alla Dwars door Vlaanderen non sia mai esistito, oppure prendiamo come spunto solo una parte: l’attacco sul Nokereberg ha fatto paura, ha emozionato, ha ricordato proprio quella volta lì al Fiandre. Poi sono arrivati quei crampi che già lo avevano estromesso dalla lotta per il successo a Tokyo 2021, ma noi, per domenica, inguaribili ottimisti, ci crediamo lo stesso.
Partecipazioni: 7
Miglior risultato: 1° nel 2019
Nel 2023: -
MATTEO JORGENSON
Ancora prima di vincere la Dwars door Vlaanderen pochi giorni fa, ci impressionava per leggerezza sul pavé. Il suo essere così dinamico è una danza espressa con facilità muovendosi da un attacco all’altro. La potenza, il tempismo, con cui ha lanciato l’azione finale ha fatto capire una-sola-cosa-una: domenica al Giro delle Fiandre potrebbe essere il vero rivale di Mathieu van der Poel. Sarà capitano, quasi unico, di una squadra piombata nella crisi tra cadute e malanni, ma ciò non gli peserà, perché sta troppo bene.
Partecipazioni: 1
Miglior risultato: 9° nel 2023
Nel 2023: 9°
OIER LAZKANO
Tra assenze programmate oppure causate da cadute e malanni si liberano posti in alto e Oier Lazkano è uno di quelli che dentro al gotha dei flandriens ha tutta l'intenzione di entrarci dalla porta principale. Erede di quella che sembrava un eccezione alla regola, ovvero uno spagnolo nelle Fiandre, Lazkano incarna in modo perfetto ciò che è un flahute: ha tigna, passo, ha coraggio, gli piace giocare d’anticipo - e in queste corse paga - sembra cresciuto per guidare forte sulle pietre e domenica punta a un piazzamento nei dieci, anche se finora, nelle corse sopra i 230/250 km non ha raccolto alcunché.
Partecipazioni: 1
Miglior risultato: DNF nel 2023
FRED WRIGHT
Nascosto e in silenzio, Fred Wright si avvicina con una forma in netta crescita a quella che è un po’ la sua gara per definizione. Limando può recuperare chilometro dopo chilometro e poi cercare il piazzamento grazie allo spunto veloce. Le assenze che caratterizzeranno questo Fiandre un po’ monco permettono a lui, alla sua squadra e forse soprattutto al suo capitano Mohorič, di ambire a un posto sul podio.
Partecipazioni: 4
Miglior risultato: 7° nel 2022
Nel 2023: 8°
TOMS SKUJIŅŠ
Anche senza cadute e infortuni avrebbe scalato le gerarchie in casa Lidl-Trek in una corsa lunga e difficile come il Giro delle Fiandre. È una garanzia e dal 2023 più le corse sono dure e più sale di livello, guadagna posizioni. Sulle salite brevi va su che è una meraviglia, sui muri si difende, fermo non è fermo, si butta all’attacco: occhio perché potrebbe essere la sorpresa di questa corsa.
Partecipazioni: 3
Miglior risultato: 55° nel 2016
Nel 2023: -
STEFAN KÜNG
Storico stagionale nelle corse in Belgio che fa ben sperare. Storico al Fiandre e assenze al via che ci fanno dire come, sulla carta, Stefan Küng si candidi con autorevolezza a un posto sul podio. Certo, in qualunque situazione si trovi, dovrà arrivare da solo perché in volata parte battuto da tanti corridori, ma se c’è uno, fondista d'eccezione e questa è corsa per fondisti, che cercherà corsa dura e d’attacco, quello è lo svizzero. Di fianco avrà una squadra che lo potrà supportare in maniera degna, soprattutto Madouas, uno che a oggi non ha dato quei segnali tali da inserirlo fra i nomi da seguire, ma che non ci stupiremmo di vederlo salire di colpi proprio nel giorno di Pasqua.
Partecipazioni: 8
Miglior risultato: 5° nel 2022
Nel 2023: 6°
TIM WELLENS
Anche lui quando si tratta di fare risultato in corse sopra i 230/250 km ha sempre mostrato il fianco, se escludiamo qualche eccezione e in più con il Giro delle Fiandre ha un rapporto controverso conclusosi nel 2023 con una brutta caduta che gli costò mesi di gare. Però sta bene, sul passo va forte, sui muri si difende e l’UAE senza Pogačar punta su di lui - oltre che su Politt, Hirschi e Bjerg, ma in seconda battuta. Squadra a cui forse manca quel capitano capace di cogliere il risultato e quindi l’occasione per le seconde punte è davvero ghiotta.
Partecipazioni: 5
Miglior risultato: 25° nel 2021
Nel 2023: DNF
HUGO PAGE
È il nome più fuori dai radar di tutto l’elenco, ma è un corridore che sta andando davvero forte. Sarà all’esordio in una grande classica così lunga e dura, ma sulle pietre e sui muri ha già dimostrato di pedalare molto bene e questa potrebbe essere, insieme alla Roubaix (alla quale punta il compagno di squadra Rex, altro nome da tenere d’occhio), la corsa perfetta per lui in futuro. Ora, non fraintendete: il suo è un nome da vedere in prospettiva, un corridore che se dovesse chiudere nei 20 domenica sarebbe un risultato eccezionale. Ma a noi i risultati eccezionali di questo genere piacciono parecchio.
Partecipazioni: -
Miglior risultato: -
Nel 2023: -
BEN TURNER
Infine Ben Turner, per provare, insieme ai suoi due ancora più giovani compagni di squadra Tarling (2004) e Sheffield (2002), mentre Turner è un classe ‘99, a risollevare le sorti di una squadra, la Ineos Grenadiers, ancora a caccia del primo successo World Tour in questa stagione - dove per la verità le vittorie sono state soltanto due: il campionato nazionale ecuadoriano conquistato da Narvaez, altro assente di lusso di questo Fiandre e Tarling vincitore della crono al Gran Camino. Come da Page anche da Turner non ci aspettiamo la vittoria, nemmeno il podio, ma ci piacerebbe vedergli fare quello che gli riesce meglio, fare esplodere la corsa con un’azione delle sue e magari portare via un gruppetto di coraggiosi per anticipare i pretendenti al successo finale. Le gambe sembrano girare bene, ma non è detto che la Ineos la pensi alla nostra stessa maniera riguardo il suo ruolo.
Partecipazioni: 2
Miglior risultato: 35° nel 2022
Nel 2023: DNF
LA GRIGLIA DI ALVENTO
⭐⭐⭐⭐⭐Van der Poel
⭐⭐⭐⭐Jorgenson
⭐⭐⭐Pedersen M., Küng, Bettiol, Skuijns
⭐⭐Mohorič, Benoot, van Baarle, Wright, Lazkano
⭐ Matthews, Asgreen, Philipsen, Mozzato, Albanese, Madouas, Wellens, Politt, Bjerg, Abrahamsen, Tiller, Kristoff, Neilands, Strong, Turner, Sheffield, Rex L., Trentin, van Poppel D., Alaphilippe, Bissegger, Pithie, Campenaerts, Van Moer