Chi parteciperà a Velzna Trail, il 23 aprile, dovrà provare a sentirsi parte della natura, a guardarsi da fuori e a vedere quanto una bicicletta che scorre su una strada sterrata stia bene in quella natura. Marco, Simone e Nicola l’hanno pensata così. Velzna è l’antico nome etrusco di Orvieto e quest’esperienza ha molto a che vedere con Orvieto: «Si parte e si arriva lì- ci dice Simone- ma in realtà c’è di più. Orvieto è questa essenzialità, quella della natura, del paesaggio, di una rupe scoscesa o di una strada romana per arrivare al mare. Quando esci di casa e senti che non ti manca nulla, magari c’è poco ma tutto l’essenziale».
Forse anche Amatrice era così, forse per questo qualcuno nel fine settimana prendeva la moto e ci andava. Lo ha fatto anche Simone e quel giorno Amatrice gli era piaciuta. Oggi, dopo il terremoto, Amatrice è l’insieme di tutto ciò che manca. Di chi manca. Amatrice è assenza. Marco ad Amatrice ha perso Matteo, suo fratello, che quel giorno era lì con Barbara, sua moglie. Di quel ragazzo è rimasta la bicicletta e Marco pedala su quei pedali, siede su quella sella. Simone ci racconta che vedere quella bici ancora per la città smuove qualcosa dentro. Marco e i suoi genitori hanno trasformato quel dolore, non hanno lasciato che li rovinasse, che li incattivisse. Come Matteo che, quando non riusciva più a pedalare a causa dei morsi dell’acido lattico in bici, non se la prendeva quasi mai: «È bello lo stesso. Certo, senza dolore sarebbe meglio. Ma guarda che bel paesaggio».
Velzna Trail cerca lo stesso sguardo. «Certe volte- prosegue Simone- quando pedalo sulle strade antiche, penso che non ce le meritiamo. Perché non ne abbiamo avuto cura. Per cambiare qualcosa, dovremmo iniziare a guardare ciò che c’è sempre stato e a dirci che è bello anche se non lo avevamo mai notato. È un obbligo morale nei confronti del passato». Così sarà bello arrivare al mare con quelle mountain Bike o quelle bici gravel e andare nella casa sul mare di Nicola per un buon ristoro. Ognuno fa quello che può per Velzna Trail e sa che basta, purché sia genuino, purché sia vero. Basta anche un solo tramezzino. Andare in bicicletta, in fondo, è cercare questa semplicità e magari trovare altro.
Nicola, ad esempio. Che viene dalla Sicilia e la prima volta che si è presentato all’Argentario per una pedalata era coperto come fosse inverno, nonostante ci fossero venti gradi. Poi ha scoperto quelle strade e ne è diventato una sorta di custode e immagina spesso strade nuove da visitare. Ha disegnato lui Velzna Trail e chi vuole fare un giro in bicicletta gli telefona e gli chiede se quella strada è stata riaperta o se c’è una via nuova, mai vista, per arrivare là.
«Quando si sente troppo forte, gli ricordiamo quel primo giorno» scherza Simone. In realtà però passare da quelle strade servirà anche a questo, a tornare a sentirsi piccoli rispetto a ciò che c’è attorno. Da Orvieto verso il Tirreno, poi Volsinii, Bolsena e ancora Orvieto, un percorso ad anello per permettere a chiunque di scegliere dove e quando fermarsi, per dire a chiunque che il tempo, quel giorno, non conta più di tanto. Il raccolto andrà all’Associazione 3.36, come l’ora di quel terremoto, per Matteo, per Barbara e per la ricerca per la Fibrosi Cistica.
«Quando pedali accanto a una rupe capisci chi sei, in realtà. La bicicletta ti riporta l’umiltà». Anche per quanto si fa fatica perché «quelle strade non tengono minimamente conto della pendenza. Chissà, forse agli antichi non interessava. Se volevano andare da un punto all’altro, ci andavano a prescindere». E a quella fatica non si può dare un significato, ognuno darà il proprio, ciò che conta è darsi una ragione per farla. Magari guardarsi attorno, mentre non ce la fai più, e dire: «Ma guarda che bel paesaggio».
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