Quanto se la meritava questa vittoria Filippo Zana. Quanto se la meritava e non è una domanda, ma un’affermazione, perché lo sappiamo, perché lo sapete. L’abbiamo visto fare di tutto in questo Giro d’Italia: mettersi al servizio di Michael Matthews, andare a chiudere sugli scatti per favorire la volata di “Bling”, l’abbiamo visto terzo a Fossombrone, nel giorno di quella bellissima follia di Ben Healy, andare in fuga quando la strada sale, rallentare, prendere fiato e, poi, profondersi in un ultimo sforzo, da lasciare senza parole, per Dunbar, l’abbiamo visto in fuga verso Val di Zoldo, nel primo pomeriggio, di forza, e, istintivamente, abbiamo pensato che potesse essere il suo giorno. Forse l’abbiamo sperato e, nello stesso tempo, ci siamo detti che, chissà, «forse verrà fermato per aiutare Dunbar». Non poteva essere, non doveva essere, ma non si sa mai, non è matematica, non è equazione. Non ci sarebbero delusioni, se lo fosse. Ma non ci sarebbe nemmeno la meraviglia. Converrebbe? No, per come la vediamo noi assolutamente no.

Allora ci siamo tenuti quel dubbio e, mentre pensavamo, dubitavamo, guardavamo quella maglia tricolore, guardavamo la brillantezza con cui Filippo Zana teneva la ruota di Thibaut Pinot, mentre gli altri accusavano il colpo, cedevano, zigzagavano. Che qui, in certe rampe, anche spostarsi da un lato all’altro è difficile, perché la strada è stretta, tutta all’insù, tocca continuare e subire, senza respiro. La certezza che sarebbe potuto succedere, ad un certo punto, è arrivata: sì, sono solo loro e Zana pedala così bene da cambiare il concetto di fatica, da far venire voglia di far fatica, di mettersi alla prova, anche se non si è al Giro d’Italia, anche sulla salita più vicina a casa. Però la mente accetta subito le paura, fatica ad accettare le cose belle, l’idea di felicità, allora altre domande, altre parole silenziose che si infilano in testa.

«Pinot non la perderà questa volta, è più veloce, ha già sbagliato una volta. Però che peccato! Che spreco non poter alzare le braccia dopo una giornata così, dopo un Giro così». Un Giro d’Italia che per Filippo Zana è una polifonia: più suoni e un’armonia. Eppure guardavamo in faccia Zana ed era sereno, convinto. “Mi ha tolto tanto la bicicletta, ma nonno diceva che quello che ti viene tolto, se insisti, in un altro modo, magari, però torna”: l’abbiamo risentito mentre ci diceva così, in una serata accanto al mare di Spagna. Qui però siamo in montagna e la montagna stravolge le verità, fino a qualche minuto prima più solide che mai: il duello a distanza Roglič-Almeida insegna. Qualche giorno fa Almeida, oggi Roglič. Come rovesciare una clessidra. Avevamo già scritto qualche riga, avevamo deciso che, se non fosse andata come poi è andata, avremmo ricordato quelle parole a Zana, avremmo ricordato quella convinzione. Avremmo, forse, detto che, chissà, ciò che ti è stato tolto può tornare anche non sotto la forma di una vittoria, ma di grinta, di entusiasmo, di miglioramento, di crescita. Senza dubbio, è vero. Ma sembra una consolazione.

Invece no. Invece Zana è freddo, lucido, ha gli occhi della tigre, lo spunto del tempo che corre, le mani basse, a ruota di Pinot: quella maglia tricolore accelera e parte intorno ai centocinquanta metri, lo affianca, gli corre accanto, poi lo supera. Gioisce, vince. Ride, ma gli occhi sono lucidi, non è solo il sudore che cola, è un pianto sospeso. Nell’aria. Filippo Zana li libererà: al Giro d’Italia del 2020, pianse all’arrivo, pianse dedicando una fuga al nonno, una di quelle fughe che non era andata a buon fine. Oggi sì, oggi c’è una vittoria e Filippo Zana che, pur essendo lo stesso, è completamente diverso. Il destino degli uomini.

«Vedi? Avevamo ragione noi»: diciamo quasi per sfida alla mente e a tutti i dubbi. Lo diciamo alla mente e lo diciamo a noi stessi, un promemoria, per ricordarsi che anche l’istinto dice cose giuste, che va ascoltato. Il resto, viene da Filippo Zana che l’ha sempre saputo: le cose a cui teniamo possono succedere, ma, soprattutto, le cose a cui teniamo di più vanno fatte succedere. Non è detto che accada, non c’è sempre il lieto fine, siamo onesti, ma, se lo sappiamo, può essere. Le parole per Thibaut Pinot, stasera, non possono che essere queste.