Musei dedicati al ciclismo
Il ciclismo e la bicicletta sono talmente pervasivi nella cultura fiamminga da godere del meritato spazio anche nei musei.
L'ultimo giorno del nostro viaggio lo abbiamo dedicato a un fuori percorso, allontanandoci dal tracciato iridato per spingerci nelle Fiandre Orientali, la terra dei muri e dei pavé più famosi al mondo. Ed è a pochi passi dal luogo che da nove anni vede il traguardo del Giro delle Fiandre che ci siamo imbattuti in uno dei musei del ciclismo più amati: il Centrum Ronde van Vlaanderen. Affacciato sulla piazza centrale di Oudenaarde, il Centrum si riconosce facilmente per l'ammiraglia Molteni in mostra di fianco all'ingresso. Una volta varcata la soglia e scesi nel seminterrato ci si immerge nella storia della corsa dei fiamminghi, tra cimeli di grandi campioni e immagini sorprendenti, con tanto di giochi a quiz in cui testare la propria conoscenza sulla storia delle classiche del nord. Al termine della visita c'è l'occasione di rifocillarsi al Peloton Café, consigliatissima la birra ambrata a tema, chiamata Flandrien.
Il Centrum non è però l'unico museo ciclistico delle Fiandre. Una quarantina di chilometri più a est si raggiunge il Koers, il museo del ciclismo di Roeselare. Dopo alcuni anni di chiusura che hanno visto l'esposizione spostarsi in una chiesa, dove fu allestita una divertente via crucis del ciclismo, oggi il Koers Museum ha trovato casa in uno straordinario edificio dedicato. All'interno si trova quella che è verosimilmente la più accurata esposizione ciclistica al mondo: un percorso su più piani tra storia, campioni, archivio e divulgazione. Se volete avere un'idea cominciate a farvi un giro con la visita virtuale sul sito del museo. Consiglio extra: a 15' a piedi si può andare a vedere l'enorme murales dedicato a Jempi Monseré, il più drammatico tra i campioni del mondo di ciclismo, che proprio a Roeselare cominciò la sua breve vita.
CENTRUM RONDE VAN VLAANDEREN
Markt 43, 9700 Oudenaarde
sito (solo in nederlandese): crvv.be/
KOERS – Museum van de wielersport
Polenplein 15, 8800 Roeselare
sito in inglese: koersmuseum.be/en
visita virtuale: koersmuseum.be/en/museum/museum-tour
Il richiamo delle Fiandre
Toco-toco-toco-toco. Il ritmo compulsivo delle pale dell’elicottero è diventato il sottofondo fisso di ogni grande corsa ciclistica su strada. Si alternano i commenti e i silenzi dei telecronisti e sotto va avanti, inesorabile, il toco-toco-toco-toco. Del variegato soundscape del ciclismo è l’elemento più riconoscibile, persino sulle strade è così che la corsa annuncia il suo appropinquarsi. Toco-toco-toco-toco. Siamo fortunati a poter godere delle corse dal cielo. Le inquadrature mostrano tutto: ogni scatto, ogni strada, ogni paesaggio. Solo una cosa non è dato vedere da lassù: il cielo. Ai recenti mondiali di Leuven il toco-toco-toco-toco si è mischiato con il vociare di una folla entusiasta e traboccante. Osservare le prove iridate in televisione, dall’alto di un elicottero, ci ha fatto venire una gran voglia di andare là, a vedere se due settimane dopo quelle strade sono cambiate, e a vedere finalmente il cielo che le illumina.
Le Fiandre sono una regione piccola (13.522 km², poco meno della Campania), ma sovrastate da un cielo enorme.
Non stupisce che siano da sempre terra di pittori, e non stupisce nemmeno che siano terra di ciclisti. Gente che col cielo ha a che fare in ogni istante, che dipende dalla sua luce e dal suo umore. La profondità di questo cielo sembra respirare, come se si potesse sentirne il suono vitale. Non più il toco-toco-toco-toco del ciclismo ma un ronzio ancestrale, il canto dell’Universo in espansione. Un passaggio di consegne sonoro che si coglie non appena arrivati a Leuven, in un soleggiato pomeriggio di ottobre. I nastri iridati che avevano addobbato la città nei giorni del Mondiale stanno progressivamente lasciando il posto ad enormi palloncini neri che annunciano un festival dedicato al Big Bang. Sarebbe un po’ azzardato sostenere che sia stata la drammaticità del cielo fiammingo a stimolare la teoria sull’espansione dell’Universo, eppure l’idea è nata proprio qui.
Fu all’Università Cattolica di Leuven, uno degli atenei più antichi al mondo e tutt’ora il soggetto che anima la città, che Georges Lemaître si mise a studiare lo spettro luminoso delle galassie e formulò l’ipotesi dell’atomo primigenio, quella che oggi è universalmente nota come la teoria del Big Bang. Ma anche in campo ciclistico Leuven ha rappresentato a lungo una sorta di Big Bang. Alla fine dell’800 era ritenuta una città santa della bicicletta, come racconta la mostra sulla storia del ciclismo in città, allestita in occasione del mondiale al VeloDroom.
Quella che oggi potrebbe essere un’anonima terra di nessuno fino a pochi anni fa ospitava un mastodontico ospedale. Ora attende di accogliere un nuovo teatro, ma nell’attesa che comincino i lavori è stata riempita da un velodromo immaginario (il nome è un gioco di parole con il termine droom, sogno). Cinquanta metri cubi di larice siberiano costituiscono un piccolo anello su cui pedalano adulti e bambini: all’uscita delle scuole è un improvvisato terreno di sfida, nel pomeriggio uno spazio di gioco e di immaginazione, la sera si apre ad eventi culturali. Il VeloDroom è un luogo effimero il cui scopo è ricordare che il ciclismo è più di un semplice sport, è un’esperienza che riunisce le persone, come hanno scritto gli ideatori. È proprio al VeloDroom che incontriamo Nan van Zutphen, storico del ciclismo locale e soprattutto pedalatore instancabile: in queste settimane sta completando il progetto di percorrere in bicicletta tutte le strade nel raggio di 50 chilometri dal centro cittadino, il che significa affrontare anche ogni strada di Bruxelles. È Nan che ci racconta di come Leuven sia stata una protagonista nell’epoca dei pionieri: tra fine ’800 e inizio ’900 poche città potevano contare su così tanti ciclisti, ma nei decenni successivi le corse hanno via via abbandonato le città per spostarsi nelle campagne del Nord. Nell’area del Brabante Fiammingo sono rimaste alcune semiclassiche: la Dwars door het Hageland, la Druivenkoers e soprattutto la Freccia del Brabante, che dieci anni fa ha spostato la sua partenza a Leuven. È stato l’inizio di un rilancio, culminato con un Mondiale che per il ciclismo locale può rappresentare davvero un nuovo Big Bang, un ritorno al centro dell’universo a due ruote. Le assicelle di legno del VeloDroom si colorano delle diverse tinte del tramonto, pennellate da un cielo che dall’arancione non esita a farsi scuro e poi tornare al rosso. Sono nubi che passano veloci, corrono di fretta come ciclisti in fuga, e indicano una direzione da cui trarre energia: obbligano lo sguardo a puntare verso Nord, verso un mare che non c’è, ma da cui tutto nasce e rinasce.
E dal Nord delle Fiandre, dal Grote Markt di Anversa, ha preso il via anche l’avventura del Mondiale 2021. Nonostante ospiti il secondo porto più grande d’Europa, Anversa non è una città di mare. Sono le acque della Schelda a insinuarsi e farsi spazio tra le terre fiamminghe, ma nel farlo portano con sé un cielo tumultuoso e un’aria pungente che arrivano dritte dritte dal Mare del Nord. L’orizzonte del porto è tempestato da pale eoliche (mai un buon segno all’inizio di una pedalata), il cui serafico ruotare si scompone di riflessi nel caleidoscopio di vetri della Havenhuis, l’ultima opera completata in vita dalla geniale architetta irachena Zaha Hadid, che sul tetto di un vecchio edificio ristrutturato ha fatto atterrare una gigantesca struttura a specchi, a metà tra un diamante e la prua di una nave. È qui che si conclude ogni anno la Antwerp Port Epic, corsa che la settimana prima del Mondiale ha visto il ritorno alla vittoria di Mathieu van der Poel. E ci vorrebbero le gambe del campione neerlandese, la cui casa dista solo una decina di chilometri, per affrontare quel puzzle di nubi che il vento sta componendo sull’orizzonte, incastrando pezzo dopo pezzo.
Chiunque abbia assistito, anche solo in televisione, a una corsa ciclistica nelle Fiandre sa quanto il clima sia un elemento chiave. In ogni giornata è possibile incrociare le quattro stagioni: si parte con il calore del sole ed ecco che poco dopo un nuvolone ti scarica addosso un po’ d’acqua fresca, si fa una curva e ci si trova il vento in faccia per poi girare di nuovo e ritrovarsi sospinti e quasi sollevati tra le campagne. Perché sotto il cielo delle Fiandre tutto può succedere. Se così non fosse, non sarebbero le Fiandre. È un cielo che questa sua vivacità te la sbatte in faccia: scorrono i chilometri e cambiano i colori, le nuvole si addensano in forme che paiono concepite dalla mente di un pittore visionario per poi diradarsi e lasciare spazio ogni volta ad un azzurro diverso. A osservare il cielo ci si spiega con più facilità quanto accaduto una notte di fine ’600 a Mechelen, città che chiude la prima parte dell’avvicinamento a Leuven, rimasta ben impressa nella memoria degli appassionati di calcio degli anni ’80 per le imprese della squadra locale.
In quella notte gli abitanti di Mechelen si riversarono in strada spaventati per il bagliore che si irradiava dalla torre cittadina. Presero scale e secchi d’acqua, convinti che si trattasse di un disastroso incendio, ma solo arrivati alla torre si resero conto che non era altro che lo splendore della luna piena che aveva attraversato la nebbia e le finestre del campanile. Da allora gli abitanti di Mechelen sono soprannominati maneblusser, i pompieri della Luna. Mai fidarsi dei cieli delle Fiandre.
Da Mechelen il tracciato iridato svolta decisamente verso est, seguendo un panorama tutto nuovo. Le campagne conquistano l’intero spazio. Singole file di case affiancano le strade. Dalle finestre fanno capolino cartelloni iridati e nei cortili si accumulano le zucche appena raccolte. I paesi attraversati sembrano scomposti in decine di frazioni microscopiche, ogni tanto si avvista un piccolo campanile, altrove un bar, un municipio, fino alla comparsa dell’imponente negozio di biciclette di Niels Albert. È un segnale, siamo entrati in terra di fenomeni del ciclocross. Anche in questo caso, bastava chiedere al cielo, perché la pioggia si fa battente e tra i fili d’erba delle campagne comincia a muoversi in impercettibili onde il fango.
E se si vuole imparare a domare il fango, bisogna andare a Baal. Poche case rosse, separate da strade strette in cui le aiuole rallentano il traffico. È questo il paese che ha dato i natali alla leggenda del ciclocross fiammingo, Sven Nys, ed è il paese dove Nys ha deciso di continuare a far crescere la sua passione, guardando verso un orizzonte che qui è occluso solo da una piccola collinetta. La chiamano Balenberg, ed è il luogo che oggi accoglie lo Sven Nys Cycling Center, una specie di paradiso del fuoristrada con un percorso permanente per ciclocross e mountain bike, un museo, una scuola di formazione che richiama ogni anno centinaia di bambini da tutto il Paese e, imboccando una scala sulla destra prima di una sfilza di maglie iridate in esposizione, una terrazza con bike-café dove recuperare dallo sforzo ed ammirare il panorama. Oggi la vista propone nuvole nere e tanto fango, un domani sarà sotto questo cielo che nascerà il nuovo fenomeno del ciclocross mondiale. Sempre che non sia già nato, cosa più che probabile.
Non è soltanto il cielo a regalare sorprese pedalando nel Brabante Fiammingo. Ci pensano anche le strade a riservare visioni inattese. Poco dopo l’uscita da Tremelo può capitare di avvistare un gigantesco folletto di legno che si staglia tra prati sconfinati. Nessuna allucinazione, è solo una delle coreografie lasciate dal Rock Werchter, il festival che dal 1977 raduna ogni estate più di 120 mila persone. Poco più a Sud è un semplice cartello a suggerire una deviazione.
È un richiamo comune ma irresistibile, quello di un birrificio.
Anche la storia di André Janssens, il mastro birraio di Hof ten Dormaal, nasce da un’improvvisa svolta sulla strada. Ce la racconta davanti alla stufa, mentre i suoi figli ci elargiscono assaggi di una straordinaria saison e delle loro lambic. Colpito da un infarto a 50 anni, André aveva perso il proprio lavoro nel marketing e si trovava davanti alla necessità di inventarsi una nuova vita. Fu durante un viaggio negli Stati Uniti che vide sulla strada il cartello di un birrificio in vendita. André non aveva mai fatto birre in vita sua, ma la strada lo aveva convinto. Nel 2009 ha trasferito tutto il materiale nella vecchia fattoria di Tildonk e ha avviato un processo unico di autoproduzione al 100%, dalla coltivazione di orzo e luppolo sino alla degustazione. All’uscita il cielo si è spalancato come un sipario su un caleidoscopio di colori, la luce tinteggia le nubi come un pittore. Mancano pochi chilometri a Leuven, ma sembra di percorrerli attraversando un quadro impressionista.
Verrebbe voglia di tramutarsi in elicottero – toco-toco-toco-toco – e planare lentamente sulle strade della città, scompigliando i capelli del continuo via-vai di ciclisti di ogni genere che le percorre. Avanti e dietro tra il centro e la stazione, su e giù da salite che non saranno veri e propri muri ma costringono a smorfie abituali gli studenti che rientrano a casa, le mamme che portano i bambini, gli uomini con i cestini pieni della spesa per la cena. Le strade parlano di una città ciclistica e di una città del ciclismo. Le scritte sono ancora ovunque, pervasive. La maggior parte riguardano Wout van Aert e i corridori italiani: è ai tifosi di Marco Frigo, ventunenne veneto in gara a Leuven tra gli under23, che spetta il record per numero e dimensioni di scritte. Ma è tutto un tripudio di incitamenti e bande iridate: in ogni angolo della città e delle campagne circostanti si ritrova un richiamo al ciclismo, quello che occorre per dare la carica e affrontare di slancio ogni rampa.
Tra una scritta e una bandiera si perde il senso della fatica, si sente un toco-toco-toco-toco immaginario salendo stretti tra i due muri che chiudono la vista sul Keizersberg, un tunnel a cielo aperto che solo un paio di settimane fa rimbobava di incitamenti. Li si può quasi avvertire mentre si scatta sul Wijnperstraat, la salita-simbolo del circuito cittadino dove le finestre dei piani bassi sono ancora decorate di disegni e piccoli tributi. In una delle ultime case un signore ha allestito la propria finestra con quello che ha trovato: una cartolina di Merckx che mangia, un cappellino, una miniatura di un camion della birra Bitburger. Poi una curva a destra e di nuovo l’abbraccio del cielo, il richiamo a tuffarcisi dentro, il naso in su pedalando tra le strade di campagna, le fattorie e i loro odori. E nuovi muri. Veri muri. Perché è quando ci si inoltra nel secondo circuito, a Sud della città, che i muri diventano quelli che ci si aspetta dalle Fiandre.
Compare il pavé, e con lui le pendenze che spingono dritte dritte verso il cielo, tanto che a pedalare sullo Smeysberg sembra di non avere nulla all’orizzonte, solo una parete azzurra verso cui scagliare la propria fatica. Le decorazioni sull’asfalto non si limitano più alle scritte, è qui che il collettivo Puncheur ha cominciato ad allestire un museo diffuso di volti famosi del ciclismo: enormi faccioni che guardano dal basso, si lasciano accarezzare dalle ruote, accompagnano in una pedalata nella storia. Perché i muri del circuito iridato non sono quelli noti del Giro delle Fiandre, ma sono salite che hanno conosciuto la gloria della Freccia del Brabante, della Druivenkoers e infine del Campionato del Mondo, la corsa più grande di tutte, quella che attraversa il cielo come un arcobaleno. C’è il Moskestraat che si snoda nascosto dal cielo: una strada stretta tra gli alberi dove i suoni immaginari di tifosi ed elicotteri lasciano spazio al respiro del bosco, che si avverte in sincrono col fiato, un tutt’uno. C’è la s-bend di Overijse, chiamata così perché sembra proprio un tornante di montagna. Uno solo, che non si è in alta quota lo dice il cielo, ma del cielo non c’è mai da fidarsi e allora basta chiudere gli occhi e immaginare. Si può avanzare affidandosi agli odori, che raccontano una storia di campagna. È la stagione del raccolto delle patate: un gigantesco nastro trasportatore le sposta dal terreno verso enormi camion. C’è una piccola folla, poco più di un paio di famiglie in realtà, che ammira questo spettacolo. È il risultato del duro lavoro, sono la terra e il cielo che danno la vita.
I cicli si susseguono come le stagioni, e ad ogni stagione sorge anche un nuovo eroe nel ciclismo fiammingo. L’ultimo arrivato era uno che così dirompente non si vedeva da decenni, una stella che brilla in maniera accecante. In suo nome cambiano le abitudini dei tifosi e persino le insegne dei locali. Quella del bar In Den Congo di Vossem, pochi chilometri oltre Overijse oggi recita Remco Evenepoel Official Fanclub. Le sue maglie autografate si sono fatte spazio tra mazzi di carte incorniciati e i tabelloni di un totocalcio autorganizzato che ornavano le pareti del bar fino a un anno fa. Al bancone si parla solo di lui, mentre le birre si susseguono senza preoccupazioni economiche: in tutto il Belgio non esiste un bar con prezzi così bassi. Una piccola chiara qui costa ancora un euro. Sarebbe opportuno approfittarne, ma al traguardo mancano ancora una ventina di chilometri.
Al termine del penultimo giro del Mondiale, dopo aver provato ripetutamente a lanciarsi all’attacco, Julian Alaphilippe ha dato il colpo di grazia ai suoi avversari all’imbocco del Sint-Antoniusberg, il muro decisivo del circuito iridato. Definirlo muro in realtà è davvero eccessivo. A vederlo è poco più di una rampetta. A pedalarlo, idem. Una normale stradina di città, perdipiù utilizzata abitualmente con senso di marcia in discesa. Eppure è bastato questo piccolissimo sgambetto per permettere ad Alaphilippe di involarsi verso la seconda maglia iridata consecutiva: si capisce quanto gli avversari fossero tutti esausti. È più o meno la stessa ora di quel pomeriggio di fine settembre. L’avanzare dell’autunno ha anticipato il tramonto, e il cielo di Leuven regala un tramonto incandescente che brucia di rosso fuoco i mattoni delle case, le birre sui tavolini dei bar, il podio di iridato che ancora accoglie i turisti a Grote Markt. Solo i grandi palloncini neri del Big Bang Festival restano irrimediabilmente neri, testimoni di un cielo ancor più profondo dell’immensa distesa colorata che sovrasta la città. Il cielo di Leuven, città santa del ciclismo di ieri e di domani, stavolta non mente: il Big Bang c’è stato davvero, di nuovo.
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Appuntamento al buio in Val di Merse
Non so se vi è mai capitato un appuntamento al buio. A me onestamente no.
O almeno, non prima che mi arrivasse una telefonata dalla redazione.
Primi giorni di marzo, squilla il telefono.
«Ciao Stefano, c’è da andare a fare un servizio sul Grand Tour della Val di Merse».
«Perfetto, ci sono. Mi dici solamente il posto?».
«Te l’ho appena detto, Val di Merse!».
«Val di che?».
«Val di Merse, Merse!».
Ci ho messo un po’, lo ammetto, a capire che il nome esatto fosse Merse. E solo dopo un’ulteriore ricerca ho scoperto che Merse è un fiume, di circa 70 chilometri, che attraversa le province di Siena e Grosseto.
Non mi serviva nient’altro: si va in Toscana, stop. Appuntamento presso il B&B Palazzo a Merse, giusto 10 chilometri a sud di Siena. Non volevo nessun’altra informazione, il mio appuntamento al buio era fissato. Arrivo un giovedì sera di aprile e le 4 ore in macchina non hanno fatto altro che alimentare le mille domande su cosa mi avrebbe aspettato. Mi accolgono Andrea, guida cicloturistica e gestore del B&B, e Jacopo, il suo partner in crime.
«Domattina si parte, ore 8.30. Portati il necessario per pedalare due giorni e dormire una notte fuori. Buonanotte».
Le loro facce trasmettono sicurezza, non c’è motivo di preoccuparsi. Domani capirò dove sono, cosa mi attende e, soprattutto, cosa diavolo è ’sto Grand Tour della Val di Merse. L’unica cosa che so è che dovrò pedalare per due giorni: questo mi basta per addormentarmi come un bimbo alla vigilia di Natale. È stato un aprile anomalo, molto freddo, e la pelle d’oca sulle gambe alle prime luci dell’alba conferma questa tendenza. Si montano velocemente le Miss Grape per i due giorni di bikepacking e, finalmente, si parte. Neanche il tempo di scaldare la gamba e ci ritroviamo su Strade Bianche. Certo, la Toscana è piena di strade bianche, direte voi. Ma qua si tratta dell’unica e originale Strade Bianche, quella col copyright, per capirci meglio.
«Questo è il primo settore di sterrato della gara, anche se i professionisti lo percorrono al contrario». Pensavo stessero mentendo, ma con il dito mi indicano il cippo posto a terra come garanzia di autenticità. «Oltretutto, se proprio vuoi saperla tutta, l’abbiamo inventato noi».
Il mio volto perplesso fa sì che la storia venga raccontata, per filo e per segno.
«Con la nostra ASD siamo attivi da anni nella valorizzazione di questo territorio, perciò collaboriamo sin dagli inizi di Strade Bianche sia con gli organizzatori che con i Comuni interessati. Dopo la terza vittoria di Cancellara si era deciso di dedicargli un settore di sterrato. Allora abbiamo pensato: perché non pensare ad un oggetto identificativo, proprio come la pietra della Roubaix? Volevamo fosse qualcosa di tipico del territorio, ma non di marmo giallo della Montagnola che è troppo pregiato e non adatto ad uno sport pop come il ciclismo, così abbiamo optato per il travertino. La proposta piacque e noi due, materialmente, siamo andati in cerca del fornitore, creando quello che oramai è il simbolo della classica del nord più a sud d’Europa». L’appuntamento al buio inizia a farsi interessante, penso io.
Al terzo cartello stradale con le indicazioni per il Grand Tour della Val di Merse, cedo alla mia curiosità e chiedo spiegazioni. «Pedaleremo su un loop di 173 chilometri con circa 3.000 metri di dislivello, attraverso la Val di Merse e la Val d’Elsa», dice Andrea, col suo fare da cicerone. «Il percorso passa su strade asfaltate, strade bianche e, per chi volesse, ha anche un paio di deviazioni gravel». Mi faccio inviare il file gpx, lo imposto sul mio account di Komoot, lo carico sul mio Wahoo ed in effetti vedo chiaramente delinearsi questo anello che ho appena iniziato a conoscere.
«Non solo – precisa Jacopo, che passa la giornata negli uffici di una banca ma che in un’altra vita sarebbe sicuramente stato un ingegnere geotermico, e non a caso, perché la capacità di utilizzare il vapore come fonte di energia rinnovabile è una delle risorse più importanti della zona – abbiamo anche creato un brevetto. L’itinerario attraversa sei comuni dove è possibile recuperare il libro di viaggio e farlo timbrare nelle strutture convenzionate per dimostrare che effettivamente hai completato il tracciato. Una volta a casa, ce lo invii tramite mail, così ti spediamo l’attestato di valore».
Altri quattro colpi di pedale ed ecco finalmente il primo timbro sul mio personale libro di viaggio, nel comune di Sovicille. Pit-stop caffè, due foto di rito, e via che si riparte.
Non si smette mai di imparare, si dice, e così in un attimo eccomi ritornare a scuola come un bravo alunno delle elementari, fortunatamente non in didattica a distanza. Quante volte avrò sentito e avrò pronunciato, nella mia vita, la frase mi faccia due etti di cinta senese, grazie al bancone degli affettati di un qualunque supermercato, senza sapere cosa volesse dire realmente. Bene, all’alba dei trentotto anni, ho scoperto finalmente di cosa si tratta: immaginatevi un maiale nero, ma nero nero, con una banda di pelo bianca, ma bianca bianca, che gli cinge il collo. Una cinta, appunto. Alzi la mano chi ne era a conoscenza (macellai e toscani in generale, ovviamente, sono esclusi dal gioco).
La giornata vola, tra i numerosi mangia e bevi (questa volta parlo di strade e non di affettati e buon vino) tipici di queste zone. Altri due timbri nei Comuni di Casole d’Elsa e Radicondoli ed è finalmente tempo di relax: il primo giorno è andato, tra strade fighissime e paesaggi che cambiano in continuazione: macchia mediterranea, boschi, vigneti e prati verdi a perdita d’occhio, oltre agli immancabili borghi che pullulano di storia. Birra, doccia e meritato riposo, questo è il programma per le prossime ore e, onestamente, penso di essermelo meritato.
L’alba del secondo giorno conferma questa primavera fresca, con il termometro che durante la nottata si è fermato a zero gradi. Sì, zero gradi, ad aprile, in Toscana. Robe da matti, direbbe mia nonna. Oggi ci aspettano oltre 100 chilometri e la maggior parte del dislivello per completare il percorso, quindi sappiamo che dovremo dedicare più tempo al ciclo e meno al turismo. Andrea e Jacopo sono in forma, la gamba gira e la tabella di marcia viene rispettata quasi da far invidia alle ferrovie giapponesi. In un attimo passiamo dai check-point di Chiusdino e Monticiano: la giornata fila liscia e sento che ogni piano verrà rispettato. Nulla potrebbe fermarci, nulla potrebbe farci ritardare. Nulla, tranne un uragano.
Ed ecco che, come da tradizione fantozziana, l’uragano prende forma ed ha anche un nome: si chiama Franco Rossi e di lavoro fa il presidente di Eroica. Lo si incontra per caso, sulla strada, appena prima dell’attacco di quella che è la vera salita del Grand Tour: nove chilometri belli tosti che ci portano a Casciano di Murlo, dove riceverò l’ultimo timbro sul mio libro di viaggio. Capisco subito che tra Franco, Andrea e Jacopo c’è una amicizia di lunga data, perché si prendono a schiaffi durante tutta la salita e non c’è verso che uno di loro molli un metro. Talmente di lunga data che a un certo punto, alla seconda birretta rigenerante, mi rendo conto che sarà impossibile arrivare a destinazione entro la serata. «Si cena insieme, ho deciso! E si aprono un paio di bottiglie di vino di quello buono». E a Franco non si può mai, ma proprio mai, dire di no.
Non ho grossi problemi di tempo, posso tranquillamente tornare a casa anche il giorno dopo e poi mi ripeto come un mantra che sono le cose inaspettate a rendere unica un’esperienza. Ed in effetti chi si poteva immaginare il cerchio alla testa di domenica mattina, quando invece sarei dovuto essere già a casa a scrivere le parole che state leggendo? Un litro d’acqua a stomaco vuoto rimette tutto in ordine e così siamo pronti per affrontare gli ultimi 30 chilometri, con lo skyline di Siena così vicino che sembra di poterlo toccare solo allungando il braccio. Qualche strada bianca, un po’ di su e giù, e la tappa finale si trasforma in quella che definirei una perfetta recovery ride prima del pranzo domenicale.
È tempo di pacche sulle spalle, sorrisi e promesse di futuri incontri, probabilmente già in occasione della prossima Nova Eroica, poco distante in linea d’aria. Salgo in macchina e riparto. Io non so chi di voi abbia mai fatto un appuntamento al buio. Ma se trovate gente come Jacopo e Andrea, e l’invito viene dalla curiosa e sconosciuta Val di Merse, beh, accettatelo. Senza se e senza ma.
Dietro le quinte: Jacopo e Andrea
Per concludere la nostra guida sulla Val di Merse ci sembrava giusto parlare di chi sta dietro le quinte di questo grosso progetto. Quando abbiamo pedalato lungo il Grand Tour siamo stati accompagnati da Andrea e Jacopo, ciceroni e gran pedalatori. Il primo gestisce il B&B Palazzo a Merse e fa la guida cicloturistica, il secondo passa le giornate tra le mura di una banca ma in un’altra vita sarà sicuramente stato un ingegnere geotermico o giù di lì. Loro, però, sono state solamente le due persone che ci hanno messo la faccia durante quei pochi giorni. In realtà dietro a tutto ciò c’è un gruppo di persone che si impegna costantemente e che anni fa ha dato vita alla A.S.D. Gruppo Ciclistico Val di Merse.
Il loro obiettivo? Semplice: collaborare con chiunque, senza alcun tipo di campanilismo, per promuovere le loro zone all’insegna di un turismo ciclabile.
E così eccoli ad organizzare granfondo, a fondare il Bici Club Terre di Siena insieme, tra gli altri, agli amici de L’Eroica, e a lavorare per la realizzazione di Strade Bianche. Come è ben spiegato sul nostro reportage cartaceo sono stati loro, per esempio, ad avere avuto la visione e poi a realizzare i famosi “cippi” della classica ciclistica.
Insomma, si tratta di gente con profonda passione che investe il proprio tempo per un fine comune e decisamente nobile.
Noi di Alvento non finiremo mai di ringraziarli e di complimentarci.
E voi che leggete, dateci retta, passate a trovarli: non ve ne pentirete.
Quello che non vi dovete proprio perdere...
Come dicevamo, questa guida vuole essere utile sia a chi passa la giornata in bici, ma anche a chi ha deciso di approfittare del weekend in Val di Merse per visitare un posto nuovo, all’insegna del relax: quelli che solitamente chiamiamo gli accompagnatori. Musei, produzioni alimentari e tutto quello che ha una valenza storico–artistica: in questo elenco troverete gli highlights della zona.
MUSEI
Museo Civico Archeologico e della Collegiata. Casole d’Elsa.
Ubicato nei locali della canonica della Chiesa Collegiata a Casole d’Elsa, è suddiviso in due sezioni: una archeologica e l’altra artistica. La prima, articolata in tre sale, racconta la storia del popolamento del territorio in età etrusca sin dalla sua fase più antica, con testimonianze di oggetti trovati nelle numerose tombe del territorio.
museisenesi.org/museo/museo–civico–archeologico–e–della–collegiata
L’Antiquarium di Poggio Civitate. Murlo.
IL Museo archeologico di Murlo è allestito all’interno dell’antico Palazzo Vescovile del borgo, un castello medievale a metà strada tra la Val di Merse e le Crete Senesi. Accoglie testimonianze uniche della civiltà etrusca, tra le quali spicca la statua con il Cappellone diventato il vero simbolo del museo.
museisenesi.org/museo/antiquarium–di–poggio–civitate–museo–archeologico
Le Energie del Territorio. Radicondoli.
Il Museo Le Energie del Territorio nasce con l’idea di approfondire la conoscenza delle energie rinnovabili per valorizzare il territorio e l’energia sostenibile. È allestito come un laboratorio ed è perfetto per far giocare i figli… o se volete ritornare bambini per un’ora.
museisenesi.org/museo/museo–le–energie–del–territorio
Museo della Biodiversità. Monticiano.
Attraverso filmati, percorsi interattivi, giochi didattici e multimediali, il museo vuole mostrare e raccontare il grande patrimonio di biodiversità presente in Val di Merse e nel nostro pianete: molto utile per imparare le azioni necessarie per la sua conservazione.
museodellabiodiversita.it
Museo Civico e Diocesano d’Arte Sacra di San Galgano. Chiusdino.
Inaugurato nel 2015 nello storico Palazzo Taddei, il museo raccoglie numerose opere d'arte, bassorilievi, pitture su tavola e su tela, oreficeria sacra, ex voto, realizzati tra il XII e il XIX secolo e in maggior parte provenienti dalle chiese parrocchiali e dalle cappelle del territorio.
Museo Etnografico del Bosco. Sovicille.
ll Museo Etnografico del Bosco è ospitato all’interno di un vecchio fienile ristrutturato nel piccolo borgo di Orgia ed il suo scopo principale è quello di raccogliere e tramandare le testimonianze legate alla vita e alle attività umane sul territorio.
museisenesi.org/museo/museo–etnografico–del–bosco
PATRIMONIO STORICO ARCHITETTONICO
CASOLE D’ELSA
Borgo medievale, collegiata di Santa Maria Assunta, borgo di Mensano.
CHIUSDINO (tel. 0577 750313 – info@prolocochiusdino.it)
Borgo medievale, Abbazia di San Galgano ed Eremo di Monte Siepi.
MONTICIANO (tel. 0577 049336)
Borgo medievale, chiostro e Chiesa di Sant’Agostino, Chiesa dei Santi Giusto e Clemente.
MURLO (info@prolocomurlo.it)
Borgo medievale, rocca di Crevole.
RADICONDOLI (tel. 0577 790880 – turismo@radicondolinet.it)
Borgo medievale, Chiesa dei Santi Simone e Giuda.
SOVICILLE (tel. 0577 314503 – info@prolocosovicille.it)
Borgo medievale, Chiesa di San Giovanni battista, villa Lechner, chiostro di Torri, pieve di Ponte allo Spino, castello di Celsa, pieve di Pernina, romitorio e villa di Cetinale, Chiesa di San Giovanni battista a Rosia, necropoli etrusca di Malignano.
PRODUZIONE ALIMENTARE A KM 0
Bottega di Stigliano. Sovicille.
Ristorante e negozio in un casale da sempre votato alla tradizione culinaria, loro lo chiamano laboratorio di cittadinanza intorno al cibo. Basta e avanza per incuriosire…
valdimersegreen.com
Azienda Agricola Casa al Gianni a Simignano. Sovicille.
Dove degustare e acquistare la famosa carne di Cinta Senese e conoscere la famiglia Bezzini che pochi anni fa ha salvato dall’estinzione il famoso maiale autoctono della Montagnola Senese.
Botteghina di Scorgiano. Casole d’Elsa.
In assoluto una delle migliori degustazioni di Cinta Senese della zona.
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Azienda Agricola la Montagnola. Casole d’Elsa.
Tutto, e anche di più, prodotto grazie alle api: miele, grappe, pappa reale, cera, propoli, e chi più ne ha più ne metta.
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Pizzeria la Pergola e Autoctona. Radicondoli.
Autoctona è un forno artigianale ma anche una bottega e un punto di sosta per chiunque voglia provare i sapori dei vari prodotti locali. Pane, pizza in teglia e generi alimentari “a km zero” oltre a una selezione di olio extravergine, fanno di Autoctona la prima e unica oleoteca in provincia di Siena. Di fianco ad Autoctona, la Pizzeria la Pergola: il top.
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Podere Paugnano. Radicondoli.
200, sì avete letto bene, duecento pecore grazie alle quali si producono formaggi, ricotta e yogurt biologici a km 0. La fattoria è completamente biologica e la filosofia si può riassumere in quattro parole: rispetto per la natura. Mangiare qui significa essere invitati nella cucina di famiglia, mezza toscana e mezza sarda.
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Tenuta di Trecciano. Sovicille
Vini e olii da degustare in una antica villa medievale di ben 22 ettari.
trecciano.it
Tenuta Poggio Salvi. Sovicille
Dal Chianti al Vin Santo, passando per tutto ciò che è Toscana.
poggiosalvi–sovicille.it
Tenute Pietro Caciorgna. Casole d’Elsa
Cereali, mais, girasoli, foraggi, l’allevamento di Chianina e, ovviamente, tanto e ottimo vino.
tenutepietrocaciorgna.com
Negozi e noleggio bici
Una foratura, un problema al cambio o semplicemente la necessità di affittare una bici per un accompagnatore: alzi la mano chi non ha mai avuto a che fare con almeno una di queste esigenze. Invece che smanettare sul telefonino in cerca di informazioni, ecco un elenco di strutture che vi possono aiutare a risolvere qualunque tipo di problema in val di Merse. Cosa molto interessante, ognuno di loro effettua il trasporto bagagli, nel caso non amiate il bikepacking ma preferiate viaggiare leggeri.
Tuscany Cycling House
Noleggio bici
Località Palazzo a Merse, 22 – Sovicille
Telefono: 0577 342063 – 338 6762818
tuscanycyclinghouse.it
E–Bike–Toscana
Negozio e noleggio bici
Via Po, 30 – Pian Dei Mori – Sovicille
Telefono: 0577 058501 – 339 5353222
e–bike–toscana.com
Fred E–bike
Negozio e noleggio bici
Via Dario Neri, 10 – Siena
Telefono: 0577 392087 – 3405091366
fredebike.it
DF Bike
Negozio e noleggio bici
Strada Massetana Romana, 54 – Siena
Telefono: 0577 271905
dfbike.it
Gippo Bike
Negozio e noleggio bici
Loc. Pian dell’Olmino, 77 – Colle di Val d’Elsa
Telefono: 0577 904405
gippobike.com
Non solo Grand Tour - gli altri itinerari
Fino ad ora abbiamo parlato di Grand Tour e del suo itinerario ad anello, ma c’è dell’altro. Sono infatti stati creati 9 percorsi che i loro ideatori chiamano a margherita, molto più corti ed accessibili a tutti, per un ciclismo più lento dove la performance è l’ultimo degli obiettivi.
Adatti a chiunque, anche per gli accompagnatori non allenati ma che vogliono provare un giorno in sella, magari affittando una e–bike.
Il Romanico in Montagnola
Itinerario che si sviluppa interamente nel comune di Sovicille. Arte, storia e paesaggi, queste le tre parole per descrivere il loop, all’interno della Montagnola Senese.
Distanza: 33 km
Dislivello: 610 m
Livello: medio
Bici: gravel, mountain bike
Girotondo a Sovicille
Sempre all’interno del Comune di Sovicille, questo percorso è il più adatto a chi non è molto allenato grazie al dislivello non elevato e alla sua lunghezza.
Distanza: 32,5 km
Dislivello: 375 m
Livello: facile
Bici: tutti i tipi
Nel cuore della Montagnola Senese
Percorso interamente su asfalto attraverso i Comuni di Sovicille, Siena e Casole d’Elsa, proprio nel cuore della Montagnola Senese. Si affrontano due salite, il Passo di Celsa e il Passo degli Incrociati, quindi un minimo di gamba ci vuole.
Distanza: 48 km
Dislivello: 875 m
Livello: medio
Bici: strada, cicloturismo
San Galgano e l’alta Val di Merse
Tra i Comuni di Chiusdino e Monticiano, questo itinerario ha i sui punti forte nell’ abbazia di San Galgano e nella riserva Naturale dell’Alto Merse.
Distanza: 39,5 km
Dislivello: 725 m
Livello: facile
Bici: gravel, cicloturismo, mountain bike
Gravellata in Val di Merse
Un loop che si sviluppa quasi totalmente su strade sterrate, all’interno della Riserva Naturale dell’Alto Merse tra i Comuni di Monticiano e Chiusdino. Il dislivello non è banale e un minimo di allenamento è necessario.
Distanza: 46 km
Dislivello: 870 m
Livello: medio
Bici: gravel, mountain bike
Le Colline Metallifere
Le Colline Metallifere sono una parte molto importante della Val di Merse e questo percorso è disegnato apposta per visitarle. Completamente su asfalto, nel Comune di Chiusdino, tocca anche il bellissimo borgo medievale di Montieri. Per gente allenata è perfetto come preparazione al Grand Tour.
Distanza: 62 km
Dislivello: 1100 m
Livello: difficile
Bici: strada, cicloturismo
Un salto a Siena
Con Siena così vicina non poteva non esserci un percorso per andare a visitarla: le Crete Senesi a fare da contorno, attraverso lo sterrato de L’Eroica a Radi, si raggiunge il capoluogo fino al suo centro storico.
Distanza: 39 km
Dislivello: 677 m
Livello: facile
Bici: strada, cicloturismo, gravel
Gli Etruschi in Val di Merse
Il percorso più corto e quindi il più abbordabile, ma con qualche passaggio stretto lungo il torrente Crevole, che porta fino a Buonconvento. Tappa obbligatoria il borgo di Murlo, un vero gioiello.
Distanza: 26.5 km
Dislivello: 425 m
Livello: facile
Bici: gravel, mountain bike, cicloturismo
Fra Val di Merse e Crete
A ovest i boschi della Val di Merse e a est le Crete Senesi: un percorso completamente nel Comune di Murlo dove i paesaggi sono il punto forte.
Distanza: 26.5 km
Dislivello: 570 m
Livello: medio
Bici: tutti i tipi
Il libro di viaggio e l'attestato di valore
Che cosa distingue un qualunque giro in bici da un tour come questo della Val di Merse? Certo, i servizi ai ciclisti e i segnali dedicati sono una parte fondamentale, ma quello che davvero fa la differenza è il portarsi a casa un ricordo tangibile, un attestato di sudore versato.
Per questo è stato creato il Libro di Viaggio, che non è altro che una mappa del percorso dove sono segnati i vari check–point da cui bisogna passare per completare il loop. In questi punti, che corrispondono poi ai sei Comuni attraversati dal Grand Tour, sarà necessario far apporre un timbro. Una volta ricevuti tutti i timbri e concluso il giro si invia una foto del Libro di Viaggio all’indirizzo info@grandtourvaldimerse.it ed in cambio si riceve l’Attestato di Valore e si viene inseriti all’interno dell’Albo. Tutto chiaro, no?
A dirla tutta non è altro che un gioco che in un attimo ci fa tornare bambini e, proprio per questo, è una figata pazzesca.
Troverete il Libro di Viaggio, e potrete farvi fare i timbri, in queste che sono le strutture convenzionate con il Grand Tour.
CASOLE D'ELSA
Botteghina di Scorgiano
Località Scorgiano, 19 – Casole d'Elsa
Telefono: 0577 301242
Museo Civico Archeologico e della Collegiata
Piazza della Libertà, 5 – Casole d'Elsa
Telefono: 0577 948705
Wine–Bar Il Barroccio
Piazza della Libertà, 23 – Casole d'Elsa
Telefono: 0577 948063
CHIUSDINO
Bar Pizzeria Trattoria Bellavista
Via Roma, 4 – Chiusdino
Telefono: 0577 750720
Gastronomia San Galgano
P.zza Matteotti, 1 – Chiusdino
Telefono: 371 1593518 – 371 1510053
Ristorante Antico Tempio Terre di San Galgano
Strada Comunale di San Galgano, 155 – Chiusdino
Telefono: 0577 756366
MONTICIANO
Albergo Ristorante Da Vestro
Via Senese, 4 – Monticiano
Telefono: 0577 756618
Bar Alimentari
Piazza Lama – Lesa Monticiano
Telefono: 0577 758067
Bar l’Incontro
Piazza Sant Agostino, 7 – Monticiano
Telefono: 0577 756621
MURLO
Albergo di Murlo
Via Martiri di Rigosetto, 1 – Murlo
Telefono: 0577 814662
Circolo Arci Vescovado
Via Roma 43 – Vescovado di Murlo
Telefono: 0577 811096
Hotel Ristorante Bosco alla Spina
Via della Tinaia, 13 – Lupompesi Murlo
Telefono: 0577 814605
Museo Etrusco di Murlo
Piazza della Cattedrale, 4 – Murlo
Telefono: 0577 814099
RADICONDOLI
Bar Il Nazionale
Via Tiberio Gazzei, 48 – Radicondoli
Telefono: 0577 790721
Circolo Acli
Via Tiberio Gazzei, 48 – Radicondoli
Telefono: 0577 790718
SOVICILLE
Assi Bar
Via Massetana, 70/C – Rosia Sovicille
Telefono: 0577 345652
Bar Pizzeria Trattoria La Pergola
Via Massetana, 135 – Rosia Sovicille
Telefono: 0577 345735
Bottega di Stigliano
Località Stigliano 62 – Sovicille
Telefono: 0577 345624
Il Grand Tour della Val di Merse - strada e gravel
Il Grand Tour è il fiore all’occhiello della Val di Merse ed è quello che ci ha spinto, durante una riunione in redazione, a decidere di andare in trasferta. Si tratta di un percorso cicloturistico permanente di 173 km con 3100 metri di dislivello e si snoda lungo la valle che prende il nome dall’omonimo fiume. Si estende nella parte sud–occidentale della Provincia di Siena attraversando i Comuni di Chiusdino, Monticiano, Murlo, Sovicille e sconfina nella Val d’Elsa passando per Radicondoli e Casole. È totalmente segnalato grazie ai cartelli stradali dedicati e il senso di percorrenza è antiorario. Sono quattro i settori di sterrato per un totale di 12 km, due tratti corrispondono al percorso di Strade Bianche e uno a quello de L’Eroica.
Partenza e arrivo sono a vostra totale discrezione, così come il tempo che deciderete di dedicare al tour: noi l’abbiamo fatto in due giorni (che poi sono diventati due e mezzo), ma nulla vieta di prenderla con più comodo e di godervi ancora di più i paesaggi. Se invece avete la gamba tonica, si può tranquillamente partire a arrivare dall'alba al tramonto. Ovviamente si può affrontare con qualunque tipo di bici: strada, gavel, mtb, cicloturismo o e–bike.
La variante gravel.
Per chi ha voglia di vivere un’esperienza più selvaggia, non sopporta l’asfalto e preferisce parlare con i cinghiali invece che con gli essere umani, è stata creata una variante gravel del Grand Tour: 217 km con 4200 m di dislivello e circa 100 km di sterrato. In questo caso più che un consiglio è un obbligo: bici gravel o mtb, non ci sono alternative.
Vai su Komoot a scaricare la traccia
Val di Merse, la Toscana che stavi cercando
Noi in Val di Merse ci siamo andati e, come avete letto sul numero 15 di Alvento, è stato un appuntamento al buio.
Abbiamo scelto così perché volevamo arrivare senza alcuna aspettativa ed essere stupiti da ogni situazione: solo così si può essere davvero realistici ed interessanti nel raccontarle.
È stato un rischio? Assolutamente sì: se le cose vanno bene, tornerai con un sacco di contenuti e di storie da raccontare, ma se le cose vanno male? A quel punto rientri a casa con un pugno di mosche e senza un piano B.
Dentro di noi però c’era qualcosa che ci spingeva a star tranquilli, come se già sapessimo che tutto sarebbe filato liscio. Sesto senso, fiuto o solo fortuna? Chi lo sa.
Fatto sta che abbiamo trovato un posto pazzesco, sicuramente inaspettato. Oddio, quando vai in Toscana cadi sempre bene: paesaggi, cucina, ospitalità e calore delle persone si sa che non mancano mai. Nonostante ciò, la Val di Merse è riuscita comunque a stupirci.
La varietà di paesaggi in cui abbiamo pedalato è stato il piatto forte: macchia mediterranea, crete senesi, boschi, vigneti, prati verdi a perdita d’occhio. Gli Appennini a ripararci e il Monte Amiata laggiù in fondo come punto di riferimento quasi fosse una fiamma olimpica.
E poi strade bianche a destra e strade bianche a sinistra, su qualcuna si pedala mentre qualcun'altra è lì, di fianco, a farti solo compagnia.
Lo stupore più assoluto arriva grazie alla quasi totale mancanza di traffico, tanto che a un certo punto ci siamo dovuti sincerare che tutto fosse ok, perché ci sembrava impossibile pedalare da un’ora senza aver incontrato una macchina. «È più facile incontrare caprioli o cinghiali, piuttosto che auto», dicono. Aggiungeteci il buon cibo, il vino che non manca mai, i sorrisi di chi ci ha accompagnato e di chi abbiamo incontrato per strada: ora potete capire perché consigliamo davvero un giro da queste parti. Bici da strada, gravel, mountain bike o e–bike, poco importa.
La Val di Merse è un posto autentico, meno glamour di località più blasonate e, proprio per questo, più Alvento. Prendetevi un weekend e fateci un salto, non ve ne pentirete.