Crazy Sport, Vittorio Veneto

Roberto Catto è sincero, spontaneo, probabilmente i suoi sessant'anni e tutte le esperienze vissute lo aiutano, così ce lo dice subito: «Non conosco una parola di inglese, non sto esagerando. Non ci capisco nulla. Mi pare, però, che "crazy" abbia un bel suono, armonico, delicato e un pizzico strano, fantasioso, veloce come una discesa e aspro come una salita, con dentro il sibilo del vento. L'ho scelto per questo, quando si è trattato di dare un nome, un'identità, a questo luogo e, alla fine, lo rispecchia perfettamente. Forse, con l'età, mi sarebbe piaciuto usare qualche termine dialettale e, magari, avessi dato vita a questa attività solo pochi anni fa, l'avrei chiamata "Sport Matt". Del resto, c'è della follia, buona si intende, in tutto questo». A Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, in via Menarè 164, si respira l'aria delle terre del Prosecco, delle sue colline, dove sfrecciano biciclette da corsa, gravel, mountain bike e dove le persone si fermano a respirare e ad osservare un panorama che è patrimonio dell'Unesco: le Dolomiti sono una cornice di neve in inverno e di frescura in estate, Venezia, le sue gondole, la sua laguna e la sua arte sono ad un passo. Fuori dalle mura tutto questo, dentro le mura tante biciclette, di ogni tipologia e sfumatura, di ogni grandezza e peso, adatte ad ogni disciplina e percorso. Dentro le mura anche una sottile incredulità: «Sono circa cinquant'anni che pedalo. Quante strade stanno in tutto questo tempo? Quanti piccoli pezzi di mondo esplorati? Credo tanti, tantissimi. Infatti la logica, la razionalità pura, dovrebbe portarmi ad avere esaurito quella voglia instancabile di disegnare un tragitto e partire all'avventura: invece no, ancora adesso io aspetto la domenica con lo stesso fervore e mi sveglio con la medesima gioia perché non vedo l'ora di arrivare in un'altra città, in un altro paese, stancarmi, sudare e prendere la via di casa con la convinzione che le strade nuove non finiscono».

Le vie di Gorgo al Monticano non sono così distanti da qui, ed è proprio da quelle parti, in un paese di confine, che è iniziato tutto per Roberto, un ragazzo cresciuto nell'officina di meccanica del padre, dove si occupava di automobili, pur sentendosi da sempre lontano da quel settore, un lavoro che «aveva a casa e, quando bisogna lavorare, ci si adatta e si fa tutto quel che serve, senza troppe storie: sono cresciuto con i miei genitori che mi dicevano così». Agli albori, nel primo negozio, circa 150 metri quadrati, c'erano non più di cinque biciclette e Catto non dormiva la notte, mettendo il piede giù dal letto al mattino con un un'unica affermazione, chiara, in mente: «Sono stufo. Ora vado là e chiudo tutto, non si può continuare così». Questa scena si ripete per più di mille giorni, circa tre anni, fino a che tutti gli ingranaggi del nuovo mestiere sembrano iniziare a girare: non è più solo una passione mista all'intraprendenza di un ragazzo che aveva fatto un salto nel buio, «quella che riempie le giornate, che non ti fa mai chiudere, anche se, a conti fatti, dovresti, perché, nonostante le tante ore, non porti a casa abbastanza denaro e con la sola passione non si mangia», è diventato un lavoro. Sei anni, tondi tondi, in quei locali, fino a che un amico d'infanzia e di biciclette gli chiede se vuole mettersi in società con lui perché c'è un'opportunità da non perdere, per migliorare, per crescere. Stiamo parlando della seconda sede di Crazy Sport, a non più di cento metri da quella attuale, diventata sede circa quattordici anni fa, di trecento metri quadrati, dove, passo passo, sveliamo questa storia. I nostri piedi sono ben piantati a terra, ma la mente segue traiettorie insondabili, disegnate da Roberto che, all'improvviso, dal nulla, ci porta in Mongolia, in un ricordo di sedici anni fa, ancora nitido come il primo giorno.

«Eravamo in uno spiazzo, con mia moglie, stavamo per posizionare la nostra tenda. All'improvviso abbiamo visto arrivare una donna, a cavallo, con il figlio, un bambino, fra le sue braccia. Ci si scambiano aiuti, ognuno fa quello che può, con quello che ha, poi, mi viene in mente di chiedere a quella signora se mi permette di fare una foto-ricordo assieme a lei. Ho cercato di farmi capire, in qualche modo: ha preso ed è andata via, senza darmi la possibilità di aggiungere altro. Sai, sono culture talmente diverse che ho pensato di averla offesa con quella richiesta, di essere stato inopportuno, insomma, fino a che, mezz'ora dopo, è tornata con nuovi abiti, quelli della festa, per concedermi la fotografia che le avevo domandato. Ho i brividi a ripensarci, è stato troppo bello. Senza la bicicletta sarei mai arrivato a scoprire questa forma di accoglienza e disponibilità? Non lo saprò mai, ma credo di no». Se quel viaggio è stato possibile e quella serranda viene alzata tutte le mattine, dopo tanti anni, il merito è certamente di Roberto ma anche di tanti gesti, all'apparenza minuscoli, scontati, che tutto sono tranne che ovvi o piccoli per chi intraprende un nuovo lavoro assumendosi rischi e responsabilità. In tutte le mattine in cui Catto pensava di chiudere c'era, infatti, sua moglie a dirgli che avrebbe dovuto continuare perché le cose sarebbero cambiate e una soluzione l'avrebbero trovata insieme: «Lei vedeva questo entusiasmo bambino a cui non riusciva a dire nient'altro se non un incoraggiamento, uno sprone. La propria passione può far bene anche ad altri, io ne ho quotidianamente le prove». Roberto Catto si riferisce a tutte le volte in cui, per strada, magari ad un semaforo, scorge qualche conoscente in sella, lo guarda e si ricorda delle prime volte in cui lo vedeva passare dal negozio: «Qualcuno non conosceva per nulla la bicicletta: si sedeva attorno alle due botti che abbiamo e che sono il centro, il punto di incontro del negozio, e stava ad ascoltare, talvolta interveniva con poche e semplici domande. Giorno dopo giorno, di settimana in mese e di mese in anno hanno acquistato una bicicletta, hanno provato, si sono divertiti e adesso almeno una parte della loro giornata ha a che fare con le ruote, i pedali ed il vento: fosse per andare al lavoro, a scuola o a fare una gita, appena l'aria si scalda, talvolta anche sotto la pioggia d'autunno. Sprigionare entusiasmo è salutare».

Crazy Sport esiste da ventitré anni, un tempo sufficiente perché molte cose cambino. Alla fine degli anni novanta ed agli inizi del 2000, racconta Catto, che era più facile fare gruppo, trovarsi e partire per una vacanza in bici, magari in venti o più persone, ora sono gli eventi a radunare grandi numeri, forse, spiega, è cresciuta l'attenzione alla bici come mezzo, a livello tecnico e meccanico e si è un poco modificato quel genuino stare insieme nato dal caso, a costo di stare stretti in un piccolo appartamento. La bicicletta, invece, non è cambiata, semmai ha aggiunto specializzazioni e forme di interpretazione: dieci anni fa, ci si chiedeva cos'altro si sarebbe potuto inventare, incrementare, oggi si ha la tentazione di farsi la stessa domanda e la certezza che le novità saranno ancora tante, alcune nemmeno immaginabili. Roberto ha voluto sperimentare tutte le varietà di bicicletta e ciascuna ha contribuito a renderlo quel che è oggi, ad arricchirlo di sensazioni ed emozioni che può raccontare ai più giovani che, entrando, lo salutano semplicemente con un "ciao" e lui ne è felice: «La bicicletta da strada ti porta allo Stelvio, ai tornanti, ad imitare i grandi campioni, il gravel per me è essenzialmente viaggio ed esplorazione, è sempre esistito, in fondo, anche quando non se ne parlava così tanto, forse, come una visione, un'idea di pochi, la mountain bike coniuga tutto questo con l'adrenalina, mentre il downhill è soprattutto adrenalina allo stato puro e la bicicletta elettrica la possibilità di un piatto di pasta, un bicchiere di vino e via, ancora in salita, fino in cima».

Il tempo è passato anche su Roberto Catto, non solo perché sono aumentati i chilometri che ha percorso in bicicletta, ma perché è diverso anche il suo approccio con chi arriva da Crazy Sport: «I primi giorni avrei voluto non essere io il negoziante, ricordo che balbettavo appena arrivava qualcuno, ero sempre preoccupato, non mi sentivo all'altezza. Di fatto, è solo questione di esperienza: oggi so riconoscere la tipologia di cliente che mi trovo davanti, capisco se è una persona appassionata di viaggi, oppure di tecnica e meccanica. Per ognuno è differente il discorso che si può fare e la profondità a cui è possibile arrivare. Le persone sono differenti ed è la bellezza di questo mestiere». Alla fine, tutto ritorna all'essere umano, al fatto che siano proprio gli esseri umani ad essere misura di quel che accade, sin da quando, da giovanissimi, mettono piede in negozio e scelgono il «loro primo vero mezzo, un passo decisivo, perché a quel punto vivranno la strada e se saremo riusciti a mettere in loro il seme del rispetto reciproco e della condivisione sarà tutto più facile».

Già dal martedì, al tavolo del negozio, Roberto progetta la pedalata che farà la domenica successiva: è un rito, un'abitudine per continuare a godersi la bici anche nel tempo libero, per non ingabbiarla, per lasciarla libera come è sempre stata e come deve essere. In mente ha una data, il 10 marzo 2031, quando Crazy Sport compirà trent'anni e lui, pensione o meno, lascerà la gestione del negozio a suo nipote che guardandolo ha preso la sua stessa passione e da tempo collabora, portando una ventata di gioventù e novità. Roberto passerà nel locale tra un giro in bici ed un altro, tra una gita in camper ed un'altra, si fermerà a chiacchierare, vicino alle botti attorno a cui si vede il Giro d'Italia, il Tour de France o le Classiche. Al nipote ha già fatto due raccomandazioni: «Prova tutte le biciclette che puoi, non lasciartene sfuggire alcuna e apri la tua mente il più possibile, come i vasti spazi che si vedono in sella: il futuro arriverà solo così». E più di questo davvero non si può dire, sulla strada delle colline del Prosecco, con le Dolomiti vicine e Venezia non lontana.


Nuovo Codice della strada: alvento ne parla con...

La riforma del Codice della Strada approntata dal governo, approvata alla Camera dei deputati ed in arrivo al Senato della Repubblica, è al centro del commento degli esperti, delle associazioni dedicate e dell'opinione pubblica. Alvento, attraverso questo ciclo di interviste, si propone di passare in rassegna le diverse voci in merito, analizzando il testo ed individuando, criticamente, punti di forza e punti di debolezza, provando, inoltre, ove possibile, a suggerire valide alternative, argomentate basandosi sui dati ufficiali disponibili a riguardo. Il primo professionista con cui ci siamo confrontati è Roberto Peia, dell'associazione "Città delle persone".
L'appunto iniziale di Peia riguarda proprio quei dati che abbiamo citato all'inizio come base necessaria intorno a cui sviluppare riflessioni sensate di qualunque tipo, sul Codice della Strada come su qualunque altra tematica: «Il dramma è che, purtroppo, il cittadino italiano medio sembra incapace di leggere i numeri delle relazioni ufficiali. Provo a snocciolarne alcuni: il 73% degli incidenti con cause gravi, tra cui la mortalità, avviene su strade urbane e le principali cause di decesso sono la velocità, la distrazione, il mancato rispetto della precedenza ed il non rispetto, ad esempio, delle strisce pedonali. Sempre i dati-prosegue Peia- mettono in risalto come, al calare della velocità, calano in maniera brusca le conseguenze dell'incidentalità: un impatto a cinquanta all'ora è completamente differente da uno a settanta o da uno a trenta. Su questo non vi sono e non possono esservi dubbi, sono numeri, sono certezze, è scienza». Tuttavia il Codice della Strada a cui si sta lavorando, purtroppo, segue un'altra direttiva che va in direzione diametralmente opposta.
«Ostacola i comuni nella creazione di zone ZTL, ostacola, allo stesso modo, la riduzione della velocità, limitando l'uso di autovelox e riducendo le multe dovute all'alta velocità e all'accesso abusivo a zone a traffico limitato o ad aree pedonali; mentre, in precedenza, la sanzione era corrispondente ad ogni accesso effettuato, con la riforma sarà multato solo un accesso ogni giorno. Inoltre si delega al governo la possibilità di innalzare i limiti di velocità in alcune zone, accentrando ogni aspetto al ministero». Questa sorta di reticenza nell'intervenire sull'elemento velocità, Roberto Peia la commenta facendo riferimento a decenni di campagne pubblicitarie costruite su un martellamento e condizionamento costante legato al piacere della velocità, ai motori ed ai cavalli, un bombardamento che ha plasmato intere generazioni, puntando alla "pancia" degli utenti della strada, facendo leva sulla rimozione di limiti e regole- così anche chi "trancia" autovelox ha il suo momento di gloria- più che alla loro razionalità e a una corretta cultura e conoscenza. «Non voglio essere frainteso: l'elemento velocità affascina l'essere umano, anche in bicicletta si ricerca la velocità e si prova un sottile piacere nel raggiungerla. Non lo nego. Il punto è che, essendo la strada luogo di condivisione, la velocità rischia di ledere altri utenti e, se un tuo "divertimento" mette a repentaglio la vita di altre persone, hai il dovere di fermarti, di ragionare. Le nostre città, poi, a questo sommano il problema di non essere pensate a misura di persona o di bicicletta».
Diversi sono gli esempi di grandi metropoli che hanno compreso la necessità di cambiare negli ultimi anni: dalla vera e propria rivoluzione in tema attuata a Parigi, a Londra, sino a Valencia dove si è arrivati a deviare il corso di un fiume per seguire questo ragionamento.
Differente è la realtà italiana, ancora arretrata sotto questo punto di vista: «Una ricerca basata sulla Spagna sottolineava l'opportunità, anzi, la necessità di aumentare le "zone 30" in corrispondenza di luoghi che abbiano una realtà architettonica e monumentale importante, al fine di garantire sicurezza e ridurre il traffico. Sappiamo tutti che, se aumentano i ciclisti, si riduce il traffico, che pedalare migliora la salute, riduce le spese sanitarie. Sì, lo sappiamo, ma non lo applichiamo». Il nuovo Codice della Strada agisce bloccando, spesso, la possibilità di nuove corsie ciclabili e di strade ciclabili, interviene sui doppi sensi e impone la targa e l'utilizzo del casco per i ciclisti. «Purtroppo non si trova ascolto, sia a livello di ministero che di comuni, quindi di realtà che dovrebbero essere più vicine ai cittadini. Cito l'esempio della statua che abbiamo dedicato, poco tempo fa, ai "ciclisti urbani pazienti" a Piazza Lugano, a Milano, al fine di omaggiare la resistenza dei ciclisti. La storia inizia cinque anni fa, quando, attraverso il bilancio partecipato del Comune, i cittadini avevano chiesto la realizzazione di una ciclabile su questo tratto di strada, verso il Ponte della Ghisolfa, molto trafficato, dove gli automobilisti raggiungono alte velocità. Il bando è stato vinto, ma, da quel momento, non è stata realizzata alcuna ciclabile e non abbiamo più avuto notizie a riguardo. Alcuni cittadini l'avevano tracciata di notte: rimossa completamente. Si tratta di un vero e proprio muro di gomma, spesso basato su convenienze elettorali». Le automobili, nel frattempo, aumentano le loro dimensioni, tendono, spesso, a rappresentare uno status sociale, allora "avere un SUV fa belli" e, celandosi dietro questa apparenza, si fa spazio la credenza di avere più diritti degli altri utenti della strada. «Il SUV, attraverso la sua dimensione, restituisce la sensazione, errata, di essere maggiormente protetti: non è così. Non solo: il milanese medio, in questo periodo, è molto infastidito dalla problematica delle buche sulla strada, causa di disagio. Bene, le ricerche dimostrano come l'aumentare del peso delle automobili accresce a propria volta la problematica. Forse sarebbe opportuno tenerle in considerazione». Rispetto alla tematica dell'obbligo del casco, la posizione di Peia analizza due versanti: da un lato l'aspetto personale, lui utilizza il casco anche in città ed è convinto della sua assoluta utilità, per quanto concerne la sicurezza personale, dall'altro un'analisi ad ampio raggio. «L'aumento della sicurezza passa per l'aumento della massa critica che pedala ed è testato, purtroppo, che l'obbligo del casco riduce l'utilizzo della bicicletta, assieme ai furti delle bici. Le scuse messe in campo per non utilizzarlo sono assurde e ridicole? Certo, non ho dubbi, ma resta un fatto e con i fatti bisogna fare i conti. In nessun paese il casco è obbligatorio per i ciclisti ed i paesi in cui lo era hanno fatto retromarcia sul tema». La non considerazione dei fatti, talvolta, è legata ad un'errata credenza, protratta nel tempo a cui si continua a dare voce: l'idea che chi utilizza la bici non sia "produttivo", ovvero che con la bicicletta non ci si rechi al lavoro, che sia solamente un mezzo di svago: «Purtroppo è una voce insistente. A prescindere dal fatto che, anche fosse così, sarebbe comunque giusta un'adeguata tutela degli utenti più fragili, la realtà è ben diversa. Molte persone si recano al lavoro in bicicletta e altrettante lavorano attraverso la bicicletta: penso ai rider ed ai bike messenger, penso al bike to work che dovrebbe essere agevolato, invece non viene valorizzato».

Nella riforma del Codice della Strada si parla anche di metro e mezzo per il sorpasso ad un ciclista, ma solo ove la strada lo permetta, "una decisione non migliorativa per l'ampio pubblico di pedalatori", ci sono norme più stringenti per chi usa il cellulare alla guida, "valide per chi ha meno di 21 punti sulla patente", e norme che vanno ad incidere su chi si mette alla guida con un elevato tasso alcolemico oppure avendo fatto uso di sostanze stupefacenti: «Si tratta di misure condivisibili che, però, agiscono sempre dal lato punitivo e non educativo, invece deve essere la cultura la via per cambiare le cose. Spesso ci rechiamo nelle scuole a parlare di sicurezza ed i giovani percepiscono perfettamente l'importanza di ciò che si dice, ascoltano attenti. Sono i genitori, talvolta, a non comprendere: a protestare per delimitatori di velocità o chicane davanti alle scuole per limitare la velocità. Provvedimenti diretti a tutelare i loro stessi figli».
Qui Peia riflette qualche istante, poi porta un esempio personale che lancia una luce diversa sulla tematica: «Ho tre figli: due intorno ai trentacinque anni, uno intorno ai venticinque. Mentre i primi, allo scoccare della maggiore età, hanno subito ricercato la patente e quindi l'auto, il terzo no, il terzo ha aspettato sei anni. Forse non nelle leggi, ma nella mentalità delle persone qualcosa sta davvero cambiando».

Foto in apertura: Tornanti/CC


Pagelle sulle pietre

Purtroppo, la stagione delle pietre è finita. Parte da lontano, ma dura così poco, si arriva in piena primavera con i corridori che si leccano le tante ferite, alzano trofei, si chiedono cos’è andato, cosa non è andato. La Freccia del Brabante, si è corsa questo mercoledì, fa da legame tra il Nord franco-fiammingo, che ti scombussola a suon di vibrazioni sulle pietre, e il trittico delle vicine Ardenne (Amstel, Freccia Vallone e Liegi), dove le gambe si inacidiscono a furia di su e giù.

A qualcuno è rimasto l’amaro in bocca per quello che è successo dall’opening week end di fine febbraio fino a domenica scorsa, altri hanno ottenuto ciò che cercavano: non solo vittorie o piazzamenti, ma anche sensazioni da cui trarre spunti, fatto esperienza utile per il futuro.

Visto che è finita, proviamo un po’ a tirare le somme dando i voti ai corridori protagonisti o meno delle corse del Nord. Vi avvertiamo: sarà un lungo elenco…

VAN DER POEL 10 Nessun dubbio, didascalia asciutta. Bastano le vittorie ad Harelbeke (E3), Fiandre e Roubaix, con tanto di maglia di campione del mondo. La doppietta con l’iride addosso, nelle due classiche regine del Nord, è riuscita soltanto a Van Looy prima di lui, Van Looy che nel ‘62 vinse pure la Gent-Wevelgem, van der Poel ci ha messo vicino l’E3. Voto 10 anche all'Alpecin-Deceuninck.

POLITT 9 Costante, ma non vincente, poco importa. All’UAE Team Emirates pareva, almeno sulla carta, mancasse un capitano forte e invece lo hanno trovato. Il tedesco chiude la Campagna del Nord così: 2° alla Omloop het Nieuwsblad, 3° al Giro delle Fiandre, 4° alla Parigi-Roubaix, 7° all’E3, 12° alla Dwars door Vlaanderen. Francamente chiedergli di più appare impossibile.

PEDERSEN 8 Ormai il suo modus lo conosciamo: attaccare, attaccare, attaccare. Indurire la corsa da lontano, cercare lo scontro frontale con gli altri capitani. Alla Gent-Wevelgem, vittoriosa, gli è riuscito benissimo: ha finito per cuocere, con l’aiuto di un grande gioco di squadra, van der Poel, battendolo in volata. Poi il più drammatico dei colpi di scena: la caduta alla Dwars door Vlaanderen gli toglie brillantezza, ma lui se ne frega e di nuovo va all’attacco pochi giorni dopo senza un vero e proprio criterio al Giro delle Fiandre e ci prova ancora alla Parigi-Roubaix. In Belgio salta per aria, in Francia ottiene un grande podio.

MOZZATO 8 Il podio al Giro delle Fiandre potrà anche essere, da qui a fine carriera, il suo risultato più significativo, chissà. Non importa, ci penseremo, ne vada orgoglioso: come il Gatto qual è in gruppo si muove benissimo e quando la corsa si fa dura, tra ventagli, freddo, muri, capacità estrema di limare, è sempre davanti. A impreziosire la sua primavera anche il successo alla Bredene-Koksijde e altri piazzamenti in diverse semiclassiche del Nord.

Paris Roubaix 2024 - Gianni Vermeersch - Laurence Pithie - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2024

G. VERMEERSCH 8 Tra Roubaix e Fiandre, insieme a Dillier e Riesebeek (per loro voto 7,5), il suo apporto è stato fondamentale per la causa chiamata van der Poel. In Belgio, a lungo in fuga, ha curato la ruota di Pedersen senza dargli un cambio, in Francia ha attaccato, ha marcato, ha accelerato disintegrando il gruppo e dando il via all’azione decisiva del suo capitano. Non contento va in crescendo nel finale, chiudendo al 6° posto la corsa che più gli si addice nel calendario su strada.

JORGENSON 7,5 Ha stravinto la Dwars door Vlaanderen “approfittando” della maxi caduta che è stata un po’ la svolta improvvisa della stagione delle classiche. È stato protagonista alla Omloop Het Nieuwsblad a inizio stagione, ha chiuso 5° all'E3 anche lì mostrando una gamba eccellente sui muri e sul passo. Poi è mancato un po’ a sorpresa al Giro delle Fiandre, pagando nel finale una corsa resa dura dagli attacchi a lunga gittata e dal meteo, lui che da sempre è a suo agio in questo tipo di situazioni in cui conta fondo e pelle dura.

J. PHILIPSEN 7,5 Un podio alla Parigi-Roubaix che replica quello dello scorso anno, la vittoria alla De Panne, il 4° posto alla Gent-Wevelgem, il 15° alla Dwars door Vlaanderen. Niente male per il velocista più forte delle ultime tre stagioni.

VAN AERT 7 Cosa dire? Vince la Kuurne-Bruxelles-Kuurne dopo essere arrivato 3° il giorno prima alla Omloop Het Nieuwsblad. Chiude 3°, stanco, battuto, ma carico per le prossime corse, all’E3, poi si fa male alla Dwars door Vlaanderen e con quell’incidente si frantumano ancora una volta i sogni di primeggiare nelle due classiche regine del calendario primaverile. La svolta che sta prendendo la sua carriera ci spezza il cuore.

PITHIE 7 Rivelazione ad altissimi livelli di questa primavera. Gli è sempre mancato qualcosa nei finali di gara, ma il 2002 neozelandese è indubbiamente il volto nuovo che mancava nelle sfide sulle pietre del Nord. Alla Parigi-Roubaix cade quando è in lotta per il podio, sbatte la spalla ma non molla mai e chiude 7°. È protagonista alla Kuurne-Brussel-Kuurne e alla Gent-Wevelgem. L’anno prossimo ci riproverà con la maglia della BORA?

Ronde van Vlaanderen 2024 - Antonio Morgado - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2024

MORGADO 7 Da un 2002 a un 2004. Se Pithie tra i giovani è quello che dà più continuità non tanto ai risultati quanto al modo di correre, sempre all’attacco marcando i migliori, lui è il più forte tra i neoprofessionisti. Al Fiandre chiude addirittura 5° e pensate che, a sentire lui - che per carattere ci va a nozze con certe dichiarazioni, fateci l’abitudine - nemmeno gli piace correre su quelle strade.

T. VAN DIJKE 7 Dopo un paio di anni a fare il gregario, nel senso più puro del significato, sfrutta alla grande l’occasione. In Visma si contano i feriti e le assenze e lui arriva 30° al Giro delle Fiandre - meglio di lui solo Benoot, tra i compagni di squadra - e 8° alla Parigi-Roubaix, indubbiamente il miglior risultato finora in carriera. Risultato che poi diventa un 16° posto a causa del declassamento voluto dalla giuria, ma non importa. Le gambe, come aveva dimostrato nelle categorie giovanili e nel ciclocross, ci sono, così come il piglio e le credenziali per chiedere più spazio in futuro.

ABRAHAMSEN 7 A suon di fughe, il cubico corridore norvegese si sta ritagliando un posto che conta all’interno del gruppo. Rivelatosi lo scorso anno nella diciottesima tappa del Tour chiusa al 3° posto, dopo una lunghissima fuga, allo stesso modo chiude al 12° posto l’E3 e al 2° la Dwars door Vlaanderen. Niente male anche ciò che raccoglie alla Gent-Wevelgem, 20°, al Giro delle Fiandre 32° e alla Parigi-Roubaix, 27°. Dalla Uno-X ci si aspettava Tiller, Waerenskjold, Kristoff, persino il giovanissimo Fredheim, arriva, invece, lui.

TRATNIK 7 Vince la prima gara sulle pietre dell’anno, la Omloop Het Nieuwsblad e da lì sembra iniziare il periodo magico per i gialloneri olandesi. Invece, arrivano malanni e brutte cadute che non risparmiano nemmeno lo sloveno. Lo rivedremo al Giro a fare il trattore, ma è stato un peccato non poter godere delle sue trenate al Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix.

Scheldeprijs 2024 - Tim Merlier - Foto Jan De Meuleneir/PN/SprintCyclingAgency©2024

MERLIER 7 Le due vittorie alla Nokere-Koerse e allo Scheldeprijs e il 2° alla De Panne salvano la disastrosa Campagna del Nord della Quick Step. Bene anche alla Gent-Wevelgem, 8°, mentre alla Roubaix, dove punta a una top ten, rimane coinvolto nella maxi caduta a inizio corsa e dopo un altro mezzo incidente sul pavé alza bandiera bianca.

WELLENS 7 A quasi 33 anni, Wellens ottiene quella continuità di risultati mancata fino a oggi. Sbaglia poco: chiude 2° la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, 4° l’E3, 12° il Giro delle Fiandre e la Omloop Het Nieuwsblad; è 15° alla Parigi-Roubaix che lo vedeva al suo esordio assoluto. Vogliamo trovare un difetto alla sua campagna del Nord? Gli è mancato il successo.

TEUNS 6,5 Ha sempre difettato in continuità, un vero peccato. Corridore capace di andare forte senza distinzioni tra gare fiamminghe e ardennesi. Con Bettiol accarezza il sogno del podio al Giro delle Fiandre, ripreso sulla linea d’arrivo chiude 8°. Cattivo cliente per tutti tra Amstel, Freccia Vallone (soprattutto) e Liegi.

MILAN 6,5 Alti e bassi, ma su di lui ci si può contare. Chiude con il terzo ritiro su tre alla Roubaix, dopo una caduta, lavora molto per la squadra soprattutto alla Gent-Wevelgem dove va in fuga e alla fine sarà 5°. Ottimo anche il 7° posto in rimonta alla Dwars door Vlaanderen. Dopo Pithie e Morgado è il terzo corridore più giovane a ottenere i miglior risultati nelle corse del Nord in questo 2024 (bravi, a proposito di giovani, anche Mikhels, classe 2003 e Waerenskjold, altro 2000, entrambi nei dieci alla Roubaix.)

STEIMLE 6,5 Tutte le corse di un giorno disputate tra Francia e Belgio in questi mesi sono state vinte da squadre del World Tour. Fanno eccezione due .1 in Belgio (Gp Criquelion e Gp Monseré conquistate da Segaert, 6,5 anche per lui, corridore che in carriera si toglierà grandi soddisfazioni nelle gare di un giorno, e da van de Paar, entrambi corridori della Lotto Dstny) e una .pro in Francia, il Gp Denain, “la mini Roubaix", vinta da Jannik Steimle, ex corridore della Quick Step, protagonista della fuga del giorno. Il 28enne tedesco regala così alla Q36.5 la prima e finora unica vittoria stagionale e la più prestigiosa dalla sua nascita lo scorso anno. Chissà che penseranno nella sua vecchia squadra.

Paris-Roubaix 2024 - Jordi Meeus - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2024

MEEUS 6,5 Dopo la (sorprendente) tappa vinta al Tour dello scorso anno a Parigi, che resta anche la sua unica vittoria nel WT, lo si aspettava competitivo al Nord è vero, ma non così: podio alla Gent-Wevelgem, 8° alla Parigi-Roubaix e 12° alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne sono risultati di grande prestigio. Il quasi 26enne più vecchio del gruppo (non sembra un classe ‘98 a vederlo) è entrato in una nuova dimensione.

BETTIOL 6 Anche stavolta è mancato davvero poco: al Giro delle Fiandre arriva a centinaia di metri dal podio, alla Dwars door Vlaanderen propone uno scatto devastante salvo poi fermarsi per i crampi. La Parigi-Roubaix, la prima Parigi-Roubaix in carriera, dura troppo poco per poterla valutare, ma da questa primavera esce fuori un Bettiol ritrovato, diverso, maturo.

KÜNG 6 Se ne facessimo una questione di continuità, lo svizzero della Groupama-FDJ avrebbe pochi rivali, il 5° posto alla Parigi-Roubaix è di prestigio, buono il 3° posto alla Dwars door Vlaanderen. Certo è che gli manca sempre qualcosa per vincere e chissà, forse gli mancherà fino alla fine della carriera.

TARLING 6 A proposito di giovanissimi, il 2004 britannico ha tirato fuori una quattro giorni di grande livello tra Dwars door Vlaanderen (6°) e Fiandre (17°) che dimostra come lui, su queste strade, tornerà per vincere. Peccato per la squalifica (scia prolungata) alla Parigi-Roubaix, dove, dopo la caduta iniziale, sembrava prendere forma, chilometro dopo chilometro, una gara da prime venti posizioni.

MALECKI 6 Il polacco della Q36.5 è ancora alla ricerca della prima vittoria tra i professionisti, ma è anche una delle rivelazioni delle due grandi regine della classiche. Quasi dal nulla chiude 14° il Giro delle Fiandre e poi 18° la Parigi-Roubaix, quest’ultima dopo essere entrato nella fuga del mattino, strategia che paga sempre in una corsa peculiare come quella francese.

E3 Saxo Classic 2023 - Valentin Madouas - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

MADOUAS 5 Forse anche troppo teneri con il campione di Francia. Qualche avvisaglia di una condizione non eccelsa, forse anche amplificata dalla caduta all’Algarve, si era avuta dalle prime corse dell’anno: non il solito Madouas. Il 16° posto finale al Giro delle Fiandre, dopo aver preso tutti i muri in coda e aver inseguito sempre nei momenti decisivi, non può essere considerato un risultato positivo per uno che sul podio in quella corsa c’era pure salito. Ora ha le Ardenne per rifarsi.

TURNER 5 Ogni anno lo aspettiamo e anche quest’anno lo rivedremo il prossimo. Stavolta non ci sono cadute a frenarne l’evoluzione, semmai tattiche di gare che forse non ne valorizzano il talento. Il 16° posto alla Dwars door Vlaanderen è il miglior risultato della sua Campagna del Nord - Tarling e Sheffield (voto 7 all’americano che ottiene uno splendido 6° posto al Fiandre) fanno meglio di lui - ma non basta, anche se l’età è decisamente dalla sua. Siccome ci piace un sacco come corridore, lo aspettiamo di nuovo l’anno prossimo.

WRIGHT 5 La sua corsa è il Giro delle Fiandre, lui che forse è il più fiammingo tra i britannici, ma non lo vedi mai e chiude solo 50° nonostante un ottimo avvicinamento - 20° all’E3, 21° alla Gent-Wevelgem e alla Kuurne-Brussel-Kuurne, 22° alla Dwars door Vlaanderen. Stupisce, invece, alla Parigi-Roubaix, con un 12° posto di grande prestigio ottenuto nel gruppetto che si è giocato l’8° posto.

LAZKANO 4 Uno dei corridori più simpatici del gruppo non sembra essere migliorato di molto rispetto alla stagione in cui si rivelò anche a un pubblico più vasto quando chiuse sul podio, dopo essere stato in fuga tutto il giorno, la Dwars door Vlaanderen. Quest’anno sul podio in una corsa del Nord ci va di nuovo, 3° alla Kuurne-Brussel-Kuurne, ma il 73° al Giro delle Fiandre e poi il ritiro alla Parigi-Roubaix non rispecchiano le tante aspettative su di lui.

KRISTOFF 4 L’età avanza e anche se sei Kristoff non puoi sfuggire all’ineluttabilità del tempo. A quasi 37 anni arriva una delle sue peggiori campagne del Nord dove i migliori risultati sono stati il 14° posto alla Omloop Het Nieuwsblad ad aprire e il 21° alla Roubaix a chiudere. Fine della sua epoca?

Paris Roubaix 2024 - Training - Foto Jan De Meuleneir/PN/SprintCyclingAgency©2024

LAMPAERT, ALAPHILIPPE, MOSCON, ASGREEN 3 A proposito di fine di un’epoca: Quick Step e Lefevere al nord. Alaphilippe si vede in un paio di scatti senza alcuna velleità alla Dwars door Vlaanderen dove coglierà il miglior risultato della sua campagna del Nord, 26°. Asgreen va in fuga alla Parigi-Roubaix ed è il primo a staccarsi tra quelli della fuga, una volta ripresi. Miglior risultato per lui: 47° al Giro delle Fiandre. Moscon rimedia ritiri, sorte simile per Casper Pedersen. Il migliore, escluso Merlier, alla fine sarà Lampaert: 18° al Giro delle Fiandre, 36° alla Parigi-Roubaix.

HIRSCHI 2 Oggetto del mistero, sembra quasi indolente per il suo modo di farsi da parte nelle fasi calde della corsa, quando si fa spesso e volentieri sorprendere in coda al gruppo., Anni luce dal bel corridore ammirato appena nei primi anni da professionista, ci viene il dubbio che corra quasi da separato in casa.

DE LIE 1 L’origine dei suoi mali sembra essere stata svelata: le sue cattive prestazioni potrebbero essere legate alla puntura di una zecca. Il problema è che su De Lie già a inizio stagione c’erano dubbi: in Belgio parlavano di allenamenti sbagliati (troppo intensi?) ancora prima che imboccasse quel breve tunnel che lo ha portato a ottenere risultati non altezza di qualità e fama. Eppure, con il decimo posto alla Omloop Het Nieuwsblad sembrava tutto iniziare per il verso giusto, ma i risultati in fila tra Gp Denain (4°), Bredene-Koksijde 5° e poi le contro prestazioni all’E3 (51°) e alla Gent-Wevelgem (90°) alla squadra hanno fatto prendere la decisione saggia di fermarlo, a noi hanno fatto pensare che al momento, appena si alza il livello, De Lie non riesce a tenere le ruote di mezzo gruppo. Ma ha 21 anni, classe, talento, quindi lo rivedremo alla grande.

REX, MOHORIC, LAPORTE, STUYVEN, NARVAEZ, GIRMAY SV Infortuni, cadute, malanni hanno tolto di mezzo in momenti e gare diverse tutta questa serie di possibili protagonisti, alcuni di loro si sarebbero probabilmente giocati qualche vittoria o piazzamento di peso in più.

 

 


La nuova BMC Roadmachine - The Endurance Formula

Buone nuove dalla verde Svizzera: i ragazzi di BMC hanno sganciato l’ennesima bomba, la nuova Roadmachine. E, in grande stile, ci hanno invitato a Girona per una prova in anteprima.

Il concetto è semplice: l’esigenza sempre maggiore è quella di pedalare su bici duttili, che permettano di sbizzarrirsi in sella, a seconda del terreno o a seconda di ciò che vogliamo fare in quella giornata. Strada, gravel, un allenamento tirato, un lungo da otto ore: se cercate una bici per tutto questo, la nuova Roadmachine fa decisamente al caso vostro. Girona è oramai la patria del ciclismo. Ma, onestamente, sono molto più incline al fascino del mare e dei paesaggi che ti mettono in pace con in mondo. Una bella pedalata fino in Costa Brava è quindi stata la scelta obbligata per testare la Roadmachine che, tra le varie novità, ne ha alcune su cui ha senso focalizzare l’attenzione.

 

Rack e stack più contenuti, rispetto alle versioni precedenti, fanno in modo che la pedalata sia più rilassata, comoda, ma non per questo meno efficace. Anzi, posso assicurare che quando c’è da buttare giù un dente e rilanciare, la ragazza si comporta assai bene.

La luce integrata è davvero ben visibile e molto utile, soprattutto per chi ha tante cose per la testa e spesso rischia di dimenticasela a casa. Insomma, per chiunque di noi. Chissà se, nel prossimo futuro, riusciranno a renderla compatibile con il sistema Varia in maniera che ci possa segnalare le automobili che sopraggiungono.

Sotto il portaborracce è nascosto un vano, che si apre facilmente girando una manopola: lo spazio è ampio e permette di farci stare comodamente la sacca con gli attrezzi, un windstopper, un paio di guanti. Insomma, tutto ciò che può essere utile per una lunga giornata in sella.

 

Che sia però una bici votata anche alla prestazione è chiaro per diversi motivi, uno fra tutti la scelta di rendere invisibile il forcellino: un po’ per motivazioni estetiche, un po’ perché questo permette di essere più aerodinamici e salvare qualche watt.

Infine un occhio alle geometrie di carro, tubo orizzontale e forcella: fanno sì che si possano montare parafanghi per la stagione invernale e copertoni addirittura da 40mm.

Insomma una bici moderna e intelligente, di quelle che piacciono a noi. Comoda ma allo stesso tempo reattiva e veloce. Una bici su cui puoi raggiungere il luogo di partenza di una granfondo in bikepacking, fare la gara, e ritornare a casa nei giorni seguenti. Chissà che la presentazione della prossima release di Roadmachine, fra qualche anno, non sia proprio così. Amici di BMC: questa è una buona idea, no?

Per maggiori info
bmc-switzerland.com

Foto: Laura D'Alessandro