A ogni passaggio del gruppo sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, appeso in alto, un triangolo rosso sventola, sbattuto dal vento. In Francia la chiamano “flamme rouge”, la fiamma rossa, qualcosa di vagamente infernale, in Germania, ad inizio anni novanta, un telecronista parlò di drappo rosso del diavolo.
Davanti alla televisione, quel giorno, c’era Dieter Senft: «L’idea di diventare il diavolo rosso, con corna e tridente, che insegue i corridori gridando, negli ultimi chilometri delle tappe alpine o pirenaiche, mi è venuta da lì» racconta in un’intervista. «Quel drappo rosso doveva venire dal vestito di un diavolo vero, appostato al bordo della strada».
Siamo nel 1993 e Didi si dota di un vestito di lycra rosso, delle corna, un tridente, si lascia crescere una folta e arruffata barba che sta ingrigendo e va al Tour de France, insieme alla moglie Margitta su un tandem di più di tre metri.
«Ho girato tutto il mondo al seguito del ciclismo, ma al Tour de France accade davvero qualcosa di particolare. Tu sei lì, sul ciglio della strada, arrostito dal sole di luglio, magari anche con poca acqua ed una sete incredibile, ed hai accanto norvegesi, australiani e canadesi. Non capisci quasi nulla di ciò che dicono e non riesci a comunicare a parole. Eppure, per qualche strana ragione, vi capite benissimo, condividete lo stesso entusiasmo».
Senft ha quasi settant’anni, non è più giovanissimo e di corse ne ha viste, eppure quando parla del ciclismo lo fa come fosse una scoperta di pochi giorni fa. Come i ragazzini che ogni giorno immaginano un futuro diverso con la stessa felicità.
La sveglia è sempre puntata all’alba. Vedete quelle scritte ritmate che si susseguono negli ultimi metri? Spesso è lui a disegnarle sull’asfalto. Qualche anno fa, in Svizzera, è stato anche multato, ma non ha cambiato idea: le scritte servono e lui continuerà a lasciarle. Un personaggio del folclore, ormai, non solo del ciclismo.
La sua casa è un museo perché Dieter è anche un inventore: «Ho ideato la bicicletta più grande del mondo, quella più lunga ed anche quella più alta. Sono tutte a casa e la mia casa è aperta a chiunque, tutti possono venire a visitarla, a vedere. Alcune di queste invenzioni sono entrate nel libro dei record. C’è la macchina a pedali più grande del mondo ed anche una “football bike”, quella con cui andai agli Europei di calcio nel 2008. In Austria ho aperto e registrato un bike garden».
Il Diavolo ha vissuto la rivalità Ullrich-Pantani e un dettaglio lo ha impressionato: «Essendo tedesco, Jan Ullrich è stato il mio corridore prediletto. Non sembra ma il contatto diretto a tutte le corse crea quasi una sorta di familiarità con gli atleti, la condivisione della stessa lingua fa il resto. Marco Pantani, però, era ipnotico: la gente impazziva appena presagiva il suo arrivo. I tornanti sembravano esplodere».
Negli anni tante difficoltà e nel 2014 anche l’idea di smettere, «ormai prendo delle mance e con soli cinquecento euro non posso permettermi di seguire le corse». Erano gli anni dell’operazione alla testa, subita nel 2012: «Per la prima volta fui costretto a vedere il Tour in televisione. Ero dispiaciuto, certamente, ma mi accorsi ancora meglio di molte cose che dalla strada non notavo. Al Tour corre tutto veloce e rischi di perderti qualcosa, fosse anche solo l’elicottero delle riprese televisive che sorvola il gruppo. È un peccato».
Qualche anno, l’operazione, la guarigione e il ritorno: «Conto di restare per molti anni. Cercatemi». Sarà perché, come ci disse un amico, alla fine, i ricordi ti portano sempre dove sei stato bene e dai ricordi non puoi fuggire, ma noi continuiamo a cercare Didi, a ogni tornante bruciato dal sole e punzecchiato dal suo forcone, giallo per l’occasione.