Juan Ayuso alle grandi manovre

Quando sale sul palco di San Benedetto del Tronto, Juan Ayuso ha un sorriso appena accennato. A soli 22 anni ha vinto una delle gare a tappe più importanti del calendario ciclistico, arricchendo un palmarès che già comprendeva il Giro dei Paesi Baschi e altri dieci successi tra i professionisti. Però sembra non aver troppo tempo per festeggiare, perché questa Tirreno-Adriatico è solo una tappa di un percorso più grande.

Questa settimana rappresentava un passaggio obbligatorio verso il Giro. Era arrivato alla Corsa dei Due Mari con le stimmate del favorito. Dopo l’ottima crono inaugurale, ha dovuto aspettare la penultima frazione per prendere la maglia azzurra. Un Ganna in condizione super gli ha impedito di vestire prima il simbolo del leader, ma sul terreno a lui più congeniale è riuscito a mettere luce tra sé e gli avversari, arrivando in solitaria a Frontignano.

Non è stata una Tirreno-Adriatico semplice per il gruppo, che si è trovato spesso a correre in condizioni metereologiche avverse. In conferenza stampa Ayuso ha parlato dell’importanza di vivere giornate di questo tipo: «Sono cresciuto molto durante questa settimana, anche mentalmente, soprattutto nelle tappe in cui pioveva ed era freddo. Sono prove importanti, perché al Giro ci saranno delle giornate così e mi ci devo abituare».

Il primo obiettivo dell’anno di Ayuso può dirsi completato con successo. Lunedì sarà alla Volta Catalunya, dove troverà, tra gli altri, Roglič, il suo grande rivale per la Corsa Rosa. Per la prima volta in carriera, il valenciano avrà l’occasione di partire da capitano in un grande giro. «In una squadra come la UAE devi sfruttare ogni occasione che ti viene data - ha detto Ayuso - perché è la migliore del mondo e ci sono tanti che sono in grado di vincere».
Al Giro ci saranno ad aiutarlo Adam Yates, Del Toro, McNulty e Majka, tutti corridori che potrebbero puntare a una top 10. Non ci sarà il campione in carica, Pogačar, e per questo Ayuso potrà finalmente correre da leader: «Quando c’è Tadej in corsa bisogna aiutarlo, perché è il migliore al mondo, forse il migliore della storia».

Alla Tirreno-Adriatico ha superato alcuni degli avversari che troverà anche al Giro, nella lotta per la maglia rosa. Antonio Tiberi può dirsi soddisfatto del terzo posto in classifica generale. È andato benissimo nella crono inaugurale, mentre a Frontignano, con la gamba che non era delle migliori, si è gestito e ha limitato i danni. Buone anche le prove di Derek Gee e Jai Hindley, che sulla carta sarà il vice di Roglic, mentre hanno deluso i gemelli Yates.

In ottica italiana, i protagonisti della settimana sono stati Filippo Ganna e Jonathan Milan. Dal primo ci si aspettava una cronometro fantastica a Lido di Camaiore, ma siamo rimasti impressionati dalla sua capacità di lottare con gli avversari anche nelle tappe mosse e di difendersi su una salita non facile come quella di Frontignano. Le gambe sono pronte per i due obiettivi di questa primavera: la Milano-Sanremo di sabato e la Parigi-Roubaix a metà aprile. Lo sforzo fatto sul Monterolo, quando è rimasto agganciato a corridori ben più portati per una salita del genere, è un test perfetto in vista del Poggio. E ha già dimostrato di avere un ottimo spunto in volata, soprattutto quando si arriva in un gruppo ristretto.

Milan partiva con i gradi di miglior sprinter tra i 168 partenti, e non ha deluso le attese: le due volte che è arrivato in gruppo ha alzato le braccia al cielo, grazie anche all’ottimo aiuto di tutta la Lidl-Trek. Il secondo giorno, sull’arrivo di Follonica, è partito in testa, lanciato dallo scudiero Consonni - uno che a casa ha tre medaglie olimpiche -, e ha dato una bicicletta di distanza agli avversari. Non sono mancati i momenti difficili per il 24enne friulano, che è finito a terra nella terza tappa. Ma poi si è rifatto a San Benedetto, superando Sam Bennett con il colpo di reni. Milan che è poi tornato a casa, per il secondo anno consecutivo, con la maglia ciclamino della classifica a punti.

È stata una Tirreno-Adriatico a tinte tricolori, con le quattro vittorie italiane e i due posti sul podio finale. Ai già citati Ganna e Milan va aggiunto Andrea Vendrame, che al terzo giorno ha fatto suo l’arrivo di Colfiorito. Una tappa lunghissima (240 km), con un forte maltempo e oltre 3000 metri di dislivello complessivo. Tutte caratteristiche adattissime a un coriaceo come Vendrame, che in carriera ha raccolto poche vittorie, ma di livello e al termine di giornate impegnative. In una volata a gruppo ristretto, quando tutti si aspettavano Van der Poel o Pidcock, l’ha spuntata il puncheur della Decathlon.

Anche la maglia verde dei Gran Premi della montagna è stata appannaggio di un italiano, Manuele Tarozzi. Tarozzi è uno che in gruppo non ci sa stare. Ha già sette giornate di fuga nel 2025 (tre alla Tirreno e quattro all’UAE Tour), e l’elenco è destinato ad aumentare. Finora ha mostrato una tendenza a vincere in posti esotici: Tour of Rwanda nel 2023, Tour of Qinghai Lake e Tour de Langkawi lo scorso anno. La classifica dei GPM è un giusto premio per chi ha consacrato la propria vita da ciclista all’arte imprevedibile, e di certo gravosa, dell’avanscoperta.

A inizio settimana, Mathieu Van der Poel aveva annunciato di essere alla partenza soprattutto in preparazione della Milano-Sanremo. Ma il campione del mondo - varie volte e in varie specialità - aveva anche detto che non partecipa mai a una gara solo per indossare la maglia e così è stato. Ha attaccato nella terza tappa, non riuscendo però a distanziare gli avversari. Nei due giorni successivi ha chiuso al terzo e al secondo posto: battuto prima da un paio di velocisti di professione come Kooij e Pluimers, poi dal fuggitivo di giornata, il norvegese Fredrik Dversnes, che si è opposto in solitaria al rientro del gruppo, e per una volta ha avuto ragione lui.
Ho sempre pensato alla corsa dei due mari e alla Parigi-Nizza come due gare felici, perché non temono un effetto finale di nostalgia. Sabato c’è già la Sanremo, e poi ci si sposterà nel nord Europa per la stagione delle classiche. Sarà un lungo viaggio fino al Giro di Lombardia di metà ottobre.

A San Benedetto del Tronto, sul lungomare, è presente dal 1997 il Monumento Nespolo. L’opera riporta alcuni versi di Dino Campana: “Lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare”. Anche i rumori delle ruote che girano, dei freni che stridono, delle catene che si muovono tra i rapporti, delle bici che solcano il pavé…


Come una bistecca

Lo chiamano, in maniera concisa, "Tadej Pogačar", forse perché “Campione del mondo, capace di conquistare quasi ogni corsa a cui si presenta e pure la terza Strade Bianche - raggiunto Cancellara - anche quando inizialmente non riesce a staccare tutti i suoi avversari, sbaglia in malo modo una curva, cade e si fa male e arriva al traguardo insanguinato, ma vincente” sembrava troppo lungo.

Nella collezione delle sue vittorie ne mancava una in cui all’arrivo pareva la bistecca tanto desiderata da Vincent Vega in Pulp Fiction: grondante sangue. Nelle foto della Strade Bianche abbiamo visto gente arrivare con facce da golem, altri come mummie risvegliate da un sonno millenario, altri ancora buttarsi per terra stremata dalla fatica, ancora un po’ serviva qualche macchinario per fargli riprendere fiato, oppure chi ancora lo abbiamo visto tagliare il traguardo dopo aver saltato un pezzo di percorso ed essere ugualmente inseriti erroneamente nell’ordine d’arrivo. Ma non abbiamo mai visto vincere qualcuno conciato in questa maniera, almeno non qui a Siena.
Si va a prendere pure questo primato Pogačar, che a 26 anni infila l’ennesima grande vittoria della sua carriera, questa, per certi versi, la più scontata alla vigilia, per quello che è successo in corsa intorno alle tre e venticinque di oggi pomeriggio, con un effetto sorpresa che a tratti ha smarrito spettatori, tifosi, membri del suo team. Forse per qualche attimo anche lui e gli avversari.

Quando ha ripreso Pidcock - o meglio Pidcock, grande corsa la sua, lo ha aspettato - abbiamo provato ad analizzare al dettaglio ogni piccola smorfia del suo volto, abbiamo fatto la conta dei tagli sulla spalla, sulle mani, sulle gambe come fossimo novelli studenti di anatomia. Abbiamo vissuto un paradosso: pensavamo che così ammaccato non ce l’avrebbe fatta e invece, un’ora più tardi della caduta, ha tagliato il traguardo di Piazza del Campo a Siena festeggiando con i tifosi.

Quei tifosi che ancora oggi si dividono: c’è chi si esalta, chi è stufo, chi vorrebbe vedere qualcuno in grado di contrastarlo, ma come abbiamo già detto altre volte, lui appartiene a un altro mondo, a quello dei più grandi di sempre. Ed è questo che oggi importa. Scambiamoci un saluto in segno di pace e rendiamo grazie a questo qui capace di arrivare sorridendo e vincere anche quando è conciato come una bistecca.


10 nomi da seguire alla Strade Bianche

Alla Strade Bianche 2025 Tadej Pogačar avrà pochi avversari. Ha vinto due delle ultime tre edizioni con un totale di centotrentuno chilometri di fuga, con una settantina farebbe cifra tonda o poco più, con ottanta avrebbe passato in fuga interamente almeno una delle tre Strade Bianche vinte (sì, ok, la terza deve ancora vincerla...) come puntualizza un lettore nel nostro gruppo Telegram.

Pochi avversari, nessun alter ego. Uno può essere proprio lo stesso Pogačar, ma non riesco a pensare come possa andare contro se stesso, non ha mai dato segni di scompenso in tal senso. L’altro avversario, più plausibile, in uno sport dove “può accadere di tutto”, al massimo sarebbe legato a qualche fattore esterno come una caduta, una foratura in un momento chiave, per il resto è difficile immaginare lo sloveno sconfitto in una corsa perfetta per lui sotto ogni punto di vista.

RCS l’ha indurita lo scorso anno, venendo ancora di più incontro alle caratteristiche del campione del mondo in carica e per il 2025 ha aggiunto altri (quasi) 10 km in più di sterrato, anche se, giova ricordare come, andando verso l’arrivo, le "strade bianche" diminuiscano nettamente rispetto alla parte centrale in cui sono assolute protagoniste.

 

Il nuovo percorso della Strade Bianche vede un paio di km in meno totali, un tratto di sterrato in più (il numero 7, si passa dunque da 15 a 16 sezioni) e qualche centinaia di metri in più di dislivello.

 
Gli avversari più credibili non ci sono: van der Poel, scelta tecnico-tattica direbbe un Fabio Capello d'annata, consapevole forse di andare incontro a una sconfitta, pensa ad altri traguardi e, assente della penultima ora, Van Gils, uno dei più accreditati outsider. Gli altri correranno per il secondo posto, lo hanno già, più o meno, affermato. Lo scenario più credibile è l’attesa di un Pogi-show, come e quando vorrà lui e dietro rimescolamenti, caos, magari organizzato, gara al ciapa no dove, via via, usciranno alla distanza i corridori più tagliati per fondo- corsa molto esigente con un finale verso Siena che spacca le gambe - forma, capacità di tenere ai continui su e giù, sia in sterrato che non. Sempre che qualcuno non sia preso dalla voglia di provarci veramente (anticipando, inventandosi qualcosa, magari anche seguire Pogačar con il rischio di saltare per aria e buttare via un buon piazzamento) e non partire battuto, come ha, piuttosto banalmente, ricordato Michael Albasini, uno dei DS della Q36.5, la squadra di Tom Pidcock: «Pogačar è il più forte ed è il favorito, ma se parti sconfitto di testa, lui sarà ancora più imbattibile».

I nomi che possono concorrere al podio sono diversi: da Scaroni a Pidcock, fino a Van Eetvelt, passando per corridori più esperti come Kwiatkowski, Bilbao, Skuijns, Wellens ad altri più giovani come Vacek, Grégoire, Adria Simmons, o magari Hirschi, Madouas, Mohorič, Valter o Healy dovessero salire di colpi rispetto alle prime uscite stagionali.

Le sorprese, però, verso Piazza del Campo, potrebbero non mancare come succede spesso. Ed è proprio su questo che voglio basare i dieci nomi da seguire alla Strade Bianche 2025. Quei corridori meno attesi, meno gettonati, magari più lontani dai riflettori (anche se non tutti lo sono tra quelli che seguiranno) e che potrebbero riuscire a ottenere un piazzamento importante al termine di una corsa che, comunque vada, si attende dura, selettiva, di quelle che rimarrà nelle gambe per diversi giorni. Speriamo anche nella mente degli appassionati, anche se ultimamente, quando Pogačar è in gara, la lotta per la vittoria resta annacquata e si divide tra chi gioisce nel vedere e nel vivere un campione che sta scrivendo la storia di questo sport affiancandosi ai più grandi di sempre e chi invece di tutto ciò è un po' stufo.

 

Ben Tulett 🇬🇧 (2001) - Visma Lease a Bike

Il britannico della Visma Lease a Bike sembrerebbe aver finalmente, dopo stagioni complicate coincise con l’addio all’Alpecin, trovato la retta via e per caratteristiche - guida, esplosività, resistenza - è corridore perfetto in un percorso come la Strade Bianche. Fratellino di Pidcock se ce n’è uno (in realtà ce ne sono due, vedremo a breve).

Filippo Zana 🇮🇹 (1999) - Team Jayco AlUla

Insieme a Scaroni è la carta migliore che abbiamo in casa Italia seppure da segnalare le presenze di Formolo - che qui è sempre andato forte, ma non sembra stare benissimo in questo avvio di stagione - Bettiol, Busatto e De Pretto. Adatto a percorsi mossi e a terreni come quelli della Strade Bianche, Zana ha dichiarato di voler migliorare il 9° posto dello scorso anno. Interessante accadesse perché sarebbe un altra conferma della sua crescita come corridore.

Clément Berthet 🇫🇷 (1997) - Decathlon AG2R

Ci sono più francesi da seguire, ormai è una costante, forse il nome più lontano dai radar è quello di Clement Berthet. Ex biker, tiene bene in salita, corre in una delle squadre più forti del gruppo, può ambire a una top ten facendo gara regolare. Certo, in casa Decathlon si parte in tanti con simili ambizioni: Prodhomme, Tronchon e Labrosse sono tutti nomi che possono chiudere nelle prime 20 posizioni, magari qualcuno di loro anche qualcosa meglio.

Joe Blackmore 🇬🇧 (2003) - IPT

Altro fratellino di Pidcock è Joe Blackmore. Anche lui con un passato nel fuoristrada e per caratteristiche, esplosivo, tiene bene in salite più o meno lunghe, sarà un corridore da tenere d’occhio. È all’esordio assoluto sugli sterrati delle Strade Bianche, ma questo non dovrebbe frenare le sue ambizioni che sono alte e può anche puntare a essere una delle sorprese di giornata.

Alan Hatherly 🇿🇦 (1996) -Team Jayco AlUla

Sarà tutta una scoperta per lui e per la squadra. Nelle sue prime sparate stagionali su strada - AlUla Tour - ha già chiuso davanti a tanti bei corridori. Vero, domani verso Piazza del Campo si troverà a dover gestire un contesto completamente differente e probabilmente sarà chiamato a dare una mano alla squadra, però, se nel caos degli sterrati dovessimo vederlo uscire nelle prime venti, venticinque posizioni non saremmo stupiti. Il dubbio, piuttosto, è sulla distanza, anche se i suoi giurano che diventerà forte anche lì.

Carlos Canal  🇪🇸 (2001) - Movistar

Uno che potrebbe diventare specialista di questa corsa: Carlos Canal, anche se bisogna ammettere come il galiziano forse avrebbe preferito la vecchia versione di Strade Bianche, quella più vicina ai puncheur che agli scalatori. Anche lui, però, con background da crossista e buone doti di fondo, ne può recuperare tanti strada facendo e provare a raggiungere un’ambiziosa top ten

Kévin Vauquelin  🇫🇷 (2001) - Arkéa B&B Hotels

Occhio a Vauquelin che lo scorso anno chiuse a ridosso dei primi 20 all’esordio in questa corsa e che è l’esempio più fulgido a livello mondiale di corridore che migliora di corsa in corsa. A suo agio su certi percorsi, potrebbe pure anticipare e poi tentare di resistere in ottica piazzamento nei primi 10. Alla sua portata.

Louis Barrè 🇫🇷 (2000) - Intermarché Wanty

Tra i corridori più continui di questo inizio di stagione c'è Louis Barrè, corridore completo, capace di andare forte su percorsi vallonati o sulle pietre, di tenere discretamente bene su salite brevi e dotato anche di un discreto spunto. Forse, come tutti quei corridori buoni ovunque, ma forti veramente da nessuna parte, rischia di vincere poco in carriera, ma ciò che importa è che domani alla Strade Bianche possa continuare a mantenere il filotto di risultati in stagione dove non è mai andato peggio che 17°. Da valutare la tenuta: in corse molto lunghe finora non ha mai ottenuto grandi risultati.

Albert Withen Philipsen 🇩🇰 (2006) - Lidl Trek

Menzione d’onore per il più giovane al via che non domani, certo, ma in futuro, sì, potrà tornare su queste strade per vincere. Il danese farà esperienza, aiuterà la squadra e qualsiasi risultato verrà sarà positivo. Tanto il futuro è suo.


Tobias Halland Johannessen 🇳🇴 (1999) - Uno X Mobility

La Uno X è squadra che passa sotto traccia nei pronostici, ma riesce spesso a sorprendere con piazzamenti o persino vittorie anche in corse che contano: l’ultimo esempio è Wærenskjold alla Omloop Niewsublad di settimana scorsa. Potrà essere la giornata di Tobias Halland Johannessen? Chissà. Il più forte dei due gemelli norvegesi sarebbe tagliato perfettamente per un percorso di questo genere avendo anche lui un passato nel ciclocross ed essendo amante di percorsi impegnativi come quello che si presenterà ai corridori nelle prossime ore. Ce lo aspettiamo in fuga mentre magari Cort Nielsen, apparso in grande condizione in questo inizio di stagione, potrà nascondersi nelle pieghe e provare a fare risultato pescando avversari a strascico. Uno dei due nordici in top ten potrebbero essere una scommessa interessante.


Dispacci dal World Tour #6

Tanto tuonò che alla fine non piovve, ma nemmeno una goccia, sia in senso figurato che letterale. Fine settimana asciutto, seppure fresco, in Belgio e che lascia un sapore amarognolo in bocca, senza nulla togliere ai due vincitori di Omloop Nieuwsblad e Kuurne Brussel Kuurne, due signori vincitori: Søren Wærenskjold e Jasper Philipsen. Fine settimana un po’ sotto tono, non era quello che ci aspettavamo, ma spunti ce ne sono stati ugualmente.

Emerge Søren Wærenskjold in tutta la sua forza e (pre)potenza. Quando la sua squadra, la Uno X, alla Omloop, aveva iniziato a prendere in mano la situazione, cosa che fa spesso al Nord, avevamo sentito suonare nella testa il solito ritornello: “belli da vedere nella loro casacca giallorossa, ma ancora non pronti a competere per il successo e a volte fuori tempo. Poi, vuoi mettere con tutti quei nomi che ci sono davanti?”. E invece Søren Wærenskjold, classe 2000 norvegese con un passato importante in tutte le categorie giovanili, dove ha sempre lasciato il segno e un presente che fa il velocista adatto pure alle prove contro il tempo, vince. 14° successo in carriera tra i professionisti, mica male. Primo successo in una corsa in linea del WT. Per fare un confronto con altri talenti, più o meno coetanei, gente come Milan, Ayuso, Skjelmose corse di un giorno nel World Tour non ne ha mai vinte. Girmay, De Lie e Kooij sono a quota una, esattamente come il norvegese.

Cosa sta succedendo a Wout van Aert (e in generale alla Visma)?, squadra apparsa lontana parente di quella che negli ultimi anni ha spesso dominato al Nord, quando van der Poel e Pogačar lo hanno permesso? Succede che è tutta conseguenza di ciò che pare essere in questo momento il proprio leader, che ha poche gambe e poca testa. Wout van Aert ha passato la giornata tra Gent e Ninove a inseguire, a fare buchi, spesso sorpreso in coda al gruppo nelle (poche, per la verità) azioni che i migliori portavano avanti nel tentativo di sgranare o mandare via la fuga giusta. Matteo Jorgenson, al suo esordio stagionale, non è mai parso ispiratissimo, Tiesj Benoot si è incaricato del lavoro sporco, Per Strand Hagenes e Matthew Brennan sono giovani e arriveranno, ma non è questo il loro momento. Qualcuno potrà vedere il bicchiere mezzo pieno ribaltando la chiave di lettura: spesso gli anni scorsi si sono presentati in forma e dominanti all’inizio della Campagna del Nord salvo poi calare alla distanza - anche per via di cadute, malanni, eccetera. Il problema è che in questo week end mancavano Pogačar e van der Poel e queste sono le occasioni in cui non solo raccogliere - d'altra parte vince solo uno - ma anche mostrare qualcosa di buono. Quello che invece ha mostrato la Visma sono i segni di una squadra in difficoltà.

Non che Red Bull, UAE e Lidl abbiano fatto vedere chissà cosa, sia chiaro, ma siamo solo all'inizio. L’UAE Team Emirates pensava di fare la selezione, ha portato una squadra per giocarsela facendo la corsa dura, ma così non è stato: Tim Wellens c’ha messo più cuore che gambe, Jhonatan Narvaez non ha lo smalto di gennaio, ma lo recupererà, Nils Politt si è visto poco e niente, Antonio Morgado sbaglia ancora del tutto i tempi. A questa UAE serve Pogačar anche al Nord, va detto, manco stessimo parlando del campione del mondo e più forte corridore degli ultimi anni.

Oltre al sorprendente successo di Wærenskjold, da sottolineare la bellezza delle prove da parte di uno slovacco e di un ceco, di Lukáš Kubiš e di Mathias Vacek. Il primo è un classe 2000 che se ne esce con un 6° e un 9° posto dal week end in terra belga. Erano le sue prime corse World Tour in carriera e le ha affrontate con la squadra cenerentola del gruppo, la Unibet Tietema Rockets, squadra che conferma ancora una volta la bontà del lavoro di scoperta e reclutamento. Kubiš, facilmente distinguibile per la maglia di campione slovacco, oltre a piazzarsi bene e con disinvoltura in volata è stato sempre tra i migliori sui muri ed era entrato anche nell’azione con (quasi) tutti i migliori che alla Omloop Nieuwsblad pareva potesse andare al traguardo. A proposito di migliore sui muri: Mathias Vacek. Il corridore ceco della Lidl Trek è sicuramente la nota più positiva di un week end che ha visto le grandi squadre del gruppo (UAE, Red Bull, Visma e Lidl Trek) prendere qualche ceffone inaspettato e raccogliere molto meno del previsto - il secondo posto di Kooij è il miglior risultato e arriva alla Kuurne, mentre alla Omloop il miglior piazzamento è di van Aert: 11°. Vacek, tuttavia, è il corridore che desta la migliore impressione sui muri. Vediamo fra qualche settimana fin dove potrà arrivare il classe 2002, quando, con il rientro in corsa di Pogačar, van der Poel e Pedersen e la crescita degli altri avversari, il livello si alzerà.

Jasper Philipsen è un altro che quei muri li affronta davanti e in modo brillante e, visto l’esito delle due corse (3° e 1°), non sembra nemmeno aver perso lo smalto in volata. Ha fatto la gamba all’UAE dove invece aveva subito cocenti sconfitte da Merlier e Milan, prendendosi la rivincita nel momento migliore. A inizio stagione aveva detto come questa sarebbe stata una stagione fondamentale per capire quanto fosse cresciuto nelle corse di un giorno in Belgio. Per il momento tutto ok.

Vorrei parlare dell’Italia, ma c’è veramente poco da dire: Milan è il migliore della due giorni (6° alla KBK), Trentin è il solito, sempre presente nelle azioni salienti,  Albanese desta una buona impressione su pietre e strappetti. Il resto è notte fonda, ma è un buio a cui, salvo eccezioni, ci stiamo ormai abituando.

Foto: Sprint Cycling Agency


Dispacci dal World Tour #5

La settimana del World Tour riparte dall’UAE Tour e dall’UAE Team Emirates, in particolar modo dal numero uno al mondo, Tadej Pogačar, numero uno di fatto, di maglia e a fine corsa:  vince due tappe su due con arrivo in salita e conquista la classifica finale. Non si limiterà a controllare o vincere, ma stravincerà. Dà spettacolo anche quando calca la mano, forse un po’ troppo: attacca in pianura in una tappa a cui lui non avrebbe dovuto chiedere nulla perché nulla avrebbe dovuto ricevere in cambio. Una tappa piatta in mezzo al niente. Però, si sa, è fatto così: «avevo fatto una scommessa con Florian Vermeersch, mio compagno di squadra - ha raccontato al termine della quinta giornata, su sette, di gara - qualora avessi vinto la tappa lui si sarebbe tatuato il suo soprannome».

C’è una scena particolare che resta sempre da quel giorno ed è il momento in cui il gruppetto in fuga (dentro oltre a Pogačar e al solito mix italo-centroamericano formato da corridori di Vf Group Bardiani e Solution Tech, ci sono anche van Eetvelt e Langellotti, uomini di classifica, e Novak compagno di squadra dello sloveno campione del mondo) incrocia da una carreggiata all’altra il gruppo inseguitore e Novak saluta con gesto di scherno. Hybris o goliardia fate voi, in gruppo rispondono sottintendendo, platealmente, “ci vediamo dopo!”. Chissà come sarà andata nel dietro le quinte di quello show. Fatto sta che una volta ripresi il finale sarà un caos tra cadute prima e durante la volata e persino dopo il traguardo, con Merlier, vincitore, che si ribalta, inscenando un virtuoso treesessanta non riuscito del tutto, nel tentativo di evitare un cameraman, rischiando di farsi molto male, seriamente male.

Altro momento della corsa lo regala Jonathan Milan che vince due volate in modi totalmente differenti. La prima nella tappa d’apertura con arrivo in leggera salita, partendo da lontano, sfruttando i rilanci altrui e offrendo una progressione e una resistenza che ha visto finora pochi eguali in sprint di gruppo. Una delle sue volate più belle… fino a due giorni dopo, quando, sulla linea del traguardo, batte Tim Merlier e Jasper Philipsen. Prove generali di Tour de France, dove i tre più forti sprinter al mondo si ritroveranno a giocarsi l’ambito appellativo. Al momento non ci vergogniamo a sbilanciarci e sostenere che, forse, il corridore friulano ha qualcosa in più degli altri, a partire dai margini dati dall'età. La volata è stata un compendio di meraviglie dello sprint: Simone Consonni pilota Milan partendo come una pallottola e permettendo al suo compagno, anche di nazionale su pista, di iniziare il suo sprint in testa. Milan parte alla pari con Welsford: l’italiano vincerà, l'australiano chiuderà 17°, questo a simboleggiare lo strapotere milaniano. Bert Van Lerberghe trascina fuori Merlier dal pantano della venticinquesima, trentesima posizione, lasciandolo a ruota di Milan nel momento più opportuno, Jasper Philipsen si muove col solo Robbe Ghys in aiuto e i tre riusciranno a regalarci uno sprint ricco di classe, velocità, esplosività, potenza, magnetismo. Vero che gli sprint fanno paura, ma con quei tre sanno essere anche un grande divertimento.

Poi, certo, non vogliamo peccare di partigianeria e va detto come Merlier pareggi i conti a fine corsa sul 2-2, vincendo tappa 5 e tappa 6, inventandosi un’azione d’anticipo strepitosa tutta da rivedere, partendo dalla quindicesima posizione e vincendo per distacco, azione da lasciare a bocca aperta e che finisce dritta dritta nell'immaginario libro dei migliori ricordi della stagione che tutti pensiamo di compilare e completare quando siamo ancora a febbraio.

Due parole per uno che più giovanissimo non è ma che sembra aver maturato la giusta intenzione: Giulio Ciccone è nella dimensione di chi si può giocare le grandi corse e qui lo ha dimostrato, mostrando persino miglioramenti a cronometro. Peccato sia nell'epoca dei fenomeni, ma quando ne avrà l'occasione (ovvero le assenze di quelli lì) dovrà coglierla, magari al Giro.

E applausi finali per due corridori ancora acerbi: Ivan Romeo che cresce, ne abbiamo già parlato e visto che è giovane lo diciamo come direbbe la sua generazione: gasa. Chiude quarto la classifica generale conquistando la maglia di miglior giovane. Joshua Tarling che vince la cronometro, settima vittoria tra i professionisti, seconda nel World Tour per un ragazzo che ha compiuto 21 anni dieci giorni fa esatti. Tarling ha tenuto per diversi giorni la maglia bianca e ha provato anche a resistere in salita. Occhio a lui nelle classiche del Nord perché è completo e ha il profilo giusto.


Dispacci dal World Tour #4

Ancora niente World Tour, ma, nella settimana in cui è passato San Valentino, siamo qui a parlare di amore: Egan Bernal e Ivan Romeo,  c'è pure assonanza.

Egan Bernal tornato alla vittoria è un fatto tutt'altro che banale ed è quello che ci interessa. Quando taglia il traguardo nella prova in linea del campionate nazionale colombiano si lascia andare e mima con le mani, gesticolando, il cuore. Forse dedicato a qualcuno oppure gli sarà venuto fuori così, in un impeto d'amore e passione; forse non importa perché a volte ci sono delle vittorie che hanno un sapore diverso a seconda di chi le ottiene e da come arrivano.

A Egan Bernal abbiamo imparato a volere bene, da subito. Abbiamo studiato il suo passato, da dove arriva. La sua storia la conosciamo e l'abbiamo raccontata in diverse salse. Lo abbiamo tifato, al Giro d'Italia del 2021, quando vinse, senza stravincere,  perché già quella volta subentrarono gli scricchiolii alla schiena che ne hanno condizionato una buona parte di carriera. Abbiamo tutti negli occhi l'immagine di Daniel Felipe Martinez che lo sprona in un momento di difficoltà, sembrò affondare e invece restò a galla. Quel Giro d'Italia fu la sua ultima vittoria per anni. Bernal che, quando iniziò a farsi vedere nel 2018 sembrava destinato a dominare, ma il futuro non è mai una pagina scritta ben chiara. A volte quell'inchiostro è come uno scherzo che tende a consumarsi, a scomparire.

Nessuno avrebbe mai immaginato le pieghe che avrebbe preso la sua vita, quell'incidente nel gennaio del 2022 che poteva cancellarlo via per sempre e poi rischiò di spezzarne la carriera. Si è rimesso e tempo ce ne ha messo per ritornare ad alzare le braccia al cielo. Parafrasando Orwell, ci sono vittorie e vittorie e questa è più vittoria di altre - ci sia perdonata la formuletta semplice semplice.

E siccome si parla d'amore non potevamo che omaggiare il suo ritorno al successo 1347 giorni dopo quella volta al Giro d'Italia. Ha conquistato il titolo nazionale a cronometro, vincendo poi, due giorni dopo, anche la prova in linea, su un tracciato impegnativo, come sono sempre impegnativi i tracciati che si trovano in Colombia, 237 km che non davano scampo. Se n'è andato nel finale con Diego Camargo - dopo un grande lavoro dell'amico e compagno di squadra Rivera. Ha staccato Camargo e ha vinto, ha mostrato il cuore, ci ha fatto gioire, e all'improvviso, così pare, lo vedremo al Giro. La scelta è quella giusta, non per nostro egoismo, ma per Bernal: tornare competitivo e mostrarlo al Giro è un conto, andare al macello al Tour è un altro.

Lo ritroveremo dalle prossime gare riconoscibilissimo con la maglia di campione colombiano: un regalo che si è fatto, che ci ha fatto, che ha fatto alla sua famiglia, a Ronald, suo fratello, che lo ha applaudito commosso sotto il palco. Come accadeva 6 anni fa al Tour. Lo rivedremo alla Strade Bianche dove ci fece ammattire nel 2021 in quella che fu una fuga con tutto il meglio del ciclismo e che a vederla oggi sembra il prologo di ciò che sarebbe avvenuto gli anni dopo, quasi un manifesto o un teorema.

Sarà presente nelle prossime settimane alla Tirreno-Adriatico: si testerà sui 9.9 km della cronometro. Come ha raccontato di recente il suo allenatore, il suo rendimento in una prova contro il tempo e con atleti di alto livello sarà il termometro di come sta veramente Bernal. Lì non si potrà mentire.

Abbiamo accennato che, in una puntata in cui si parla d'amore, non potevamo esimerci dal nominare Ivan Romeo. Il campione del mondo tra gli Under 23, vincitore anche di una bella tappa al Tour de l'Avenir, oltre al nome che richiama romantiche tradizioni, è uno spilungone che va forte ovunque e comunque come successo di recente in una tappa della Volta Comunitat Valenciana. Di solito gli piace andare all'attacco scrollandosi di dosso la compagnia altrui. Più che un egoista è un solitario, uno che probabilmente farebbe il guardiano del faro, vivessimo in un'altra epoca. Ama la fuga, ama la montagna, ama la cronometro, ama le azioni da lontano, ma anche quelle in prossimità del traguardo: gli basta sentire un ronzio nella testa e un prurito nelle cosce e se ci aggiungi un cavalcavia lui parte e va. Noi lo amiamo già. Anzi li amiamo. Forza Romeo, forza Bernal.


Dispacci dal World Tour #3

Prima di ripartire dal medio oriente (dal 17 febbraio con l'UAE Tour, quel giorno farà anche l'esordio stagionale Pogačar) il World Tour scrive l'ultimo capitolo del racconto australiano della stagione 2025, una lunga premessa ai discorsi che si svilupperanno lungo l'arco della stagione. Gli spunti sono rimasti soltanto abbozzati, ciò che abbiamo visto al Tour Down Under non è stato rivelatorio per la Cadel Evans Great Ocean Road Race (le corse cambiano nome, molto spesso e in realtà non ho capito se si chiama ufficialmente ancora così, ma credo possa andare bene lo stesso), che piaccia o no, la prima corsa di un giorno del massimo calendario mondiale del ciclismo maschile. In una giornata caldissima e selettiva ne esce fuori Mauro Schmid avvezzo alle montagne russe in fatto di continuità, che si lasciò male qualche stagione fa con la Quick Step entrando anche lui nel lungo elenco di corridori svergognati da Lefevere a mezzo stampa nei tanti anni in cui l'ex Team Manager belga, andato in pensione quest'anno, ha usato i microfoni nel tentativo da una parte di stimolare, dall'altra di screditare il lavoro dei suoi corridori.

Fatto sta che Schmid è un mastino, gli manca la continuità, ma nonostante tutto si sta costruendo una bella carriera, considerando la giovane età (25 anni) e i diversi periodi persi tra infortuni, lo scorso anno, separazioni improvvise (per l'appunto con la Quick Step) o momenti complicati (vedi la chiusura della Qhubeka nel 2021). Ha vinto una tappa al Giro, primo successo in carriera da professionista, una vittoria tutt'altro che semplice a dimostrazione della sua duttilità: sua la tappa degli sterrati di Montalcino, dominando in uno sprint a due Covi, dopo una lunga fuga. Ha vinto tre brevi corse a tappe: nel 2022 il Giro del Belgio, nel 2023 la Coppi & Bartali, nel 2024 il Giro di Slovacchia. Va forte a cronometro, si difende nelle salite brevi, è veloce, si esalta con condizioni di meteo complicate. Corridore trasversale, che dove lo metti sta, alla costante ricerca di quel risultato che lo possa proiettare ai vertici assoluti.

Sono state difficile le condizioni con cui è andato a vincere alla Cadel Evans Road Race, prima corsa di un giorno vinta a parte il campionato svizzero lo scorso anno: avverse per il grande caldo che lui non teme e difatti è emerso, grazie anche all'aiuto di una squadra che, perso Plapp (ne avrà per un po' causa operazione a un polso), ha puntato tutto su di lui che ha potuto contare sull'aiuto di Harper e Durbridge, ancora una volta tra i migliori gregari al mondo. E puntare su Schmid alla fine è valso un successo "in casa" importante, dopo un Tour Down Under più complicato del previsto per la squadra di matrice australiana al momento sponsorizzata da un distretto saudita che vuole promuovere il turismo in quella zona. Schmid, sfruttando anche l'immenso lavoro di Harper, anticipa, infila e precede un gruppetto molto ben assortito che nell'ordine gli finisce dietro così: Aaron Gate, Laurence Pithie, Javier Romo, Andrea Bagioli, Corbin Strong, Magnus Sheffield, Remy Rochas, Oscar Onley.

C'entra solo in parte con il World Tour, ma spendo due parole sul ritiro dall'attività agonistica di Karel Vacek, avvenuto nei giorni in cui suo fratello Mathias continua a progredire in maglia Lidl Trek facendo presagire sempre di più un futuro da grandissimo corridore, sia come uomo squadra che come capitano su diversi terreni (in particolare le gare di un giorno). Karel Vacek annuncia il ritiro e da un punto di vista strettamente agonistico o riflessioni riguardanti i risultati ottenuti ne lascia pochi, da professionista un solo momento brillante, tra l'altro venuto fuori in una delle più brutte tappe della storia del Giro d'Italia, ovvero quella del Gran Sasso nel 2023 quando il gruppo dei migliori quasi scioperò lasciando alla fuga la possibilità di giocarsi il successo. Lui arrivò secondo battuto da Davide Bais.

Karel Vacek condivide con pochi altri un singolare primato, ovvero quello dell'aver relegato Remco Evenepoel al secondo posto in una corsa del 2018. Anzi lui ha fatto meglio perché c’è riuscito due volte, come nessun altro e all'epoca prometteva di diventare un buonissimo corridore - non di certo un talento generazionale, sia chiaro. Questo, anche per farci capire come le cose possono cambiare quando si va forti nelle categorie giovanili: non sempre si riescono a mantenere le promesse e l'elenco è infinito anche a partire da i nomi che arriveranno a breve.

Vacek vinse davanti a Evenepoel la quinta tappa della Course de la Paix Juniors un arrivo in salita in cui relegò allo sprint, oltre a Evenepoel, Tiberi, il norvegese Aasheim e Samuele Rubino. Anche questi ultimi due non hanno avuto poi molta fortuna nel ciclismo finendo uno per ritrarsi nel 2021 e l'altro al termine della scorsa stagione. Vacek di nuovo finì davanti a Remco poche settimane dopo nella crono del Lunigiana.

Gli altri corridori con cui condivide questa statistica il buon Karel Vacek: Luca de Meester (ovvero Luca il Maestro), era il Trofeo Serge Baguet di Sint Maria Lierde. Dopo essere stato all'attacco tutto il giorno, de Meester vinse lo sprint a tre contro Remco e Vandenabeele. Oggi de Meester corre con la Wagner Bazin e insegue il primo successo tra i professionisti.

Joe Laverick nel prologo della  Ster van Zuid-Limburg, stesso tempo di Remco, vinse per una questione di centesimi. Oggi Laverick, che è stata una buona promessa del ciclismo britannico e internazionale, fa il giornalista.

Søren Wærenskjold, di nuovo a cronometro, e di nuovo per un'incollatura, stavolta non sono centesimi ma un secondo: il norvegese, che tutti conosciamo perché va forte sia come velocista, che come specialista delle crono brevi e come pesce pilota, lo superò nella seconda tappa del Trophée Morbihan - Remco poi vinse la classifica finale davanti ad Andrea Piccolo.

Bini Girmay alla Aubel Stavelot Juniors superò Evenepoel allo sprint dopo che i due avevano anticipato il gruppo partendo lontani dal traguardo. Evenepoel quel giorno indossava la maglia da campione europeo ed era grande favorito, Girmay era ancora uno sconosciuto che correva con la maglia del Centre Mondial du Cyclisme. Bini è stato anche il primo classe 2000 a imporsi in una gara tra i professionisti (23 gennaio 2019) anticipando di qualche mese proprio Evenepoel.

Infine Fredrik Thomsen, danese, il quale, sempre alla Aubel Stavelot Juniors, si prese il lusso di battere Evenepoel in uno sprint a due dopo una tappa dura e ricca di salitelle che decise la classifica finale, vinta da Evenepoel. La carriera del danese durò poco: dopo qualche apparizione tra i dilettanti, esclusivamente in corse di casa sua, si ritira nel 2023.


Dispacci dal World Tour #2

Se fosse una canzone sarebbe, molto banalmente, Johnny B. Goode, singolo scritto e interpretato nel 1958 da Chuck Berry che fece la storia del rock and roll. Johnny B. Goode racconta un sogno, in quel caso il sogno americano, ma è forma universale, di talento e riscatto.

Se fosse un animale sarebbe una lucertola, anzi lo è, perché Jhonatan Manuel Narváez Prado, all'anagrafe, è soprannominato El Lagarto, la lucertola per l'appunto e tutto ciò è semplicemente perfetto. Viene da chiedersi, visto il suo modo di interpretare le corse, cos'è nato prima: il corridore o il soprannome? In realtà ci pensa lui a sgomberare il campo da ogni fraintendimento: «arriva da mio padre e poi da mio fratello - raccontava qualche tempo fa il corridore ecuadoriano - anche loro correvano in bici, li chiamavano così e il nomignolo si è tramandato». Studi scientifici ci raccontano di come la lucertola sia un animale lento (ok, non è proprio il caso di Narvaez, ma non facciamo i pignoli), ma particolarmente intelligente. Secondo due etologi della Duke University, infatti, la lucertola ha dimostrato di usare astutamente quello di cui madre natura l'ha graziata per raggiungere scopi ben definiti. Per  la lucertola si tratta di trovare il cibo, la sopravvivenza, per El Lagarto Narvaez, cercare la vittoria o, come abbiamo visto finora in carriera, aiutare i suoi capitani a focalizzarsi e poi raggiungere l'obiettivo prefissato.

Narvaez, in gruppo, si muove bene, si vede poco, a volte scivola, ma in bici ci sa andare.  Rappresenta quello che nel ciclismo chiamano tuttofare. Se non facesse il ciclista probabilmente sarebbe capace di risolvere enigmi e allo stesso tempo sistemarti ogni problema a casa. Se fosse il personaggio di un film, sarebbe il Mr Wolf di Pulp Fiction. Narvaez, quando vede un traguardo, si alza sui pedali e sa che può vincere. Ha raccolto, forse, persino meno di quello che poteva finora. Sostiene di essere  il primo ecuadoriano a vincere in Europa, accadde quando era un ragazzino vincendo una tappa alla Vuelta al Besaya Juniors, in Spagna, davanti a Juanpe Lopez. Solo poche settimane fa faceva man bassa di traguardi nel velodromo di Aguascalientes ai campionati di categoria panamericani, su pista.

Ha sangue freddo e, come quasi tutti i corridori che arrivano da quelle latitudini, ama le basse temperature e non si infastidisce se fuori piove: il primo grande successo in carriera arrivò al Giro d'Italia del 2020, quello corso a ottobre. Fu una giornata terribile che portava il gruppo a Cesenatico. Sullo sfondo il mare grigio come solo il mare sa essere grigio in certi momenti del suo ciclo vitale; il contorno era, più che uggioso, stantio, di quella grigia fermezza di una giornata tipicamente invernale. Fredda, che intorpidisce. Attaccò e nessuno lo rivide più fino al traguardo. Vestiva, come ha vestito fino a pochi mesi fa, la maglia della INEOS.

Ora è passato in UAE Team Emirates, la squadra numero del mondo in cui corre il numero al mondo, Pogacar. Lo aiuterà al Nord e porbabilmente non slolo, facilmente, come fatto in passato con la squadra inglese, scalerà le gerarchie. Ha vinto al tour Down Under la sua prima classifica generale di una corsa World Tour e salirà, salirà, salirà, proprio come fanno le lucertole.


Dispacci dal World Tour #1

Tour Down Under è i suoi "verdetti" (?). Il punto di domanda è enfatizzato ed enfatizzante, perché ciò che accade in Australia è sempre da prendere con le pinze: siamo a gennaio, ciclismo che spesso vuol dire poco in chiave cuore della stagione, ma per chi corre e magari vince o cerca le migliori sensazioni, resta una corsa attesa, importante, da verdetti, sì.

Ci sono state le volate di Welsford - con tanto di scorrettezze di un paio di compagni di squadra che, non per fare i moralisti, ma non ci sono per nulla piaciute. Welsford ne ha vinte tre su... tre fra quelle disputate. Una l'ha conquistata Coquard, quando non c'era Welsford a rompere le scatole. Coquard ha esultato nella quarta tappa, c'è stata più selezione, e la cosa non è che gli capiti molto spesso. A noi fa piacere vederlo così, a braccia alzate. C'è stata la vittoria ottenuta con forza, tigna, furbizia, tempismo, di Javier Romo, con quella faccia da Jacob Elordi, tutt'altro che banale, la vittoria, non la somiglianza. È stato, per una volta, più concreto che bello: è al primo successo in carriera e fa gioire la Movistar (Team), squadra che, come si dice in questi casi, soprattutto in casi di scarsa prolificità, non è proprio una vincitrice seriale.

C'è stato Jay Vine che ha il vizio tremendo di farci spaventare, di cadere e farsi male: ragazzo, fai qualcosa, perché così non va bene. Arriva lo stesso al traguardo, ma sembra più una citazione da La Mummia. Un suo compagno di squadra, Jonathan Narvaez, invece, cambia casacca (dal rossonero Ineos, al bianconero, o quello che, è UAE), ma non il sano vizio intrapreso nelle ultime stagioni. Sa come si vince, lo sa fare bene e in modo differente, poi, certo, se sono tappe in cui la strada tira all'insù, lui, nato e cresciuto in altura, ci va a nozze. Tappa vinta a Willunga Hill e classifica generale. È la terza corsa a tappe in carriera, la più importante, dopo Coppi e Bartali e Giro dell'Austria. Piccoli passi portano lontano. Oltre alle vittorie, degli altri, inizia a brillare la stella di Albert Withen Philipsen. Settembre 2006, vuol dire che non ha ancora 19 anni. Lo avevamo detto un paio di anni fa di avere sensazioni particolari su di lui, quelle sensazioni lui le sta già tramutando in realtà, quel polline magico delle fiabe sta già entrando in una dimensione più concreta. Sì, ci sbilanciamo: questo è uno di quelli che diventerà forte ma di quelli di categoria o dimensione superiore.

Gli italiani? Brava gente, parafrasando l'abusato modo di dire reso celebre da un film di Giuseppe De Santis. La campagna australiana è desolante in tutti i sensi: si è raccolto nulla pur avendo al via corridori di livello  (c'erano i Bettiol, Vendrame, Busatto, tanto per fare tre nomi), ma siamo solo all'inizio, magari non andrà peggio di così.


Van der Poel è tornado

Sei tornato! Ci hai messo veramente poco. C'è chi si è segnato tutto su un foglio e dice che dopo 1'06'' hai raggiunto Toon Aerts e dopo 1'12'' ti sei lanciato in discesa senza temere niente e nessuno, ti sei lasciato andare ed eri già in testa. Da solo.

Sei un tornado, van der Poel, e non c'è stato niente per nessuno. Altri dicono che se non saltassi Benidorm, tanto per dire, vinceresti pure la Coppa del Mondo con quattro gare in meno. Però magari cambi idea strada facendo anche se ultimamente ci hai abituato a poca fantasia da quel punto di vista. Vederti spazzare via il fango di Zonhoven è stato un ritorno ai vecchi tempi, quelli in cui deprimevi e schiacciavi gli avversari e tutto intorno la gente, tantissima, uno spettacolo, ma pure da casa, sul divano - perché nascondersi e non dirlo? - si esaltava a ogni tua pedalata pur vedendo una corsa chiusa già dopo poche curve e pochi metri. Si può ammettere, senza che nessuno si offenda, che ci sei mancato (ora, quando arriverà la stagione su strada speriamo di vederti un po' di più: siamo inguaribili romantici). Aspettando l'altro van...