C’è stato un giorno, neanche troppo lontano, in cui Maghalie Rochette ha pensato di smettere. Era a bordo strada, a piangere, mentre i pedali non giravano e, sfinita, ha chiamato il suo allenatore. «David ho deciso di lasciare il ciclismo. Non ce la faccio più. Ho tanti altri interessi, la lettura, la scrittura, i podcast che realizzo, mi dedicherò a loro». Lui l’ha ascoltata e poi, seraficamente, ha ripreso a parlarle: «Vuoi mollare? Fai pure, non te lo impedisco e sicuramente hai le tue ragioni. Sappi, però, che un lavoro normale ti impiegherà circa otto ore al giorno e per le tue passioni non avrai comunque tempo. Il ciclismo ti stanca ma ti piace e, in ogni caso, il tempo te lo lascia».
Così Maghalie ha cambiato idea. Spesso si è sentita estranea, non al ciclismo ma all’Europa a cui è arrivata dal Canada, dal Quebéc. Dalle piccole cose perché il senso di appartenenza si crea attraverso i dettagli. Soprattutto attraverso la condivisione delle difficoltà. A chi le dice che il ciclocross è una strana disciplina, forse anche un poco folle, risponde che è vero ma è proprio per questo che attrae, è per questo che le si resta legati. «A volte sembra che la tua bici non sia attrezzata per tutto ciò che devi affrontare, ma ti basta riuscire a prendere quella curva che pensavi di non riuscire a tenere per dimenticare tutto. Ci sono erba, sabbia, colline, fango e ora anche ghiaccio». ha detto a Cyclingtips.
L’unico motore per andare avanti, a suo parere, è proprio la sperimentazione di nuovi territori e nuove prove: ciò che blocca è la paura delle novità, il restare a ciò che si è sempre fatto. Rochette è riconoscente al passato e alle atlete che con il loro operare hanno fatto in modo che il cross sia ciò che è oggi anche dal punto di vista economico. Tutti corrono per passione ma c’è un fatto di sostenibilità economica perchè «anche noi cicliste andiamo a fare la spesa».
Spesso Rochette si è trovata ad essere l’unica canadese in gara. In Canada, purtroppo, si investe ancora troppo poco nel ciclismo, lei ed il compagno investono nelle giovani generazioni, non solo in termini di denaro. I gesti contano: «Se un giovane mi vede andare a podio sa che può riuscirci anche lui. È una motivazione per entrambi». E lei è sempre lì, si butta nella mischia, prova, è spesso nelle prime.
Quando torna nel camper, dopo le gare, ad attenderla c’è Mia, il suo cane. Per esserci, questa femmina di Retriver, ha affrontato un viaggio di sei ore, da Montreal e Bruxelles. Rochette aveva dei dubbi, poi ha pensato che in aereo avrebbe dormito e che, in fondo, Mia non poteva che essere con loro, con la sua famiglia. La sua presenza significa normalità, significa una tranquilla passeggiata a sera, tranquillità. Poi ci sono i valori importanti, quelli che vengono in mente vedendo un cane che fa la festa al padrone che torna da lui: «Mia mi ha insegnato ad essere umile. A lei non interessa se ho avuto una gara brutta o se ho vinto. Per lei sono sempre la stessa».