Parte la musica: è Space Oddity, di David Bowie. La Torre di Controllo sta chiamando il Maggiore Tom, gli sta ricordando di prendere tutto il necessario, di mettere il casco. In sottofondo, un conto alla rovescia, dal numero dieci all’uno, fino al via, al “lift up”, il decollo. Cambia il suono, pare davvero di essere nello spazio, nel vuoto, liberi da tutto il resto. “Ce l’hai fatta”, dice la Torre di Controllo, mentre il Maggiore Tom apre la porta, lascia la capsula ed inizia a galleggiare nel modo peculiare degli astronauti e le stelle sembrano diverse, oggi. Da Mortegliano a Sappada, la diciannovesima tappa del Giro d’Italia, è storia di altezza e solitudine. L’altezza parla del campanile di Mortegliano, 113 metri, il più alto d’Italia, l’altezza parla di ogni strada che sale, delle montagne, l’altezza è dove, volenti o nolenti, ci si ritrova soli, magari con qualche vertigine e qualche timore. Se non in vetta, lungo il percorso per arrivarvi. Come il Maggiore Tom, come Rocket Man, di Elton John, per cui è un lungo viaggio, per cui la scienza è solo un lavoro, cinque giorni alla settimana e Marte non è un posto ideale per crescere dei bambini, con un freddo da inferno. Come Andrea Vendrame, arrivato in solitaria a Sappada, dopo un attacco in discesa, sotto la pioggia, staccando i compagni di fuga, Alaphilippe, Narváez, Steinhauser, su tutti. Ha rischiato in discesa, ma l’abbiamo detto: si può restare soli, verso l’alto, si può avere paura verso l’alto e forse ancor più coraggio. Andrea Vendrame ce l’ha fatta: non galleggiava nello spazio, pedalava su una bicicletta, sull’asfalto verticale, perché i ciclisti sono gente di terra e lo spazio lo hanno magari sulle maglie. La maglia di Vendrame lo evoca.
Non è stato facile farcela. Non è stato facile e non parliamo solo di oggi. Ci riferiamo al periodo in cui non riusciva a passare professionista, ci riferiamo alla sua voce quando parla di quei tempi. Il suo soprannome è “Il Joker” perché quello è il suo film preferito, ma la quotidianità non ha copione, non ha riprese, non ha pause, non ha un regista che seleziona le inquadrature ed i particolari da mostrare: si vede quel che si vede, si sente quel che si sente e certe volte non piace, ferisce. A Vendrame è accaduto: nel corpo, nelle cadute, nell’animo, nelle parole di chi, magari, non ci crede più, non ti crede più. La tappa è passata da Peonis, il luogo in cui è mancato Ottavio Bottecchia, a proposito di dolore: un muratore, un carrettiere di legname, che, dopo la sofferenza, sale in bicicletta e vince il Tour de France per due volte. Per dire che, poi, agli esseri umani è sempre successo, sempre succederà, ma, come ha detto stamani Alessandro De Marchi in un’intervista può bastare un attimo di felicità o di vicinanza a quella felicità, di bellezza, insomma, per salvare da tante brutture.
Andrea Vendrame continua a guadagnare: venti, trenta, quaranta secondi, sfiora il minuto, lo oltrepassa. La sua “Torre di Controllo” è l’ammiraglia, che lo segue da vicino, lo rifornisce, lo incita. Il Maggiore Tom diceva di essere tranquillo, nonostante una lontananza abissale, fino a perdersi nello spazio. Andrea Vendrame non può essere tranquillo fino all’ultimo, perché la strada è fedele e infida allo stesso tempo, dipende dalle vicende di chi la attraversa. Qui, poi, a Sappada, parlano tutti di tradimenti: quello fra Roche e Visentini, in particolare. Tradimento che è, alla fine, restare soli e dover proseguire. Oggi non ci sono tradimenti, c’è, anzi, il gesto di Pogačar che attende Geraint Thomas, dopo una caduta. Ma noi siamo davanti, siamo, umanamente, con Vendrame. Chissà quale è stato il momento esatto in cui dall’ammiraglia hanno capito che ce l’avrebbe fatta: “i giornali vogliono sapere”, diceva la Torre di Controllo.
I giornali vogliono davvero sapere, adesso, mentre Andrea Vendrame ritrova il contatto con l’ammiraglia: cerca il direttore sportivo, lo aspetta, gioisce, gli stringe la mano, poi va verso il traguardo, invitando ad un applauso, al rumore, alla voce, le tante persone che aspettano ai bordi della strada, in una montagna piena, riempita. In una montagna che per un giorno ha smarrito il silenzio. Andrea Vendrame lo vedono e lo sentono tutti: prima piegato sulla bicicletta, dopo poco a terra, piange. I giornali ne stanno già parlando e continueranno a farlo. “Ce l’hai fatta” dicono tutti, Vendrame si rialza, parla e le lacrime gli gonfiano gli occhi. Il Joker ha fatto un numero. Sì, non è un film, è la realtà, ma se l’avesse pensata un regista non sarebbe poi venuta tanto diversa. I ciclisti non si “perdono” nello spazio, si “perdono” e si ritrovano in attimi così, fuori dal tempo. La musica riparte: siamo lontani da tutto, siamo contenti.