L’ultimo passo, anzi, l’ultima pedalata, dal ballo del freddo, a Campo Imperatore, al Gran Sasso, è di Davide Bais. È un passo segnato dalla fatica e dalla rabbia. È un passo segnato da tanti sogni spezzati come sono spesso le fughe, l’ultima proprio ieri, a Napoli, per De Marchi e Clarke. È il passo perfetto, a chiudere la danza, prima di levare le braccia verso quella che pare quasi una creatura mitologica di altri tempi, la montagna. Simile a un ghepardo, ma dal manto verde, maculato di bianco, dove riposa la neve, un manto che, con la crescita dell’animale, con l’altitudine che sale, diventa sempre più bianco. L’ultimo passo, dal ballo del freddo, è lo scatto decisivo, a pochi metri dal traguardo, è un passo raro, mai riuscito, nonostante tante prove. Riuscito solo nel giorno del ballo del freddo, quassù, al Gran Sasso. A Davide Bais.

Ha caratteristiche peculiari il ballo del freddo: gambali in battere e levare, indossati e tolti, per la pioggia dei primi chilometri e per il sole che proietta le prime ombre. Mantelline chiuse, riaperte, richiuse, poi tolte, buttate in ammiraglia. Acqua che si asciuga e diventa freddo e, poco dopo, sudore, maglie aperte, slacciate, promesse di neve e vento, che spazza queste zone. Mani rivestite da guantini e dita fuori: bianche per la pioggia fredda e rosse per il caldo della fatica.

Davide Bais, Simone Petilli, Karel Vacek, in fuga sin dai primi chilometri, fatica per fatica, freddo per freddo, questo è il mestiere della fuga. Il mestiere della fuga è quel sogno spezzato a cui si accetta di andare incontro ed alla fine, forse, ci si abitua anche al fatto che la moltitudine, ovvero il gruppo, lo spezzi, ma nella progressione di un uomo in fuga, nei rilanci per allontanare il gruppo, nell’elastico per restare attaccato alla ruota di chi è all’attacco con te, nel controscatto, c’è l’infinito di quel verbo, del verbo sognare. Un infinito che affascina, che attrae, di segno uguale e contrario a qualunque ciclista. Infinito ovvero consapevole del fatto che le fughe non finiranno mai. Non sarebbero mai finite lo stesso, ma Davide Bais, che vince a Campo Imperatore, è un monito in più, per ricordarselo, per ricordarlo a chi, magari, stava pensando che domani non sarebbe andato in fuga, perché stanco dalla prima settimana di Giro d’Italia, o quasi certo che tanto la fuga non sarebbe arrivata oppure spaventato dalle due settimane restanti. Ogni tanto un ciclista ci pensa, non lo dice, ma ci pensa. Soprattutto nei giorni del ballo del freddo.

In tre, assieme per ore, in tre all’atto finale di questo ballo. Simone Petilli, che attacca già ai meno sei dal traguardo, che forza l’andatura, che, dirà, poi, di aver sbagliato, perché era meglio aspettare. Karel Vacek, che avrebbe smesso solo qualche tempo fa, che non lo ha fatto per rispetto dei sacrifici che, invece, ha sopportato per poter anche solo pensare di essere un ciclista. Vacek che si stacca più volte, rientra, sembra quasi fare la differenza e torna a patire. Davide Bais che controlla l’uno e l’altro, mentre lo sguardo, celato dagli occhiali, è rivolto solo alla strada. La concretezza di chi, a forza di confrontarsi con la fuga, ha capito che non resta altro da fare che controllare la propria strada, e gli altri faranno quello che faranno. L’uomo in fuga lavora solo sul proprio istinto, lo affina, e sulla propria solitudine, anche se non è materialmente solo, su come affrontarla, gestirla, su come fare i conti solo su una bicicletta e un pugno di muscoli.

L’ultimo passo del ballo del freddo è questo: un passo di libertà, di prospettiva, di indipendenza, che è la base di ogni legame. Il fratello, Mattia Bais, esulta durante gli ultimi due chilometri: in questo linguaggio comune, costruito dal fuggire, dall’andare, dall’affrontare la moltitudine inventando una via, un linguaggio conosciuto, scavato, vissuto. In gruppo non succede molto, è vero, anzi, quasi nulla. Solo un allungo di Evenepoel sul finale, che precede Roglic. Ma non è il momento di parlarne.

Domani, più o meno alla solita ora, qualcuno proverà ad andare in fuga. E domani, più o meno alla solita ora, avrà un motivo in più per scegliere di farlo, piuttosto che di non farlo. Perché dall’ultimo passo del ballo del freddo è uscito Davide Bais, che a forza di sogni spezzati, di fughe interrotte, ne ha ricostruito uno di sogno e, con tutti i pezzi che c’erano in giro, è uscito un gran sogno. Una grande fuga.