C’è poco da fare. Chiunque faccia il mestiere del ciclista ha un suo modo di pedalare, di scattare o prendere una borraccia, di vincere o perdere tutto ed è questo modo che riconosciamo e cerchiamo. Quando individuiamo un corridore senza vederne il numero, da lontano, ma siamo certi che sia lui. Anche solo per come muove la testa, per dove tiene le mani sul manubrio. Cerchiamo e, se non troviamo, avvertiamo la mancanza che altro non è se non desiderio di altra ricerca.
Dal 24 gennaio, dal suo incidente vicino a casa, da quando tutto sembrava perso, tutti abbiamo iniziato a cercare Egan Bernal. Esattamente dall’istante dopo, anche se sapevamo che ci sarebbe voluto tempo, tanto tempo. Lo cercavamo, lo ricercavamo, ovvero cercavamo qualcosa che avevamo già trovato e ci aveva già emozionato. Se non trovavamo quel modo di fare il ciclista, cercavamo qualcosa di lui, una notizia, una parola solo per sentire quel modo più vicino. Perché, per quanto sembri assurdo, ma all’interno del gruppo gli stili dei vari corridori sono simili alla composizione di un brano musicale. Chi di musica se ne intende, spiega che è possibile non cogliere il suono basso quando c’è, ma se manca si avverte subito. Così per i ciclisti.
Per esempio, cercavamo lo sguardo al momento dello scatto. Tutti guardano davanti, voltandosi talvolta. Ma non tutti lo fanno allo stesso modo. Cercare Bernal ha significato cercare quel tipo di sguardo rivolto verso le montagne nella fatica. Cercare Bernal dentro e fuori la corsa. Cercare ciò che avrebbe potuto succedere se Bernal fosse stato in corsa, pensare a duelli già adrenalinici ancor più adrenalinici.
Cercare Bernal su una strada del Giro d’Italia, da un furgone in corsa, come è capitato a noi e riconoscerlo dalla forma della pedalata, dalla posizione che è l’altra forma di un uomo che pedala, che è inconfondibile, quasi il tratto di un pittore noto o meno noto, non conta, ma fatto solo e solamente da quel pittore, da quel ciclista. Cercare Bernal, come cercare qualunque altro ciclista, è cercare una diversità.
Sapere che Bernal sta per tornare è un insieme di tutto questo. Già vederlo tornare a pedalare aveva suscitato riflessioni, sensazioni. Vederlo di nuovo in gruppo sarà diverso, ancora meglio. Dicono sarà alla Vuelta a Burgos, il direttore della Vuelta a Espana afferma che correrà anche lì. Suggestioni e realtà, talvolta un confine stretto, di certo uno spazio per continuare a cercare.
In questo tempo di ricerca, Bernal ha parlato di paura, di fare anche ciò di cui si ha paura, forse proprio per questo timore. Ha parlato e scritto di Roma, di come non sia stata costruita in un giorno e per questo sia così bella. Succede qualcosa di simile con la ricerca: il tempo che abbiamo usato per cercare sarà poi il senso di ciò che troveremo quando rivedremo Bernal in gruppo. Il luogo da cui parte un ciclista per andare lontano.