Continua a essere il ciclismo di quelli. Quelli che hanno alzato il livello e scavato un solco con la concorrenza. Quelli che sono due e poi quattro, e diventano cinque e se gliene togli un paio fa tre, almeno fino a quando la matematica non diventerà un’opinione. Continua a essere, anzi in realtà lo è da (relativamente) poco, ma ci stanno prendendo gusto, il ciclismo di Roglič ed Evenepoel che settimana scorsa al Catalunya hanno monopolizzato una corsa schiacciata dall’ingombrante presenza delle Corse del Nord, ma loro due non lo sanno o se ne fregano e hanno cercato di valorizzarla pure con numeri da record nonostante due maglie troppo brutte per essere vere: bianche con qualche inserto, uno verde e l’altro arancione. Una roba inguardabile.
Che c’azzecca il colore delle maglie con le loro prestazioni? Considerato che uno vestirebbe la più prestigiosa e riconoscibile del gruppo, quella iridata, l’altra un paio di anni fa ne sfoggiava un’altra altrettanto bella, quella di campione nazionale sloveno con il Triglav in bella vista – a proposito se non ci siete stati in Slovenia andateci, occhio solo al tratto dopo Postumia perché all’improvviso anche in una giornata di piena primavera si può scatenare l’inferno sotto forma di tempesta di ghiaccio e neve e non è un romanzo fantasy, né una corsa in Belgio – insomma considerato questo è giusto porre l’attenzione su quei pigiamoni da leader delle varie classifiche. Oltretutto così simili tra loro non si capiva chi fosse leader di cosa. Soprattutto a guardare le immagini dallo schermo di un computer.
Il ciclismo di Roglič ed Evenepeol è spettacolo ma pure avanspettacolo e qualche rubrica da seguire nel dopo cena. In Belgio ne vanno matti e per una volta pure in Spagna hanno apprezzato lo sceneggiato. Si beccano, scattano e si staccano, fingono, arrancano, concedono poco o nulla se non qualcosa a un velocista di cui si parla troppo poco – Groves, numero notevole il suo: vince la volata sulla bici di un compagno di squadra – e a un mezzo scalatore, di nome Ciccone: mezzo non perché non sia forte, ma perché l’altra metà sembra altro, un cacciatore di tappe, miste o di montagna, e chi scrive vorrebbe bramoso aizzatore di folle nelle classiche ardennesi, uno di quei corridori su cui bisognerebbe puntare per rimpinguare la magrissima pancia del ciclismo italiano ormai sempre più rachitico alla stregua di tutte le altre nazionali del ciclismo che contano da pochi anni o hanno sempre contato. Insomma quell’abruzzese che a 29 anni come da tradizione nostra è pronto e maturo per traguardi più importanti ed è pronto a lanciare una scialuppa al 2023 italico.
Catalunya, o Catalunya, dunque: cosa ci hai detto di memorabile? In a nutshell scrivono o persino dicono quelli che parlano male: al Giro Roglič ed Evenepoel continueranno a dare spettacolo, a punzecchiarsi, lo faranno per loro e per noi, ci faranno divertire e sinceramente a oggi non sapremmo nemmeno dire chi potrà prevalere sull’altro. Magari come già successo ne esce fuori un terzo, ma al momento quella lista è totalmente priva di nomi e idee. Evenepoel è uno che non le manda a dire, forse in questo senso è quello che appare più impulsivo e naturale. Prepariamo un bell’agenda per prendere appunti nei dopo tappa, il bimbo belga ci darà pagine da riempire.
Il ciclismo di quelli lì poi tocca il Nord in un pomeriggio di un giorno da cani, per loro ad Harelbeke, anzi da gattoni, perché si graffiano e trovano l’unico momento di tregua dalla pioggia tra il mercoledì di La Panne (oh finalmente Philipsen, che vittoria!) e la domenica pomeriggio del “Jumbo Visma Show” sulle strade della Gent-Wevelgem; spettacolo che non piace a tutti, e si capisce come una vittoria in parata possa far storcere il naso. Per chi scrive nulla di male nel vedere il capitano concedere la vittoria in una corsa dove tutto appare già scritto nel momento in cui Laporte e van Aert se ne vanno sul Kemmelberg lasciando gli altri a zigzagare e a fare equilibrismi per stare in piedi sulle pietre scivolose delle Fiandre Orientali. Anzi l’invito è: leggete questo pensiero ben articolato da Ilenia Lazzaro, giornalista di Eurosport, sull’argomento van Aert, corridore che come si muove sbaglia. Destino dei più grandi.
E insomma dicevamo: qualche giorno prima della Gent-Wevelgem, nel mini Fiandre che arriva ad Harelbeke, c’è stato un antipasto di quello che sarà questa domenica nella gara delle gare tra Bruges e Oudenaarde: Pogačar, van der Poel e van Aert che staccano tutti. Ecco il ciclismo di quelli lì. Uno che scatta qualche centinaio di volte, l’altro che accende la gara lontano dal traguardo come una sigaretta in mezzo a una platea di non fumatori, il terzo che è quello che fa più fatica a tenere certe sgasate, resiste e poi vince.
Un pomeriggio qualsiasi impreziosito dal modo di fare ciclismo di quelli lì.
Chissà come andrà in quello che sarà il Fiandre vero e proprio, la festa dei belgi, ma pure la nostra che quando si tratta di corse a quelle latitudini non capiamo più nulla, la nostra testa si riempie di spiriti come la casa de gli invasati di Shirley Jackson, e se poi i tre di cui sopra decidono di dare spettacolo in questo modo allora per noi è finita, preparate calmanti e camicie di forza.
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