«Alcune sere ti chiedi: ma come devo fare a ripartire domani mattina? Non è possibile». L’ha ammesso Benoît Cosnefroy in un’intervista qualche giorno fa. Al francese dell’Ag2R Citroën facevano male la gambe lunedì. Peggio: gli facevano talmente male che già sapeva che anche il giorno dopo sarebbe stato lo stesso, forse anche peggio. «Sai che passerà questa settimana, ne verrà un’altra e poi un’altra ancora. Sai che andrai comunque all’arrivo e, un giorno dopo l’altro, arriverà anche Parigi. Forse va tutto talmente veloce che finisci per abituarti a questa fatica cronica». Cosnefroy è ripartito anche ieri mattina e ben pochi, forse nessuno, ha immaginato tutto ciò che gli è passato per la testa in tanti di questi giorni.

Sono dubbi che spesso non escono da una camera d’albergo, ma sono ben presenti in molti. Dubbi che spesso non si raccontano nemmeno perché da un ciclista tutti si aspettano che sia addestrato alla fatica e che la affronti con disprezzo. «La stessa cosa vale per i medici e il dolore» ci dice Marie, dottoressa presente a Valence con cui iniziamo a parlare per puro caso e apparentemente di altro.

«Quei dubbi li capisco bene. Durante la pandemia non ho contato le sere in cui sono tornata a casa e chiamando mia madre ho detto: “Mi spiace per il denaro che tu e papà avete speso per l’università, ma voglio lasciare tutto. Cerco un altro lavoro, questo non fa per me”. Dopo ogni telefonata la promessa: “se domani sera sto ancora così male, lascio”. Dall’altra parte sua madre ad ascoltare, senza dire una parola. E poi c’erano quelle voci, quelle che le dicevano che i medici, quelli “veri”, sanno reagire e ogni mattina si alzano dal letto e vanno in ospedale orgogliosi di provare a salvare vite. Lei, forse, le dicevano, era troppo fragile per essere dottoressa.

«Questi dubbi li hanno tutti, i medici come i ciclisti, perché non ci sono superuomini e, un giorno o l’altro, capita di non sentirsi all’altezza. Il fatto è che è normale, bisogna saperlo. Quando lo capisci, vai a letto presto una sera, spegni tutto e aspetti arrivi mattina perché sai che è un momento. Ti assicuro che i medici veri fanno così. Forse anche i ciclisti». Certo e bisogna anche dirlo che è normale perché solo sapere che ciò che ti sta accadendo è nella normalità delle cose ti può dare la forza per affrontarlo. Che sia un Tour de France, come per Cosnefroy, o una vita in ospedale, come per Marie. Perché degli eroi si può anche fare a meno, se ci sono gli esseri umani.